sabato 27 marzo 2010

Primavera elbana (3): Azzurro





Non dovrebbe forse rientrare nella "Primavera elbana" questo stupefacente T1 dato che all'Elba non siamo. Un T1 forse ritargato, dato che l'immatricolazione risulta essere del 1969 mentre la produzione della prima serie del progetto Typ 2 cessò nel 1967. Mercoledì scorso, 24 marzo, in un pomeriggio radioso durante il viaggio di ritorno; la località nel quale (per un breve sbaglio di strada, peraltro; segno che il Dio dei Bivi non conosce confini!) si chiama esattamente Venturina. Indi sì, forse nella Primavera elbana non dovrebbe rientrare, ma vi rientra lo stesso sia perché l'Elba si estende da Colle Val d'Elsa in là (un concetto squisitamente personale che, prima o poi, mi premurerò di spiegare), sia perché una treggia del genere fotografata in un posto che, praticamente, si chiama come il vostro Treggista preferito, non può che essere elbana e di primavera. Tutto azzurro: il cielo, il T1, le tendine del T1, il pesce sulle tendine del T1 e anche un po' l'animo che, dopo il lungo inverno, si ritrova in una giornata del genere a crogiolarsi finalmente al sole.

Primavera elbana (2): L'Ape elbana




Un'Ape all'Elba, specie se poi ancora in piena e rigogliosa attività (a partire dal 1980), ha, come dire, un valore doppio. Come è noto, infatti, l'Ape è il simbolo stesso dell'Elba e fu l'imperatore Napoleone stesso, durante il suo "esilio" che avrebbe fatto meglio a prolungare invece d'andare a cercar guai a Waterloo per poi finire i suoi giorni in un'altra isola un po' più lontanuccia, a disegnarne la bandiera (di cui qui si riproduce il primo esemplare del 1814):


E quanto sia sentita all'Elba la simbologia dell'Ape, lo si vede anche dal più antico albergo dell'isola (a Portoferraio), dove nel 1911 ebbe a morire il celebre anarchico Pietro Gori, l'autore di Addio a Lugano:


Insomma, ora lo avrete capito perché all'Elba un'Ape ha un valore doppio. E, infatti, a dire il vero è un mezzo di trasporto ancora comune.

Primavera elbana (1): Amaranta nel campo





Davvero un...brevissimo soggiorno questo, all'Elba. Un "mordi e fuggi" per riportare a casina (beate loro) la mamma e la zia, con partenza ad ore antelucane e le due "ragazzine" che se la sono ronfata per tutto il viaggio. Ma ne valeva comunque la pena. All'Elba vale sempre la pena, specialmente nella prima giornata di primavera seria, ventitré gradi, ancora lontanissimi dalla stagione turistica e con l'isola che quasi si è dischiusa dopo un inverno che, anche lì, è stato particolarmente rigido (con tanto di nevicata).

Nonostante la brevità della permanenza, anche stavolta l'Elba "miniera di tregge" non ha deluso le aspettative. Si comincia con questa Fiat 127 depositata in mezzo a un campo, invero in condizioni di palese abbandono. Ed è stato, a dire il vero, un piccolo tuffo al cuore: soltanto pochi giorni fa avevo parlato di una certa 127 amaranto, e ora eccone qui una pressoché identica (tranne qualche piccolo particolare). Forse il destino, che a volte è cinico e baro ma che altre volte sa leggere bene dentro i recessi di chi lo nomina, ha voluto farmene rivedere una proprio all'Elba. La speranza, naturalmente, è che la 127 amaranto non stia là a arrugginire e disfarsi in mezzo a un campo, e che qualcuno prima o poi la rimetta in sesto. La vettura è del 1981, non ha ancora trent'anni e non merita di finire così, seppure al sole di una primavera elbana...

giovedì 25 marzo 2010

Ottanta



Essendo le Cinquecento le tregge di gran lunga più comuni, è giocoforza che ad esse siano spesso attaccate delle targhe storiche. A Firenze, la serie delle targhe arancioni e nere iniziò nel gennaio del 1976 con FI 804000; vale a dire che soltanto quattromila targhe della serie "FI 80" fecero ancora parte delle vecchie quadrate bianche e nere. Le ultime dal 1927, e una vera e propria rarità. Con questa FI 803640 mancavano soltanto 360 immatricolazioni alla fine delle gloriose targhe quadrate italiane: terminava un periodo di quasi cinquant'anni. Siamo nel dicembre del 1975.

