D'accordo le
ripetizioni, ma questa qui, ve ne sarete già accorti, rischia di essere la treggia più
ripetuta di tutto il TB. Non soltanto me l'avevano spedita i mitologici
Caporniani il
12 aprile 2010 (con una foto, peraltro, del
10 luglio 2006!), ma, pochi giorni fa, anche
Mark B. ci ha
rinocato. Con una novità, però. Dovete sapere che, in generale, i Treggisti Militanti® sono molto, ma molto parchi nel dare indicazioni esatte sui luoghi dei ritrovamenti. Non è per una sorta di gelosia, ma perché tra Treggisti c'è un certo qual tacito accordo nel non rivelare mai troppo le ubicazioni delle tregge. Ciò toglierebbe il gusto di ritrovarsele da soli, e specifico fin da subito che sono perfettamente d'accordo. Però, stavolta, Mark B. ha fornito delle scarne ma esatte coordinate, e poiché la famosissima
Fiat 1800 del
1960 deve "svernare" in quel dato posto oramai da decenni, non ho resistito a andarmela a fotografare anche per conto mio. Legittima debolezza, anche per vedere come sta resistendo al tempo e alle intemperie.
E resiste bene, direi; talmente bene da far domandarmi, legittimamente, come mai nessuno si sia ancora deciso a pigliarsela e a rimettersela in sesto. Una vettura del genere, semplicemente,
non può essere lasciata a disfarsi (tanto più che non si disfa affatto). Certo, a distanza di sei anni dalla foto precedente si può notare qualche cambiamento in peggio; per farle sostenere l'inclinazione dovuta allo sgonfiamento delle ruote anteriori, ad esempio, è stato provveduto a metterle sotto un bancale di legno. Per il resto, però, è sempre lì a sfidare lo sfidabile; le indicazioni di Mark B. valevano la pena di una giratina, con tanto di camminata. E chi lo ha detto che il Treggista deve andare sempre in macchina?
Fin qui la storia dal punto di vista squisitamente automobilistico. Sarebbe già tanto. Senonché. Chi frequenta il TB con media assiduità conosce oramai la sua "filosofia": il mondo e la realtà si possono raccontare partendo da qualsiasi punto, e qui si parte da vecchie carrette più o meno scassate. Portano storie, e a volte succede che portino pure la tua senza nemmeno che tu lo sappia, in partenza. Fatto sta che, girando attorno alla Fiat 1800 e scattando fotografie su fotografie, continuavo a dirmi: "ma io, 'sto posto, come mai mi sembra d'esserci già stato?". Poi, all'improvviso, mi sono girato e ho visto, dall'altra parte della strada, un portone. E allora mi sono ricordato tutto. C'ero stato eccome, in quel posto; e, magari, quando c'ero stato quella macchina era già là, forse ancora marciante.
Anche perché era molto più giovane, allora. Aveva "soltanto" 18 anni, verso il '78; e io non ne avevo nemmeno quindici. Un disastro su due zampe. Il monumento alla sgràzia adolescenziale. Non che da questo punto di vista sia granché migliorato, ma allora ero davvero qualcosa di indescrivibile; e, naturalmente, giusto a quell'età mi presi la prima cotta devastante. Per una graziosissima compagna di classe la quale -ovviamente- aveva ben altro da fare che accorgersi dei miei primi spàsimi amorosi; o forse, chissà, se n'era accorta benissimo ma aveva saggiamente deciso di glissare. Col senno di poi, non saprei certo darle torto; attorno le ronzavano i più bei ragazzi della scuola, e, lo avrete capito, io non ero certamente fra costoro.
Una domenica pomeriggio, però, mi decisi al gran passo. Da casa mia, che allora era lontanissima, presi due autobus (i quali, beninteso, ora sarebbero tregge meravigliose) risoluto a andarle a suonare al campanello, proporle un giretto e confessarle eterno amore (e se non è eterno a quindici anni, quando lo deve essere...?). Nel lungo tragitto mi ero ripassato tutto il discorso, finalmente in procinto di dichiararmi; naturalmente, anche allora ero
abbastanza conscio che la figliuola mi avrebbe dato un due di picche semiautomatico. Però dovevo andarci.
Il fallait le faire. Insomma, ripassa che ti ripassa, eccomi davanti al suo portone in quella lontana domenica pomeriggio autunnale; esattamente il portone che mi stava davanti pochi giorni fa, davanti alla treggia più ripetuta del blog. Ma guarda te le coincidenze; uno va a fotografare una macchina, e si ritrova davanti al proprio passato. Ma passato sul serio.
In pratica, avrete già capito di come andò a finire: stetti
tutta la domenica pomeriggio a girare attorno a quel portone, senza minimamente decidermi a suonare quel benedetto campanello. Magari la fanciulla non era nemmeno in casa; e se c'era e non mi apriva? E se c'era e mi apriva? E che cosa mi avrebbe detto, se c'era e mi apriva? E se non c'era e non mi apriva, che cosa avrei fatto? Tutte domande che sono rimaste senza risposta; il risultato massimo fu appoggiare un dito sul campanello, senza però suonare. Dopo tre ore di giri da farci il solco, me ne andai a riprendere l'autobus; il giorno dopo, a scuola, muto come un pesce. E finì lì. E l'altro giorno, trentacinqu'anni dopo o giù di lì, a chiedermi di che cosa ne sarà stato; o meglio, di me lo so. Ma di lei, proprio no; e, come è noto, in questo non sono minimamente soccorso dalla fede in Facebook.
In Facebook no; però, tornato a casa, un po' di curiosità m'è comunque presa e sono andato a cercare qualche notizia. Trovandola. E persino, immaginate un po', un video YouTube che la ritrae mentre fa una cosa discretamente bella. Ma guarda un po' te, la ******, passati sono gli anni, sposata con figli, le classiche cose. Sliding doors. Forse sarebbe stato altro, chissà; quel che c'era, sempre là, era una vecchia macchina che, forse, mi aveva pian piano chiamato da quelle parti per ricordarmi che non si scorda mai.