lunedì 28 ottobre 2013

Macerata (nell'invidia)




Le invidie de' Treggisti Militanti®, intendiamoci, le son tutte bòne. Tanto più da quando giro con la Plog (che si vede bene nella prima foto), che è di per sé una treggia di quelle majuscole; sono invidie positive, naturalmente frammiste alla felicità (inspiegabile per i non-treggisti) di aver beccato in giro normalmente, un bellissimo sabato settembrino appena fuori Firenze, una vettura del genere. A chi per caso non la conoscesse, presento la Lancia Fulvia Sport S carrozzata Zagato (motivo per cui, da quasi tutti è detta la "Fulvia Zagato"). L'esemplare maceratese reca un'immatricolazione del 1978 e una bella "targa quadrata farlocca", in questo caso però del tutto giustificabile perché quella originale sarebbe stata arancionera, un vero obbrobrio su una vettura del genere. Da ricordare che la produzione della Fulvia Zagato cessò in realtà nel 1972 dopo che, nelle varie versioni, ne erano stati prodotti 6183 esemplari.

 6183 non sono tanti. E' una vettura, davvero, che non si vede comunemente. Infatti, quando mi ha superato sulla provinciale, ho tirato le classiche madonne del Treggista, perché la Plog a GPL è maestosamente lenta, oltre che scarburata all'inverosimile (io, però, ci so andare sulle macchine scarburate perché sono sempre state la mia normalità). Mai mi sarei potuto sognare un inseguimento a quel bolide; la sorte ha voluto, però, che dopo pochi metri si fermasse per aspettare degli amici rimasti 'ndrèo. E, allora, il Treggista è scattato come una molla.

La Fulvia Zagato era stata disegnata da Ercole Spada ed era stata lanciata nel 1965. Curiosamente, nonostante recasse la dicitura di "Sport", non ebbe alcuna carriera sportiva. Era inadatta ai rallies (a differenza della Fulvia Coupé di Castagnero, che nei rallies vinse tutto) a causa della monoscocca; sarebbe stata adattissima alle corse in pista, ma allora la Lancia non vi partecipava. Rimase quindi una "sport" solo nel nome, a parte qualche esemplare di scuderie private che vennero fatti correre in circuito.

Ciò non toglie nulla, ovviamente, alla sana invidia di chi vede qualcuno mordere la strada su una di esse. Ivi compreso il sottoscritto che, probabilmente, avrebbe qualche difficoltà a entrarci dentro.

Replay in blecchenuàit





È un replay perché l'avete già vista nel TB. Dev'essere una delle più vecchie 500 presenti a Firenze (è dei primissimi mesi del 1963) e la trovate nel "mare magnum" dei Cinquini, fotografata da Mark B. Stavolta, però, l'ho beccata di persona e un Mezzosacco del genere lo si rifotografa senza fiatare. Per "differenziare" un po' la cosa, ho pensato di fare delle foto in blecchenuàit (la mia religione mi impedisce di pronunciare il termine "bianconero", ndr). Eccovela dunque qui, ancora perfetta; se volete vedere i suoi bellissimi sedili rossi, cercate le altre foto. Oggi mi fa un'estrema fatica fare i link...

domenica 27 ottobre 2013

San Vincenzo a Torri



Da che cosa stavamo tornando, io e due miei amici (la Cristina e Claudio "Ricciolino"), lo racconterò presto su un altro blog. Uno di quei pomeriggi qualsiasi nelle campagne fiorentine, che per un motivo imponderabile diventano magici; mettiamola così. Ma a noialtri, qui, interessano le tregge; così quel pomeriggio, a San Vincenzo a Torri, sul far della sera di un giorno di questo tardo ottobre che ha voluto fare da contraltare al maggio autunnale del 2013. Maggio autunnale, e abbiamo un ottobre in cui si sta ancora tranquillamente in maglietta a maniche corte. Passando per San Vincenzo a Torri (da cui non passavo da un bel po'), è stato come se mi sentissi qualcosa. Il pomeriggio non era stato sul lato "tregge", ma aveva avuto a che fare con un'altra mia passione (che, in questo caso e come si vedrà meglio poi, definire "bruciante" è del tutto letterale; tranquilli, però, non eravamo andati assolutamente a dar fuoco a qualcosa!); però San Vincenzo a Torri è un posto che mi ricorda qualcosa. E qualcuno, con tutti i contrasti possibili e immaginabili; naturalmente sono fatti miei, che non hanno posto qui; ma mi succede spesso di passare per posti del ricordo, e che mandano una specie di segnale. Anche con una treggia. Allora si scende, rischiando di essere persino travolti sulla trafficatissima provinciale.


A San Vincenzo a Torri, in uno di quei terreni di campagna che non si sa se siano orti, magazzini e chissà cos'altro, stava tranquillamente a disfarsi questa meraviglia. Immobile, ferita, con sopra i brandelli di un telone blé che la avvolgevano in un modo stranamente elegante. Come se la sua bellezza non volesse, né potesse mai morire anche in quelle condizioni miserevoli, di relitto nelle campagne. Con ancora la targa anteriore, che la pone nell'anno 1963. Ha cinquant'anni come me, questa Alfa Romeo Giulietta berlina in un tardo pomeriggio d'ottobre; mi è venuto, dopo averla fotografata, di carezzarla. Di farle coraggio. Di dirle che tutti, uomini o macchine che siamo, dopo aver vissuto cinquant'anni s'avrebbe il diritto di.... ma di chissà cosa, in fondo. Forse soltanto quello di immaginare che anche una macchina ridotta a un rottame possa, in qualche modo, sentirlo. Per questo, da oggi va a finire nel logo del blog.


