Devono essere, questi ultimi giorni di gennaio (tradizionalmente detti della merla, o più opportunamente -visti i chiardiluna sotto i quali ci troviamo a vivere- della merda), particolarmente propizi alle Alfe Gittì. Una strada abbastanza nascosta che percorro quasi tutti i giorni a mo' di scorciatoia per evitare un semaforo e un ponticello costantemente ingorgato, ed eccola là. Un nuovo capolavoro, stavolta con targa romana. Per il resto, niente da aggiungere a quanto detto nel post precedente: una di quelle vetture che, anche se ne trovassero dieci al giorno, varrebbe sempre la pena fermarsi.
sabato 30 gennaio 2010
mercoledì 27 gennaio 2010
Rrrroaaarrrrrrr!
Eravamo di ritorno dal CPA, io, la piasintëina, un altro amico e un curiosissimo quanto poetico personaggio chiamato I' Pantera, quando, proprio di fronte a un ristorante frequentato a volte da un noto cantautore modenese, ci ha sorpresi un rrroaaaarrrrrrr. Sì, perché un'Alfa Gittì romba anche da ferma. Non importa neppure metterla in moto (cosa che, malauguratamente, nella mia non mi è stato mai dato di poter fare): il ruggito lo si percepisce chiaramente lo stesso, con l'immaginazione. Una di quelle macchine che, a quasi cinquant'anni di età, ancora mi fa venire la voglia di fingere di guidare, facendo vrum vrum con la lingua di fuori. Per strade statali e provinciali, a finestrino aperto, da solo o con accanto la mi' bella con il foulard svolazzante e gli occhialoni scuri (o, perché no, con la mi' bella alla guida e io accanto -ma senza foulard e occhialoni). Naturalmente ci vorrebbe anche un portafoglio congruamente gonfio, dato che caratteristica di questa vettura, nata in tempi in cui la benzina costava un cazzo virgola cinque lire al litro, erano i consumi non propriamente economici; qui ne abbiamo peraltro uno degli ultimi esemplari, già ampiamente sforata la crisi energetica del '73/'74 e il famoso (e stradimenticato) austerity con le domeniche a piedi e in bicicletta. Si cominciarono a fabbricare macchine più attente al risparmio energetico (anche nelle categorie "alte" e sportive). Ma, parafrasando sempre quel noto cantautore modenese che va al ristorante lì di fronte, il rombo, il rombo chi ce lo rende...? Ché era un piacere anche soltanto sentirlo. Ora, invece, passano silenziosi mastodonti senz'anima.
D'ä mæ riva
D'ä mæ riva
sulu u teu mandillu ciaèu
d'ä mæ riva
'nta mæ vitta
u teu fatturisu amàu
'nta mæ vitta
ti me perdunié u magún
ma te pensu cuntru su
e u so ben t'ammìi u mä
'n pò ciû au largu du dulù
e sun chi affacciòu
a 'stu bàule da mainä
e sun chi a miä
tréi camixe de vellûu
duì cuverte u mandurlín
e 'n cämà de legnu dûu
e 'nte 'na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
'nscià teu bucca in naftalin-a.
sulu u teu mandillu ciaèu
d'ä mæ riva
'nta mæ vitta
u teu fatturisu amàu
'nta mæ vitta
ti me perdunié u magún
ma te pensu cuntru su
e u so ben t'ammìi u mä
'n pò ciû au largu du dulù
e sun chi affacciòu
a 'stu bàule da mainä
e sun chi a miä
tréi camixe de vellûu
duì cuverte u mandurlín
e 'n cämà de legnu dûu
e 'nte 'na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
'nscià teu bucca in naftalin-a.
Non c'è niente da fare. Ogni volta che vedo qualcosa di Genova, anche un treggione di fuoristrada con un'inopinata targa genovese a Firenze, mi viene a mente questa canzone. Del resto, anche il treggione dev'essere venuto d'ä sæ riva, e magari a un certo punto ha pure salutato col fazzoletto. Genova. Antichi ricordi, oramai quasi antichissimi. Una di quelle città che avrò sempre dentro.
Quella canzone, che mi ritrovai a cantare al telefono, un pomeriggio d'estate, steso sul letto. All'altro capo, qualcosa che se ne andava via per non tornare mai più. Vedete quante cose può mettere in moto un vecchio automezzo, una vecchia targa arancione e nera. Poi ci sono i "puristi" che mi vengono a dire che, su questo blog, dovrei fare una presupposta cultura delle auto d'epoca; ma qui non si fa cultura, si verticalizza. Lo disse un liparota che allenava il Genoa, tale Franco Scoglio.
Quella canzone, che mi ritrovai a cantare al telefono, un pomeriggio d'estate, steso sul letto. All'altro capo, qualcosa che se ne andava via per non tornare mai più. Vedete quante cose può mettere in moto un vecchio automezzo, una vecchia targa arancione e nera. Poi ci sono i "puristi" che mi vengono a dire che, su questo blog, dovrei fare una presupposta cultura delle auto d'epoca; ma qui non si fa cultura, si verticalizza. Lo disse un liparota che allenava il Genoa, tale Franco Scoglio.