L'introduzione delle "arancionere" segnò, in Italia, la possibilità di disporre la targa per lungo, come già avveniva in quasi tutti i paesi d'Europa. Mi ricordo perfettamente della cosa: se da una parte quelle targhe non mi piacevano affatto per la colorazione, dall'altra ero affascinato di vedere finalmente le "targhe lunghe" come quelle tedesche o francesi. Trovare ancora in giro una "Ottanta" quadrata è davvero infrequente. Di quelle quattromila, la maggior parte saranno oramai finite nell'Ade delle targhe. La cosa ha poi maggior valore, dato che il reperimento è avvenuto a venti metri da casa mia!

martedì 23 marzo 2010

Novanta





Anche se la mia simpatia per i Maggiolini è molto forte, da un po' di tempo ci penso un paio di volte prima di fotografare tutti quelli che vedo in giro. Che sono, credetemi, tanti. Dopo la 500, il Maggiolino di varie epoche è la treggia più comune, e questo blog ne fa fede. Però, con questo, non mi sono nemmeno posto il dubbio: per via della sua targa.

Una targa sono dei numeri e delle lettere; ma a quei numeri e a quelle lettere può essere associato un ricordo, e, a volte, persino una caterva di ricordi. Una targa che inizia con "FI 90" non era, almeno andando a memoria, ancora presente nel TB; "FI 90" come quella di una certa mia macchina, che non era affatto un maggiolino ma una Fiat 127 amaranto. FI 901008, per essere precisi. Quando finalmente ho visto una "FI 90", seppure attaccata a un Maggiolino, mi ci sono letteralmente fiondato. Particolari. Dettagli. Sono quelli che fanno una vita intera.

Perché a bordo di una macchina si va e si vive. Si vede, si sente, si annusa. Si ride, si piange, si litiga, ci si ama e ci si odia. Ogni suo chilometro è un chilometro che ha una storia. Sono luoghi, paesaggi, silenzi, allegrie e tristezze. Sono parole lievi, sono parole pesanti che a bordo di essa sono state dette. E lo dico proprio nel giorno in cui un'altra mia macchina, una Citroën Saxo grigia, se n'è andata altrove. L'ha presa, per fortuna, una persona che conosco e che so ne farà buon uso. Diventerà la Macchina dello Spazzacamino, e la cosa mi piace assai.

La 127 amaranto targata FI 90, invece, è stata una macchina della mia gioventù. Mi ricordo di ogni posto dove ci sono stato assieme. Mi ricordo di quando la vidi allontanarsi l'ultima volta, con alla guida la persona cui l'avevo venduta. Chissà che fine avrà fatto. Chissà se è ancora in giro da qualche parte. Di sue foto non ne ho. Anzi, non ne ho più. Per questo una targa è importante. Ha un particolare che è identico. Quelle due prime cifre iniziali, Nove e Zero. Può bastare per far scorrere il film. E quale film racchiuderà questo Maggiolino del 1977?

lunedì 22 marzo 2010

Taxi alla caprese


Dell'amico e "correligionario" Viola Ionis 56 si è già avuto modo di parlare spesso in questo blog: gigliese purosangue, è il collaboratore esclusivo del TB dalla sua isola natìa, piccola e treggiosa assai. Oggi, però, è passato momentaneamente a un'altra e celebre isola: Capri. Quivi ha pensato a me, e ha fotografato questo incredibile taxi che ci fa piombare seriamente in piena dolce vita felliniana, in lontane estati del "bel mondo" e in atmosfere da Fred Bongusto e da "rotonda sul mare". Davvero una bellezza questa Fiat 1800 cabriolet che, da quel che si legge della targa, dovrebbe essere del 1960. Tutto questo in attesa che lo Ionis torni alla sua... isola di competenza per altre meraviglie magari meno lussuose di questa, ma ugualmente bellissime; ovviamente con un ringraziamento grosso come una casa!