San Vincenzo a Torri. Una strada e due file di case, con la campagna attorno. La città è vicina, anche se si chiama in un altro modo da quella principale; non importa, non c'è alcuna soluzione di continuità. Un tempo, le Torri c'erano anche nel comune di appartenenza, che ora si chiama diversamente; Casellina e Torri si chiamava. Chissà quante di quelle volte la Giulietta sarà salita, che so, alla Roveta. O si sarà fatta comunque vedere in quelle plaghe sconciate nella piana e tenutesi bellissime sulle colline; proprio per questo io sono un percorritore instancabile della piana, alla ricerca di quel che è rimasto. Lo sguardo gira attorno cercando, cercando sempre. Si trovano infinitezze in cose impensabili e comunissime. Facile cercare e trovare l'infinito di fronte al solito oceano, alla solita montagna o al solito cielo stellato; si provi un po' a cercarle in un terreno sciamannato sul bordo di una strada, o nel rottame di una vettura. 


Così si vedono anche le espressioni che il tempo fa assumere alle cose. In un'epoca di cose, e cose, e cose su cose, verso le cose stesse non si ha il minimo rispetto. Non sono certamente uno propenso all'anima e a ragionarvi sopra; però si guardi questa foto. Sembra che il muso della Giulietta sia meravigliato, stupito. Con quei due fanali che sembrano puntarti, e la calandra una bocca spalancata. Forse, chissà, dipendeva anche dal genio dei progettisti che davano una vera e propria fisionomia alle automobili; cosa che non esiste più, con le vetture di adesso che dicono solo banalità e standardizzazione, che dicono gusto imposto e pensiero unico. Per questo le rifiuto in blocco, anche le più sofisticate tecnologicamente. C'era una bellezza imponderabile nella meccanica che poteva piantarti in asso, e nella quale potevi mettere le mani senza centraline elettroniche, con un par di chiavacce inglesi, uno svitacandele e un cacciavite. Forse, chissà, questa macchina la si potrebbe far ripartire e risentire il rombo Alfa. Il rombo vero di quella vera.

Messa com'era, ho provato a andare a fotografarla un po' anche di dietro. Il dietro stava in mezzo a un delirio di piante. La targa posteriore non c'era più. Questo è il massimo che mi è riuscito, rischiando di finire in un fosso. E ci sarei anche finito senza problemi, se fosse stato necessario. San Vincenzo a Torri, giovedì 24 ottobre 2013; e se quella era Giulietta, mi sono sentito una specie di Romeo con addosso una magliettaccia bisunta e una gran voglia di non mollare mai nulla.

Elogio de' cami



Si dice "alluvione" e si pensa, naturalmente, solo a Firenze; invece, il 4 novembre 1966, letteralmente mezza Toscana andò sott'acqua; e non soltanto per l'Arno. Qui, ad esempio, siamo a Tavola, una frazione del comune di Prato (allora, naturalmente, in provincia di Firenze); e ad andar di fuori non fu affatto l'Arno, che di lì non passa, bensì l'Ombrone Pistoiese. Non è un gran fiume, l'Ombrone; ma in quel giorno bastò per far passare a Tavola e alle località vicine delle pessime giornate. E qui, come in decine di altri posti, si rivelò appieno l'importanza de' cami.

Nel contado fiorentino, a cui Prato e dintorni appartengono di diritto nonostante qualche recente e sporadica presenza cinese, la parola camion non ha cittadinanza. Si dice camio (occhettù l'ha' raccomodaho qui' camio?...), e il plurale è regolarmente cami ('e gli ero sulla Montalese e m'è toccaho di passà una fila di hami, sennò arrivào dopo la musiha). E qui, infatti, vediamo all'opera un camio che salva una bella quantità di tavolani (o tavolini?) durante l'alluvione. Per la strada, tutti muniti di pantaloni impermeabili da pescatore e di un gommone, alcuni cittadini danno una mano agli altri a montare sul pianale di' camio, che poi è un Fiat 642RN del 1960. Allora era un "virgulto" di circa sei anni di età, a noialtri fa senz'altro impressione vedere un camion di 53 anni fa impegnato in una circostanza del genere e col suo proprietario alla guida.


I camionisti tavolani dovettero essere tutti chiamati a dare una mano in quei giorni da cani; qui siamo nel centro del paese e l'acqua sembra un po' più bassa. I' camio stavolta è telonato, ma ugualmente stipato all'inverosimile di gente; deve trattarsi di un altro 642, leggermente più vecchio del precedente (sempre del 1960, ma avanti di qualche mese); si intravede sulla destra un altro camion, ma palesemente militare.

Bisogna moltiplicare le scene di queste foto all'inverosimile per capire l'importanza che i mezzi pesanti ebbero in quei frangenti difficili; chi aveva la ventura di possederne uno lo mise a disposizione di tutti, salvando non di rado qualche vita. I camion non sono, come è noto, molto presenti nel TB; trovare un mezzo industriale o da lavoro di una "certa età" è davvero rarissimo. Ricorrendo a "foto d'epoca" come queste, si rende loro un omaggio e un elogio meritato.

sabato 26 ottobre 2013

L'isolato dell'Isolotto, la Giulia e il destino che congiurava




L'isolato dell'Isolotto dove abito è racchiuso da due treggiaje assolutamente di prim'ordine. La prima è l'oramai famosa via Ciseri, che a dire il vero negli ultimi tempi si è un po' "calmata" (ma ricomincerà, siatene certi); l'altra è via Pio Fedi. Se Antonio Ciseri era un pittore (nativo del Canton Ticino, ma vissuto quasi sempre a Firenze), Pio Fedi era uno scultore; non mi dispiace, come dire, essere circondato da artisti (anche perché sul retro ci ho Amedeo Modigliani, e non lontani Silvestro Lega e Antonio Canova). Ora, va detto, via Pio Fedi imperversa alla grande; eccola qui, infatti, nel suo grande fulgore dopo aver dato al TB addirittura una Bentley.

Nell'Isolato dell'Isolotto trova posto anche un campo sportivo, il "Boschi"; sembra che ci abbia tirato i suoi primi calci un giocatore famoso, Francesco Flachi (ex della Fiorentina, e poi divenuto storico capitano della Sampdoria), mentre ora ce li tira tale Giovanni, che sta diventando un mio idolo. Il parcheggio condominiale dà su un lato del campo, mentre l'altro (con l'ingresso, o uscita) dà, appunto, su via Pio Fedi; e proprio dal campo sportivo "Boschi" sta uscendo, scintillante nella sera d'autunno, questa Alfa Romeo Giulia del 1969. Il posto giusto per uscire, per una macchina del '69: il campo dell'Isolotto (e la relativa società calcistica dilettantesca) fanno infatti parte del "vivaio" della Fiorentina, e come si sa l'ultimo scudetto vinto dai Viola è stato proprio nel 1969.

Il destino congiurava senz'altro. C'è un motivo per cui in via Pio Fedi si vedono spesso tregge più che notevoli: ci ha l'officina un meccanico che è, per l'appunto, specializzato in auto d'epoca. Quando mi sono trasferito all'Isolotto, nel febbraio del 2008, non lo sapevo e il Treggia's Blog era ancora di là dal venire; ma, evidentemente, il Dio de' Bivi era già in azione e aveva deciso un luminoso futuro per il sottoscritto...

D'estate si gira




D'estate si gira, e quest'estate ho cercato -nei limiti del possibile- di girare quanto più possibile. Rigorosamente per la Toscana; da un po' di tempo sono convinto che le cose più belle e interessanti (non solo per quanto riguarda le automobili) si trovino a pochi passi da casa, e il vasto mondo l'ho già girato a sufficienza per osservare e capire certe cose. Girare il più possibile, perché l'estate non è stata tra le migliori; fortunatamente, nel mese di agosto, pur essendo ancora appiedato sono stato scarrozzato in lungo e in largo dalla Piasintëina, la quale sa bene cosa la aspetta ovunque si metta il naso. Qui, ad esempio, siamo nel pieno centro storico di Siena, esattamente sotto la Fortezza; stavolta la "treggia senese" non appartiene alle numerose che si vedono a Firenze e provincia (del resto sono città e provincie vicinissime, nonostante le "divisioni storiche". 


Quando si becca un automezzo del genere, è buona norma per il Treggista Militante® andare subito a dare un'occhiata davanti; bisogna vedere se c'è lo stemmino Fiat o quello dell'Autobianchi. Come è stato detto più volte nel TB, la Fiat 500 Giardiniera, ad un certo punto, fu "passata" al marchio Autobianchi proprio attorno al 1973, anno di immatricolazione di questo esemplare Il motivo è presto detto: in quel periodo la Fiat lanciava la 126, e mantenere in catalogo un automezzo derivato palesemente dalla 500 fu visto come inopportuno (la 500 base era comunque ancora in produzione, e lo rimase ancora per qualche anno). A priori, non si può mai sapere (a parte nel caso di esemplari molto vecchi, che sono per forza Fiat, o di esemplari molto recenti che sono per forza Autobianchi) se iscriverla tra le Fiat o tra le Autobianchi, dato che i mezzi sono assolutamente identici; infatti sono andato a controllare, trovandomi di fronte a un caso frequentissimo: non c'era nessuno stemma, né Fiat e né Autobianchi. Lo avevano, come sempre, tirato via; oppure si era semplicemente staccato per l'azione del tempo.