domenica 21 marzo 2010

Rìttimo




Alla Fiat Ritmo sono legato per più di un motivo. Prima di tutto perché ne ho avuta una, che mi prese fuoco letteralmente sotto il culo un lontano 11 settembre (insomma, anch'io ci ho avuto il mio piccolo undicisettembre...); poi perché mi ricorda un altro posto dove ho passato una marea di mesi. Posto, tra le altre cose, dove andavo proprio con la Ritmo che poi prese fuoco.

Era una postazione d'ambulanze della provincia, dove mi avevano spedito a fare il servizio civile. Proprio così. Non ho mai sparato un colpo con un'arma da fuoco, e i miei librini me li sono letti non a qualche "poligono di tiro" (sarà forse perché con la geometria non ho mai avuto un bel rapporto) ma aspettando di montare su un'ambulanza, principalmente di notte, per andare a raccattare gente che si sentiva male. E non me ne pento per nulla. Tutt'altro. Riaffermare certe cose di se stesso, in determinati periodi, fa davvero bene. Serve anche a allontanare definitivamente figure ed esempi che, in realtà, non mi sono mai appartenuti.

Fatta questa disquisizione ben poco "treggistica", bisogna dire che quel posto in provincia era frequentato da figure semplici e singolari al tempo stesso. Ne serbo un ricordo molto caro, anche perché non poche di esse sono passate a miglior vita. Ogni tanto, in servizio, mi capita ancora di incrociarne qualcuna, invecchiata d'oltre vent'anni; ma son sempre saluti e abbracci, conditi con il soprannome che mi avevano affibbiato, vale a dire "Penco". Ovviamente per la mia andatura eternamente pencolante. Ci furon mille episodi, e son tutti ancora nella mia testa: dai servizi a ore innominabili in certi boschi dove c'erano dei casolari, nel 1988, ancora privi della luce elettrica, alle partite di calciobalilla; dalla crudele punizione che inflissi a un tipo che voleva sempre un pezzo del mio panino, riempiendogielo di Tabasco fino a farlo scappare urlando sotto il rubinetto, alle vestiture de' morti. E poi c'era, anche lì, la Ritmo.

Anzi, no: la Rìttimo. Uno degli autisti dipendenti, di quelli che si sciroppavano tutti i giorni i servizi fissi (dialisi, cure fisiche, sociali), era solito scrivere così sul registro giornaliero: Domani essere alle sette a Borselli con la Rittimo a pigliare Cesello. Cesello. Si chiamava così per davvero. Era un vecchio che abitava nemmeno a Borselli, ma in una frazione in mezzo ai castagneti su per la Consuma. Sette abitanti in tutto. A volte, quando il dipendente non poteva, ci andavo io con una vecchia Fiat 125 ambulanzata, che averla fotografata allora ch'era già treggia, avrebbe avuto un posto d'onore qua dentro.

Storie di Rittimo, insomma. Quando ne vedo una, come questa qui nelle foto, passano i fotogrammi.

Il Fondo Cristina (9): S'ha a fari o non s'ha a fari?


Cristina la Meharista, fornitore ufficiale di Trabant per il TB, ci porta oggi in non so quale città di lingua teteska (Berlino stessa?), e con una cosa al tempo stesso curiosa e, devo dirlo, un po' malinconica.

Una Trabi, sì, trasformata in una specie di piccolo baraccone ad usum turistarum. Con tanto di "Safari". In lingua swahili, safari vuol dire semplicemente "viaggio", e viene da ripensare ad altri tipi di viaggi effettuati da migliaia di persone sulle loro Trabant, prima e dopo la caduta del Muro. Gliene hanno dette e scritte di tutti i colori a questa vetturetta, che però resiste imperterrita; ci avrà pure avuto il motore a due tempi più inquinante della storia, ma a dire il vero di macchine che non inquinano ne conosco pochine. Questo bisognerà pur dirlo, anche in un blog dedicato alle automobili.

E così, qualcuno deve aver avuto la bella idea di pigliare una vecchia Trabi e di trasformarla in "safari". "Salire - Guidare la Trabant personalmente", recita la scritta sulla fiancata con tanto di sito internètto; e ci s'immaginano il panzone borghese di Bonn o la sciamannata di Hannover che salgono per "provare l'emozione" di guidare uno dei simboli della DDR e dell'odiato & barbaro komunismo, quella cosa che ci volevano tre anni per averne una a prezzo di sacrifici, mentre lui o lei, nel "mondo libero", guidavano le Mercedes e le Opel consegnate in meno d'un mese. Oppure, perché no, anche il turista di Velletri o di Casalpusterlengo. Bah. Mi sia pur dato di sentimentalista, ma non sono cose che mi garbano tanto.

Sullo sfondo, la regolare Coca-Cola.

Primavera!



...e finalmente quest'invernaccio è finito, porca miseria.

Certo, ancora farà un po' fresco, ci saranno pure le piogge d'aprile (ogni tanto il Guccini fa capolino qua dentro...), e magari anche l'ultima strizzata di gelo; tutto normale. Intanto è il ventuno di marzo, e colgo l'occasione per fare gli auguri a chi è nato il ventuno a primavera, che si tratti di Pippo il Vitellino o di Alda che se n'è andata oltre il piuinlà.

Lo faccio volentieri con questo Cinquino dal colore che mette allegria!

sabato 20 marzo 2010

Risparmiata!



...Se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento, cantava De André nella Canzone del maggio (a sua volta tratta da una canzone francese di Dominique Grange, Chacun de vous est concerné). Se ne concludeva, poi, che dovevamo essere tutti coinvolti anche se ci credevamo assolti. Era il '68, mentre questa Fiat 1100 Familiare risale giusto all'anno prima. A ragion veduta, visto che il '68 non ci ha risparmiato ben di peggio, tipo Giuliano Ferrara, Aldo Brandirali (quello che fondò Servire il popolo e Falce e martello per poi finire assessore al comune di Milano per Forza Italia), Luca Liguori eccetera eccetera, è sicuramente bene che il suddetto fuoco della rivolta abbia risparmiato questa e altre 1100, in modo che un dato giorno di 43 anni dopo, sotto un sole finalmente primaverile e alla guida di una specie di "mostro" ultramoderno, la potessi cogliere assieme al suo anziano e simpatico conducente. Unico proprietario fin dal '67 di quella vettura, come ha tenuto a precisarmi.

venerdì 19 marzo 2010

Ci manca solo Paolo Conte




Una delle conseguenze più singolari e interessanti dell'attività di Treggista, è senz'altro il nuovo rapporto che si instaura coi semafori rossi. Per un automobilista "normale", il semaforo rosso è spesso -a dir poco- una scocciatura, specialmente quando dura una vita; per il Treggista, invece, può rappresentare -con la relativa fila- un'occasione a volte irripetibile. Mettiamo, ad esempio, che oggi verso le 17 il semaforo fosse stato verde, oppure che il rosso a quel dato incrocio fosse durato poco: un'autentica sciagura. E, invece, sempre a quel dato incrocio, il semaforo era rosso, durava un'eternità e c'era una bella, bella fila di macchine. Tra le quali questa.

Eh sì, è proprio una Fiat 500 B, più nota come Topolino. E pure amaranto. È del 1949. Stavolta tutta "mia personale", e non in un garage ma per la strada in un pomeriggio qualunque: la quintessenza del Treggia's Blog. Il semaforo rosso mi ha permesso di scendere dall'automezzo su cui mi trovavo a circolare, di fare un cenno d'intesa al conducente della Topolino e di scattare. E così, il fresco record del 1° marzo viene già mandato in pensione: è durato esattamente diciannove giorni. La Topolino amaranto targata FI 43709 diventa la nuova recordcar fiorentina del TB.