Ho quindi attribuito la prodigiosa vetturetta alla Fiat, ma squisitamente "per decreto". Proprio in quell'anno 1973 (ha quarant'anni 'sta grande piccola macchina) non si può proprio decidere. D'estate si gira, e si devono prendere anche siffatte, bislacche decisioni!

lunedì 21 ottobre 2013

Sulla testa dei re




O Gentiluomini! Il tempo della vita è breve!, scriveva qualche tempo fa un barbaro non privo d'ingegno, concludendo poi che Siamo nati per marciare sulla testa dei re. Era sicuramente inglese, quel tizio, e non vedo quindi perché, ogni volta che si nomina un inglese, lo si debba chiamare un suddito di sua maestà britannica. Ad esempio, sono ragionevolmente certo che chi va in giro con una "cosa" del genere, sia ben lungi dall'essere assimilabile ai Windsor e ai cretini planetari che sbavano dietro alle loro vicende, alle loro figliate e ai royal babies di merda, e sia invece piuttosto incline a marciare sulla testa (di cazzo) dei re, possibilmente con questo meraviglioso mastodonte che sembra uscito fuori diritto da un film di Ken Loach (si pensi agli scassati furgoni proletari e disoccupati di Piovono pietre).


Siamo ancora a Volterra lo scorso mese di agosto, e nel medesimo parcheggio a' pie' delle mura che si è rivelato una treggiaja in piena regola, e di prima categoria. Quando ho visto questo "coso" qua con la targa britannica, ripresomi un po' dopo l'iniziale stupore dovuto anche alle sue dimensioni da rimorchiatore, mi son dimenticato immediatamente della mia scarsa propensione verso i camper; questa cosa qui va oltre il camper. E' un appartamento proletario degli slums di Liverpool o della periferia degradata di Newcastle-Upon-Tyne messo su quattro ruote. Doveva essere, in origine, una specie di autobus urbano su base Mercedes 410 (o comunque un mezzo di trasporto pubblico, esattamente della linea 25E di chissaddove) dismesso e poi rimesso a mobilhome utilizzando discariche, rottami, pezzacci di risulta e Iddio solo sa cos'altro; poi, manacce di pittura verde militare, abbondante legname, un pannello sul quale i ragazzi si devono essere divertiti a tirare barattolate di vernice avanzata (si veda la seconda foto dall'alto) e un serbatojo dell'acqua che sembra sbarbato da una raffineria. Sul retro, una cinghia elastica tiene non si sa cosa, ma sembra decisamente che tenga insieme l'intero automezzo sul punto di aprirsi come un cocomero. Indimenticabile. Chi ha concepito una cosa del genere, e si parte dall'Inghilterra per arrivare fino a Volterra (che fa pure la rima), marcia a mio parere sulla testa dei re. Oltre, naturalmente, a suscitare l'ipotesi che ci abiti dentro e ci vada in giro per il vasto mondo; le sue dimensioni, va detto, equivalgono perfettamente a quelle di un monolocale. Sospetto che quello dove vivo io sia suppergiù uguale, se non più piccolo.


Dalla foto sopra appare ancor più chiaro l'aspetto da carrarmato del mezzo; un'altra cinghia elastica sembra tenere assieme i pannelli laterali. Naturalmente, essendo una casa, ci ha bisogno anche di un po' di arredo:


 La cosa merita un ingrandimento (cliccare sopra):


Si notano: un'intera tapparella in legno arrotolata con cura e di dimensioni sufficienti per coprire la vetrata di una chiesa parrocchiale del Sussex, svariate palle da tennis, un veliero in legno con tanto di piedistallino, una collezione di conchiglie che sembra un museo di malacologia, un paio di occhialacci lasciati sopra una cartina rigorosamente bisunta e, in ultimo, un recipiente di plastica qualsiasi, sicuramente multiuso. Amo chiunque abbia fatto una cosa del genere.

Stavo già sognando di investire con questo mezzo tutta la famiglia reale britannica (e non certamente a Pavìgi ma a un incrociaccio del West End) e di proclamare immediatamente la Repubblica provvedendo anche all'immediata impiccagione di tutti gli inviati speciali che ci tengono aggiornati sulle vicende di quei regali coglioni, quando sono stato riportato alla realtà dal bollore immane che faceva quel giorno, e anche dalla scalinata altrettanto immane che mi aspettava per salir su all'Etrusca Volterra. Ma resta il fatto che marciare sulla testa dei re con un mezzo del genere è cosa degna. Dopo avere spiaccicato William e Kate, sarei anche disposto a mettere sulla fiancata un'immagine di San Crispino. Potrei risparmiare solo Camilla, a condizione però che vada sposa a un muratore settantaduenne di Barletta.

Modena ci garba così!




Prima di tutto c'è da decidere di quale "850 spiaccicata" si tratti: una Coupé o una Sport? Diciamo un ibrido su base decisamente Coupé. Il retro è Coupé, con tanto di classici monofanali tondi e la classica targhetta "Fiat 850" che era anche della berlina, il modello base; il davati sembra una modifica posteriore fatta in modo da rendere la vettura più simile a una Sport. Ma senz'altro si tratta di una modifica della Coupé, e come tale registro questa protagonista di uno di quei parcheggini che te li raccomando, mezza sul marciapiede naturalmente non dico dove (sennò magari gli fanno la contravvenzione). Ad ogni modo, a questa modenese si perdona tutto, anche la ritargatura del 1981 (il modello dovrebbe essere quantomeno del decennio precedente, per non dire addirittura dei tardi anni '60); tanto più che si tratta di una reimmatricolazione che ha dato una combinazione interessantissima, coi gruppi di 3 cifre "anagrammati" (536 563).



Perché il titolo? Perché, notoriamente, io detesto clamorosamente le Ferrari, l'italico mito, il cavalier Ferrari Enzo e la sua mitologia, Maranello e godo come un riccio quando perde in Formula Uno. Ora si dà il caso che, quando si nomina Modena, in 98 casi su 100 è per la Ferrari (le altre 2 sono equamente divise tra lo zampone e l'aceto balsamico, senza mai tenere presente la cosa per la quale la città emiliana dovrebbe andare più fiera, vale a dire quella di avere dato i natali a Francesco Guccini -che la chiamò piccola città, bastardo posto in una sua indimenticabile canzone, definendosi poi in un'altra un modenese volgare "a sudarsi un amore fosse pure ancillare"). Mi fermo qui perché non vorrei dover dire che a Modena è nato anche Carlo Giovanardi; naturalmente non ho assolutamente nulla contro Modena e i modenesi, tutt'altro, però davvero Enzo Ferrari, la Ferrari, i ferraristi e tutto il resto non li ho mai retti nemmeno di striscio. Indi per cui, a me mi garba la Modena delle Ottocentocinquanta Coupé "sportizzate", dell'erbazzone (quella favolosa cosa!) e, lo ribadisco, di Guccini.

domenica 20 ottobre 2013

Pescare un Jolly in vacanca


È lei, certamente. La treggia del logo, quella che -a suo tempo- inseguii fino al cimitero di Marina di Campo. Senz'altro è una delle autovetture italiane più rare in assoluto: ne furono prodotti pochissimi esemplari, e quando trovai quello famoso all'Elba, ebbi davvero la precisa sensazione di aver pescato un Jolly. Infatti, Jolly in piena regola è: la Fiat 600 Jolly Ghia.

Auto da ricchi, anzi ricchissimi, che se ne servivano come tenderino da sistemare sui loro lussuosi yacht; non per niente, sembra, ne avesse acquistati un paio di esemplari nientepopodimeno che Aristotele Onassis, e dico poco. Altri esemplari fanno servizio taxi sull'esclusiva isola di Santa Catalina, in California; e sembra che tale autovettura abbia un "feeling" con le isole. Questo esemplare qui, infatti, proviene dall'isola della Maddalena, in Sardegna. Quella del finto "G8" di Berlusconi e Bertolaso, per intenderci.


Questa volta, però, niente inseguimenti. Alla Maddalena, del resto, non ci ho mai messo i miei piedoni. Mi proviene, ebbene sì, dai Caporniani, i quali, però, stavolta neppure loro hanno provveduto di persona. Le foto sono state infatti scattate da Raffaele, un loro amico che di mestiere guida gli autobus (o che bel mestiere / l'autoferrotranviere...), che per l'appunto era in vacanca alla Maddalena e si è ritrovato davanti la Jolly Ghia con tanto del classico tettino a tendina (come a Santa Catalina). Dico vacanca perché nella mail inviatami dal mitico Studio Capornia così si scrive, e la vacanca mi è piaciuta talmente da immortalarla!


La 600 Jolly Ghia vacanchiera della Maddalena ha, come si vede, una bella targa del Principato di Monaco. Chissà come mai, ma non mi aspettavo che avesse targhe del Bangla Desh o della Sierra Leone; vorrei ribadire che questa è una Seicento da straricchi. Lo era in origine, dal '58 al '63 quando fu prodotta in scarsi esemplari, e lo è tuttora che, in tutto il mondo, ne rimangono circa un centinaio. Di cui 32 solo nell'isola di Santa Catalina; nel resto del mondo ce ne sono quindi solo una settantina. Una era all'Elba lo scorso anno e l'ho beccata io; e un'altra alla Maddalena, e l'ha beccata quest'estate in vacanca il nostro Raffaele, che dev'essere quello nella foto (e ce lo lascio pure, perché tutti 'sti discorsi del cazzo sulla "privacy" quando oramai Facebook apre i profili anche dei minorenni mi sembrano una ridicola fuffa, preso per assunto che Raffaele non sta facendo assolutamente nulla di proibito né da Iddio, né dalla giustizia). Casomai Raffaele avesse qualcosa in contrario, comunque, me lo faccia sapere.

I Caporniani, nella loro mail, mettono l'accento su una cosa importante: il "disegno" della carrozzeria laterale ottenuto mediante l' "eliminazione dello sportello". Metto fra virgolette perché, in realtà, le 600 Jolly Ghia lo sportello non lo avevano proprio. Mezzi estivi fatti per sbarcare da yacht tipo il Paperone de' Mari, lo Stiàffo alla Miseria o il Bracciante (il famoso panfilo della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare), dovevan servire allo sciòppingh sulle isole più eleganti & esclusyve (in attesa che qualche loro proprietario fosse un giorno o l'altro sbarcato su altre isole, come Pianosa o Alcatraz), e lo sportello non serviva di certo. Però, rispetto all'esemplare "elbano", questa Jolly monego-sarda presenta effettivamente un particolare disegno laterale senz'altro molto bello, anche se possibilmente foriero di gran ginocchiate per non dir di peggio.

giovedì 17 ottobre 2013

Volterra: Tregge, Vino, Canzoni



Lo scorso mese di agosto, durante il silenzio blogghistico, io e la Piasintëina siamo andati a Volterra, etrusca, ventosa e alabastrina città antichissima. Ci siamo andati con l'intento d'assistere a un'iniziativa del locale Circolo Anarchico, che è sito immediatamente sotto il Maschio che ci riporta al celebre canto del Batacchi; iniziativa che prevedeva anche un concerto del cantautore (anarchico) Alessio Lega e del suo fisarmonicista Guido Baldoni (che è il figlio di Enzo Baldoni). Tra parentesi: il circolo Anarchico di Volterra è dedicato a Pietro Gori. Così tanto per non allontanarsi troppo dal leitmotiv di quest'ottobre.