La sua omologa torinese, facente parte del Fondo Cristina, non era amaranto, ma verde. Paolo Conte, naturalmente, ce lo avevo già nominato con tanto di estate del '46. Il video della canzone era già stato messo. Oggi, però, la mancanza del baffuto avvocato astigiano si è fatta sentire davvero, in questa quasi-primavera del '10; chiaramente senza nulla togliere al conducente (e, presumo, anche proprietario) della vettura, che si è fatto gentilmente riprendere assieme alla sua passeggera da un energumeno munito di Kodak sceso come un ossesso da un furgone. E lo vorrei ringraziare non soltanto per questo, ma anche per avere il coraggio di andare normalmente in giro con la sua macchina ultrasessantenne: anche la più lieve ammaccatura nel traffico caotico sarebbe una disgrazia.

Poi il semaforo è ridiventato verde, sono rimontato sul furgone e il caso ha voluto che pure la Topolino amaranto girasse nella mia stessa direzione. Ci siamo fatti un'altra strada insieme, lo spazio di due minuti; poi io da una parte, e lei dall'altra. L'ho vista allontanarsi piano piano, tranquilla, senza nessuna fretta. Allegramente. Ma non verso il mio oblio, cosa che in questo caso lascio volentieri ad un'altra canzone (di Georges Brassens). Anche se non dovessi mai più rivederla, non me la scorderò davvero mai.


giovedì 18 marzo 2010

Piccole alluvioni, piccole tregge



Contrariamente all'uso, questo post non reca in testa la consueta treggia. Ci sono invece, le immagini di una stradina completamente allagata da un torrente in piena. È perché, quel dato giorno, ci ero andato apposta a fotografarla: conoscendola bene, e sapendo che quando il torrente si ingrossa un po' la invade perché non c'è nessun ponte e bisogna procedere a guado, ero andato a colpo sicuro. Anche perché nei giorni precedenti era piovuto parecchio, e il torrente non si era ingrossato "un po' ": si era ingrossato a dismisura. Siamo nel comune di Firenze. Non è facile immaginare che, nel territorio comunale di una città, si trovi un vero e proprio guado stradale, e che addirittura il torrente in questione, un po' più a valle, formi una non disprezzabile cascata. È un posto assolutamente insolito, e straordinario. Di quelle straordinarietà nascoste che sono rivelate soltanto a chi gira la città in tutti i suoi angoli, palmo per palmo, con lo spirito di un esploratore urbano. C'è chi va a cercarsi le meraviglie agli antipodi; io preferisco cercarmele dietro casa. Anche in forma di una specie di minuscola e innocua alluvione che trasforma una viuzza in un fiumiciattolo.

No, non c'ero andato per nessuna treggia, per nessun tour. Poi, però, mi sono accorto che c'era qualcos'altro, oltre alla stradina allagata. C'era questa cosa qui:



Parcheggiata sul lato della strada, di fronte al torrente, in un piccolo spiazzo non toccato dall'acqua. Quasi a guardare tutta la scena, con la forza dell'abitudine, sotto il sole che era tornato quasi abbagliante nel riverbero. Come dire: anche senza volere, il Treggista si ritrova davanti una piccola treggia. Ho fatto una specie di ghigno senza che nessuno mi vedesse, perché non c'era proprio nessuno. Una solitudine perfetta. Un torrente, una piccola vettura blu, il sole e uno strano tipo che va in giro a fotografare macchine vecchie; e, così facendo, si ritaglia la sua personale, ancorché poverissima, fetta di felicità combinata con l'infinitezza.


martedì 16 marzo 2010

Aguzzate la vista




Lo avete presente Aguzzate la vista, il famoso "giochino delle differenze" della Settimana Enigmistica dove due vignette "differiscono solo per venti lievissimi particolari"? Bene, stavolta il TB vi propone una cosa del genere. Vedete le tre foto sopra? Sembra proprio la stessa vettura, la stessa Cinquecento nelle classiche tre pose (fronte, lato e retro). E invece no.