Volterra bisogna farsela a piedi; anzi, a scale. Bisogna lasciare la macchina a un parcheggio pubblico sotto le ciclopiche mura, e poi scarpinare come forsennati. Il Dio de' Bivi ha vorsùto che, proprio nel parcheggio dove avevamo lasciato la macchina, si trovasse il furgone dell'osteria dove si doveva andà a mangiare noialtri anarcacci impenitenti: la Vena di Vino. Da qui l'insolita foto iniziale, che mostra la fiancata del bàcchico furgone. Anarchia, Vino e Tregge: una sintesi pressoché perfetta nella bollente giornata estiva. Il furgone dell'osteria era questo:


Insomma: l'osteria volterrana, come proprio mezzo di lavoro, è andata a scovare nientepopodimeno che un T2 pianalato originario del Portus Naonis, vale a dire Pordenone. Un mezzo di per sé parecchio raro: nel TB, credo, è soltanto il terzo esemplare. La provincia di Pordenone fu istituita nel 1968, ed è notoriamente la provincia di recente creazione che ha raggiunto, come targhe automobilistiche, il numero più alto (il 5 maggio 1994 si fermò definitivamente a PN 361800, una targa che molte provincie originarie del '27 manco si sono sognate). Con questa targa siamo al 1972.

Sarebbe bastato questo; senonché, la sera stessa è accaduta una cosa che posso tranquillamente definire unica.

Terminata l'iniziativa al Circolo e consumata un'abbondante e parecchio alcòlica cena all'osteria (dove, come è lecito attendersi, non sono stati serviti raffinati e delycati piattini fronscèsi), è arrivato il momento del concerto; il quale si è tenuto nella medesima strada del centro volterrano dove si trovano sia il Cricolo Anarchico che l'Osteria. Strada curiosamente addobbata di vessilli rossi e neri misti a quelli del solito corteo storico in finti abiti medievali, cosa di prammatica nelle estati delle storiche città toscane e di mezz'Italia. Una strada parecchio stretta, ovviamente; dove avrebbero sistemato i mùsici? Presto detto, e guardate un po':



Come dire: nel TB, in quattr'anni e mezzo, se ne sono viste di tutte e di più però una treggia trasformata in palco musicale no, non s'era mai veduta. Una treggia spettacolare nel senso più letterale del termine. Vi potete immaginare come mi sentivo: come un pesce non nel mare, ma addirittura in più mari che gli sono diletti. Tutti quanti, peraltro, mari di ottimo vino; lo conoscevo poco, il vino volterrano, ma devo dire che si si fa bere parecchio bene pur non avendo pretese di chissaccosa. Erano giorni un po' così, ed è stata una serata che mi ha -tra le altre cose- risollevato parecchio. In fondo, come il vino di Volterra, neppure io ho gran pretese. 

Alessio e Guido li conosco da un bel po'; sono, oltre che ottimi artisti, soprattutto amici e compagni. Sono persino riuscito a far loro cantare una canzone di parecchio tempo fa, che non fanno più usualmente in concerto. Vi vorrei, per oggi, lasciare con questa. Parla della tomba di un aristocratico russo che ne combinò di cotte e crude.




mercoledì 16 ottobre 2013

Ultime nòve dalla Treggiaja Campese


Il grosso spiazzo all'inizio di Marina di Campo, normalmente adibito a parcheggio ma dove, il mercoledì mattna, si tiene il mercato, può oramai a buon diritto chiamarsi la Treggiaja Campese. Uno di quei posti dove il Treggista Militante® va praticamente a colpo sicuro; e di "colpi sicuri" ne avevo bisogno quest'anno, in cui le Tregge Elbane sono state dimolto poche. 

La Treggiaja Campese si trova, come detto, all'inizio del paese di Marina di Campo. I campesi chiamano quel quartiere, edificato pressoché in modo selvaggio negli anni '60, "Longarone"; probabilmente dovette ricordare loro, coi suoi palazzoni, la diga del Vajont. Il soprannome, però, si è rivelato curiosamente e spiacevolmente premonitore un paio d'anni fa precisi, il 7 novembre 2011, quando tutta Marina di Campo è stata sommersa da due metri d'acquaccia e fango. Nulla di paragonabile, fortunatamente, all'immane tragedia del Vajont (anche se una persona è morta); ma forse, d'ora in poi, sarà meglio soprassedere con certi soprannomi.

Ci è stata "consegnata", come ultima Treggia Elbana del 2013, questa 500 pistoiese in trasferta sull'Isola, imprezïosita da addobbi fiatteschi all'interno; è del 1972.

martedì 15 ottobre 2013

Sant'Ilario, Anarchisti e Vespe


Stavolta, come vedete, sono stato di parola. Avevo promesso un rapido ritorno al TB dopo qualche giorno sull'Isola, ed eccomi qua con tante, tante cose negli occhi e nella mente, e anche con qualche piccola treggia. Non bisogna aspettarsi granché, d'ottobre all'Elba è grassa se ci sono gli abitanti; ma qualcosa s'è rimediato, e anche qualcosa di pressoché strabiliante come questa qui.

Il paese di Sant'Ilario. nome completo Sant'Ilario in Campo, se ne sta arroccato su balze di granito accanto al suo "fratello di pietra", San Piero (in Campo anche lui, come Rinaldo), alle pendici del Monte Perone prima, e del Capanne poi. Se qualcuno crede che la qualifica di "monte" sia un po' troppo per delle alture che superano di poco i mille metri, provi a partire la mattina e andare su, in cima, a piedi; certo, non saranno le vette himalayane e nemmeno quelle alpine, ma arrivare lassù non è nemmeno uno scherzetto da ragazzi.  A differenza dell'Himalaya e delle cime alpine, poi, una volta in cima si vede un mondo di mare, di isole e di coste; mi spiace molto per le sacre vette del Pamir, dove peraltro non sono mai stato e dove non metterò mai piede, ma io non farei a cambio con la Pianosa, con Giannutri, con la Capraia e anche con la Corsica. A ciascuno il suo, e il mio è questo qua.

Sant'Ilario e San Piero sono stati paesi di cavatori di granito, e sembra che tra il cavar pietre e l'Anarchia ci sia sempre stata una certa qual corresponsione; Carrara docet. Fatto sta che Sant'Ilario, che peraltro (al pari di San Piero) è un paese di stupefacente bellezza, si è ritrovato non dico a far nascere, ma a fabbricar la materia prima e ad accogliere sovente una delle principali figure dell'Anarchismo italiano: Pietro Gori.


A chi, meschin'egli, non conoscesse il nome di Pietro Gori, gioverebbe forse ricordare che è l'autore di Addio Lugano bella, il cui manoscritto è conservato proprio all'Elba, presso l'archivio del Comune di Portoferrajo; e, del resto, l'avvocato libertario la cui intera vita fu al servizio degli Umili e de' Diseredati, e che per questo ebbe a patire galere e esìli, era di famiglia elbana, e giusto di Sant'Ilario in Campo, nonostante fosse nato per isbaglio a Messina nelle Sicilie. All'Elba e a Sant'Ilario sempre fu legato a doppio filo, rimanendo una figura quasi sacra per gli elbani anche in tempi di mia memoria; e a Portoferrajo partì da questo mondo il giorno otto di gennajo del mille e novecentoundici, a soli quarantasei anni. L'Elba si riempì di lapidi, monumenti e strade dedicate a Pietro Gori, che -come si legge in questa, "il fascismo violò" e che furono "riconsacrate dal popolo".


Indissolubile, quindi, il nodo tra Pietro Gori e Sant'Ilario di pietra; e, a ribadirlo, oltre al Pietro suo, Sant'Ilario è nota per aver dato i natali anche ad un noto musicista, il compositore di operette Giuseppe Pietri (l'autore dell'Acqua Cheta). Pietre, Pietro, Pietri; tutto sembra tornare. Ivi compresa la Vespa di partenza, ve la ricordate?, che sembra essersi un po' persa in tutto questo gran divagare. Eppure, anche lei partecipa dell'immenso uman pietrame che siamo andati cavando stasera.


Dentro Sant'Ilario non si entra con le macchine. Non servono divieti perché il paese di vieta da solo: praticamente è fatto tutto a scale e gradini. Per qualche viuzza o angiporto, però, un Vespino può passare; e ci può esser sempre bisogno di portare un pacco d'acqua, un pentolon di zuppa o un mezzo cignale marinato a casa. Indi per cui, un Vespino come questo "Primavera 50" d'un anno imprecisato perché nascosto dal moderno targhino del càppero, ma sicuramente non vicino, è un mezzo che a Sant'Ilario ci sta a meraviglia.


A Sant'Ilario, ovviamente, non si va tanto per il sottile. Il salmastro scrosta le vernici, e a un certo punto c'è bisogno di dare una bella riverniciatina: alle persiane, ai muri e alle Vespe. Allo stesso modo e anche con lo stesso colore delle persiane: si piglia una pennellessa, e via. Se è avanzato un barattolo di vernice, perché sprecarlo? Dalle foto non so se appare chiaro a quale razza di riverniciatura sia stato sottoposto il Vespino; ma vi posso assicurare che, dal vivo, faceva un effetto quasi di allegria!

venerdì 11 ottobre 2013

Far finta di essere nani


Da quando il vostro Treggista Preferito® si è ritrovato non soltanto di nuovo motorizzato, ma addirittura ben "treggiato" a puntino con la "Plog", ha scoperto sensazioni del tutto nuove, e alquanto gradevoli. Dopo aver passato anni a fotografare tregge altrui a bordo di sia pur gloriose utilitarie, ora è il suo turno di essere osservato. Scoprire gli sguardi di stupore ai semafori, i labiali dei bambini che dicono al babbo "guarda che macchinaaaaa...!", l'ometto che ti chiede informazioni quando la vede parcheggiata, il tabaccaio che ti chiede addirittura di farci un giretto sopra...Treggista sempre sì, e nell'anima, ma ora anche un po' oggetto di eventuali altri Treggisti. Come dire: il mondo sarà sì una valle di làgrime, ma qualcosa deve pur addolcir la vita. 