Il fronte e il retro vengono da molto, molto vicino (almeno per quel che riguarda il sottoscritto). Sarebbe una treggia sottocasa, se non fosse per il non trascurabile particolare che abito in un sottosuolo e che, quindi, casomai è sopracasa. Fissa lì, e a un certo punto ho pensato che tale fedelissima treggina (del 1972, mica scherzi!) meritasse di essere inserita nel TB, fronte e retro. Poi è arrivata Cristina la Meharista, la quale, tra le sue miriadi di foto, me ne ha spedita una che rappresenta benissimo il lato; solo che dev'essere stata presa dalle parti di Lecce, o comunque nel Salento...


Cinquini di passo


Eh sì, quanti ce ne sono di questi Cinquini. Da non sapersi come raccapezzare: ancora proprio non si rassegnano agli anni. Gli ultimi furono "sfornati" nel 1977 e hanno quindi già la bellezza di 33 anni, i famosi "anni di Cristo"; gli ultimi, ripeto. Ma quando si va a giro, eccotene uno che ti sfiora di lato e s'infila nel pertugio mentre un altro ti incrocia andandosene allegramente per i fatti suoi. Poi qualche genio ha inventato le city car, come se avesse tirato fuori dal cilindro chissà quale coniglio, quando sarebbe bastato continuare a fare la 500, quella vera (non la replica "modaiola" di ora). E così chi ancora ne ha una se la tiene bella stretta, con le sue doppiette, il tappo del serbatoio direttamente nel motore e l'accensione con la levetta. La "ripresa al volo" di un Cinquino è peraltro un utile esercizio di destrezza che il Treggista deve saper fare (anche per non trovarsi alla sprovvista se per caso, firulì firulà, vedesse passare una Bizzarrini o una Ermini del '53...le si vedrà mai passare?). Cinquini di passo, come gli Oiseaux de Passage di Richepin (e di Brassens). Questo qui, di un bell'azzurro-turchese, è del 1967.

L'altra metà del cielo, sul lato sinistro




La simbologia della destra e della sinistra è antica e complessa, e non sta certo ad un povero blogghino di vecchie automobili disquisirne. Però è nel sentire comune che la destra sia generalmente associata a concetti positivi (destro significa "abile, capace" eccetera) mentre la sinistra lo sia a concetti negativi (sinistro significa "oscuro, torvo, inquietante" e così via). La storia delle parole è questa ed è inutile sindacarla: fatto sta che, se sul lato destro di quella certa strada c'era un celestial Maggiolino tutto rileccato, sul lato sinistro ce n'era un altro nero, dalla targa scrostata e dall'aria sinistramente più aggressiva. Sarà un caso?

Così è cielo, di cui si è avuto a parlare in questi due ultimi post del TB. Celeste e nero. Ci son delle giornate in cui il celeste e il nero sono entrambi presenti, come il cielo stesso fosse una strada; e qui mi fermo, perché il trito poeticume è sempre in agguato e vorrei che fosse sempre ben lungi da me. Insomma, una certa strada e in un certo pomeriggio, sui due lati di una strada c'erano un Maggiolino celeste a destra, e uno nero a sinistra. Quello nero, peraltro, stava dentro un'altra bella pompa di benzina; è del 1978.

sabato 13 marzo 2010

La prima metà del cielo, sul lato destro





Sul lato destro di una certa strada, un pomeriggio di fine inverno, e alla fine pure di un giro di lavoro. Una visione celestiale nel senso letterale del termine, dato il colorino del Maggiolino in questione sul cui anno di immatricolazione proprio non possono sussistere dubbi data l'esplicita dichiarazione sull'ovale nazionale. Quarantadue anni di celestialità portati in modo impeccabile, coi soliti litri di benzina per fare dieci metri (una caratteristica saliente dei Maggiolini, va sempre bene specificato a chiunque intenda acquistarne un esemplare), con i girogomma bianchi e la targa senese che aggiunge un quid al tutto.