Stavo giusto ragionando di tutto questo tra me e me, l'altro giorno, appena voltato l'angolo di casa; perché, ebbene sì, siamo sempre -e imperterritamente- all'Isolotto. Mentre stavo ragionando, ecco che mi spunta davanti questa cosa qui.


Una delle sensazioni cui stavo pensando, è quella di essere a bordo di ciò che è stato un mastodonte. Ai suoi tempi, vale a dire quelli di vetture di dimensioni dal piccolo all'umano, una Mercedes 200 faceva la sua porcaccia figura coi suoi cinque metri e dieci; ora, d'accordo, in confronto a certi SUV che si vedono in giro sembra una Cinquecento o roba del genere. Però riesce sempre a sembrare più grande anche del SUV più enorme: caratteristica delle vecchie Mercedes balcanizzate (o "inzingarate") è quella di abbandonare la tronfiezza per assumere la vera maestosità della Megatreggia. Nel pensare tutto questo, mi sono ritrovato davanti agli occhi una Bentley. All'Isolotto La Regina d'Inghilterra, Lord Halifax o Paul Getty in via Pio Fedi davanti a i' meccaniho accanto a i'macellaro. Essere Treggista Militante® è anche questo.

All'improvviso, sono stato ricondotto alla realtà, e son tornato a sentirmi un nanerottolo come quando sbucavo fuori dalla Saxo scassata o dalla Fiesta ancor più scassata; mi son ritrovato a scrutare questa gigantessa di 6600 cc di cilindrata, e lunga quasi sei metri. Lucidata col bruschino e agghindata per un matrimonio; come dubitarne! Credo sia una Mark qualcosa, appartenente al lungo periodo in cui la Bentley non era, in fondo, che un semplice marchio della Rolls-Royce che soltanto manteneva il marchio della "B" alata; ma i modelli erano uguali. Insomma, è una Rolls marchiata Bentley; una specie di visione dietro casa.


Assolutamente inutile e fuori luogo, per una vettura del genere, fare le usuali considerazioni sull'anno di immatricolazione, sulla targa nera o bianca che sia, e quant'altro; qui siamo di fronte a qualcosa di quasi soprannaturale in una strada della qualsiaseria fiorentina. Così ho fotografato con deferenza e ammirazione, e sono rimontato a bordo della "Plog" andandomene per i fatti miei e facendo comunque voltare qualche testa per la strada. Ma la Bentley di via Pio Fedi rimarrà negli annali del TB.


giovedì 10 ottobre 2013

Dunelba alla vigilia


Ho avuto, come detto in altro post di oggi (giornata del nuovo inizio), un'estate piuttosto travagliata; e di ciò mi dispiace sommamente perché io sono, letteralmente, uno di quelli che aspetta l'estate tutto l'anno (o, come dice Francesco Guccini in una sua somma canzone, Lettera, uno di quelli che aspettano l'inverno per desiderare una nuova estate). Fatto sta che anche le mie puntate elbane sono state brevi e scarse, con la conseguente mancanza del consueto appuntamento al termine dell'estate; inoltre, ci sono andato durante l'appiedamento (seppure avessi, pittorescamente, a disposizione una vettura prestatami gentilmente). Mentre scrivo, ora, mi trovo però alla vigilia di una puntata elbana ottobrina: domattina parto. Indi per cui c'è sempre la speranza di trovare qualche nuova treggia da aggiungere a quella che è per me -lo dico francamente- una delle "categorie" più sentite di questo blog. Per qualche giorno è possibile che il TB resti fermo, ma stavolta non per crisi o "blackout"; semplicemente per mancanza di collegamenti Internet (il wifi all'Elba? ah ah ah!)

Ciononostante, nel mese di luglio, una treggia elbana sono riuscito a rimediarla, in quel di Portoferraio e persino davanti alla mitica Osteria Libertaria (io la proporrei volentieri per il premio Nobel per le osterie, ma mi dicono che preferiscono dare quello per la pace a Baracco Obama, pensate un po'). E non è una treggia elbana di poco conto, dato che ci testimonia la presenza sull'Isola di almeno una Duna berlina. Nemmeno l'Elba, quindi, si rivela immune dalla dunite perniciosa virulenta che colpì la penisola italiana tra gli anni '80 e '90; qui l'immane modello della Fìatte brasileira (ovvero: come essere inutilmente planetari) ha una targa livornese del 1989, l'anno della caduta del muro di Berlino. Peccato, però, che quel muro crollò addosso alle Trabant, e non alla Duna. Vabbè, non si può avere tutto dalla vita!

L'ho chiamata comunque Dunelba sfruttando una cosa assai diffusa sull'Isola: quella di aggiungere il suffisso -elba ad ogni cosa. All'Elba si producevano le bibite gassate Spumelba, il tonno in scatola Napoleonelba, c'è il forno Panelba e così via; c'è chi ipotizzava che un'eventuale ditta di spurghi locale si potesse chiamare Merdelba, oppure una di preservativi Scopelba. Noi, qui, ci limitiamo alla Duna; buona visione, e a presto.