venerdì 12 marzo 2010

Com'è triste Venessia



Una delle più belle battute che io conosca, credo di Dario Fo, dice: Chi dice "Com'è triste Venezia" si vede che non ha mai visto Monfalcone... Ora, però, senza tirare in ballo troppo la presunta tristezza delle località dell'alto Adriatico, e anche considerando che la povera Venezia dovrà pur avere qualche legittimo momento d'allegria in barba a Charles Aznavour, devo dire che, a me, quando vedo una macchina targata Venezia mi viene sempre da scompisciarmi dalle risate. Non ne posso fare a meno. È automatico. È come vedere una barca a motore con la sigla di Aosta (eppure ci dovrà pur essere!). Comincio a vedermi il Cinquino tirare fuori l'elica nascosta e lanciarsi per i rii e i canali assieme ai motoscafi e ai vaporetti. Mi vedo il sior Ballarin coltivare i peòci nel bagagliaio, o qualche baldo giovanotto in maglietta a righe orizzontali farne una specie di gondoèta dei poveri, un giro 2 euri e quando mi stanco accendo il motore e vo in tasca al remo....insomma, cose del genere. La città di Venezia, con la sua particolarità, catalizza sempre tutto e fa scordare che ha pur sempre una provincia, che c'è Mestre, un entroterra, l'allegrissima e saluberrima Porto Marghera...insomma, tutte le macchine che si vogliono. E la provincia di Venezia ha infatti sfiorato la lettera A: si è fermata, l'infausto 7 luglio 1994, a VE 966684. Il qui presente Cinquino, emigrato in riva all'Arno, è invece del 1971.

Il Fondo Cristina (8): Frisco


Una MG fa sempre piacere ogni tanto su questo blog; quella fiorentina la vedo oramai quasi ogni giorno, parcheggiata in un dato punto della città dove passo assai sovente. Ma questa qua di oggi, eh, sarà ben difficile che la veda mai se non nella foto presa da Cristina la Meharista, che forse sarebbe opportuno chiamare anche Cristina 'a Grobbettròtter. Infatti, grazie a lei, per la prima volta il TB si spinge oltreoceano: la foto è stata presa nientepopodimeno che a S. Francisco, o Frisco che dir si voglia.

Ecco, ora ovviamente non so più che cazzo dire. Non vorrei lanciarmi sulla solita iconografia, Alcatraz, l'ispettore Callaghan, Lombard Street, il terremoto del 1906...però davvero mi trovo in crisi profonda. Saranno i postumi dell'influenza? Chissà. Intanto mi godo (spero assieme a tutti voi) 'sta Emmegì azzurra che gli è sempre un bel vedere, vicino al Mugnone o per le strade di San Francisco, come recitava i' telefìrme con Karl Malden. E poi, in fondo, noi di Sanfrancischi 'e se n'ha da vendere, più dell'americani. C'è il San Francesco su a Fiesole, c'è quello subito dopo Pontassieve...basta infilarci la MG nostrana e il gioco è fatto!

giovedì 11 marzo 2010

Benzina





Un Treggista esperto sa sempre dove andare a parare. Ci sono dei luoghi dove la Treggia è di casa, ed uno di questi sono le pompe di benzina; nelle loro aree si trovano spesso dei tesori, ed in questo blog ve ne sono già degli esempi. Diventa un piacere fare benzina in posti dove ci s'imbatte, che so io, in una Giannini 500 TV.

Non c'era soltanto la Abarth. La Giannini Automobili, con sede a Roma in via delle Idrovore della Magliana al numero 57, era specializzata ugualmente nella rielaborazione sportiva (o "bombardata") di piccole vetture di serie, particolarmente della 500 (come in questo caso). Fondata il 21 marzo 1963, la Giannini ha una storia complessa ed è ancora in attività sebbene limitatamente alle carrozzerie ed alle commesse per la Guardia di Finanza e per il ministero dell'Interno. Presente nel settore sportivo, per un certo periodo fu protagonista assieme alla Abarth delle gare riservate alle vetture elaborate.