domenica 24 gennaio 2010
Uno, nessuno e centomila
Il titolo "pirandelliano" è facilmente spiegabile: alle Uno, infatti, non fa caso nessuno perché se ne vedono in giro ancora centomila. Però almeno alle più vecchie (quelle ancora con la targa arancione e nera) un occhietto anderebbe dato: a Firenze la Fiat Uno comparve con la serie FI D3... e, quindi, siamo ancora in piena era treggiologica. Indi per cui, quando ne ho vista una con la targa arancionera bella ferma in un ingorghetto, non ho avuto dubbi espletando peraltro una delle libidini del Treggista: la foto al volo. Nulla di eccezionale, sia ben chiaro; ma uno degli scopi del TB è proprio quello di registrare l'ordinario. Forse il principale. La vita quotidiana delle vecchie autovetture ancora orgogliosamente in circolazione (e non imbalsamate nelle collezioni e nei raduni). Lunga vita anche alla vecchia Uno di quando ancora c'era la pubblicità di Forattini e gli slogan in -osa (è comodosa, scattosa, risparmiosa eccetera). Cose oramai talmente passate, di quando molti pensavano che Forattini fosse "di sinistra" !
giovedì 21 gennaio 2010
La legge del 17
Ed eccoci tornati finalmente a Firenze, in questo mese di gennaio decisamente "piacentino" dal punto di vista treggistico. E ci si torna, a Firenze, con una sorta di smentita. Solo pochi giorni fa avevo infatti annunciato un rallentamento nei Maggiolini, ma davanti a un Käfer del genere l'eccezione è d'obbligo. Qui siamo di nuovo in un tempo remoto, con una delle più vecchie targhe fiorentine che siano presenti nel TB: soltanto di pochi numeri superiore all'altro Maggiolino-record.
Pare quasi che a Firenze, attorno al 1962 e ai tempi del FI 17, ci sia stata una recrudescenza di Maggiolini; e trovarne ancora due in circolazione (anzi, facciamo tre, nonostante la perniciosa ritargatura) dopo quarantotto anni, dà davvero da pensare sulla robustezza miracolosa di questo automezzo. In circolazione, dico, poiché è probabile e plausibile che in qualche garage di collezionisti ve ne siano anche di più vecchi, tirati fuori per gli autoraduni d'epoca che però dal TB vengono evitati come la peste bubbonica.
È, insomma, una specie di Legge del 17. In circolazione, per ora, di autovetture con targa fiorentina inferiore ancora non ne ho trovate, con il record della "Lancia Appia del Destino" che pure è degli stessi mesi. In questo caso, però, un 17 che porta fortuna e suscita ammirazione non soltanto nel Treggista inveterato; tanto è vero che, mentre provvedevo a fotografare, una specie di capannello di gente mi si è formato attorno trovando del tutto naturale e logico che qualcuno si fosse fermato a riprendere questa meraviglia.
Con la prossima bella stagione, speriamo, anche la legge del 17 verrà infranta; in questo duro inverno, le nonne gli è bene che stiano belle coperte. Solo poche di loro, temprate a tutto, sfidano con nonchalance i rigori del clima: non le ammazzerà mai nessuno. Questa qui la ritroveremo a giro anche fra trent'anni, quando oramai il Treggia's Blog si occuperà delle macchine che ora sono nuove fiammanti ed il Treggista stesso sarà a sua volta diventato una vecchia treggia.
Pare quasi che a Firenze, attorno al 1962 e ai tempi del FI 17, ci sia stata una recrudescenza di Maggiolini; e trovarne ancora due in circolazione (anzi, facciamo tre, nonostante la perniciosa ritargatura) dopo quarantotto anni, dà davvero da pensare sulla robustezza miracolosa di questo automezzo. In circolazione, dico, poiché è probabile e plausibile che in qualche garage di collezionisti ve ne siano anche di più vecchi, tirati fuori per gli autoraduni d'epoca che però dal TB vengono evitati come la peste bubbonica.
È, insomma, una specie di Legge del 17. In circolazione, per ora, di autovetture con targa fiorentina inferiore ancora non ne ho trovate, con il record della "Lancia Appia del Destino" che pure è degli stessi mesi. In questo caso, però, un 17 che porta fortuna e suscita ammirazione non soltanto nel Treggista inveterato; tanto è vero che, mentre provvedevo a fotografare, una specie di capannello di gente mi si è formato attorno trovando del tutto naturale e logico che qualcuno si fosse fermato a riprendere questa meraviglia.
Con la prossima bella stagione, speriamo, anche la legge del 17 verrà infranta; in questo duro inverno, le nonne gli è bene che stiano belle coperte. Solo poche di loro, temprate a tutto, sfidano con nonchalance i rigori del clima: non le ammazzerà mai nessuno. Questa qui la ritroveremo a giro anche fra trent'anni, quando oramai il Treggia's Blog si occuperà delle macchine che ora sono nuove fiammanti ed il Treggista stesso sarà a sua volta diventato una vecchia treggia.
mercoledì 20 gennaio 2010
Trebbia's Blog, o Le avventure di un Treggista a Piacenza (3): Son felice di essere un(a) Beta!
A dire il vero son felice, e dimolto, io, d'aver trovato a Piacenza questa bella (Lancia) Beta; tanto più che pochi giorni prima, a Firenze, me n'era sfuggita un'altra (con targa quadrata, sigh) che mi era sfilata sotto il naso vicino alla Biblioteca Nazionale, sui lungarni. Bisogna accettare le decisioni insindacabili del Dio dei Bivi; ora ti leva, ora ti dà. Una Beta te la fa scappare sui lungarni, e una Beta te la fa trovare in una via di Piacenza. Va bene così. E non si perde nemmeno l'occasione, visto il titolo, di infilarci il vecchio Beta di Battiato, ché è più meno contemporaneo alla vettura (in realtà questa è del '77/'78, mentre la canzone, dall'album Pollution, è del '72):
martedì 19 gennaio 2010
Trebbia's Blog, o Le avventure di un Treggista a Piacenza (2): Hazzard e fasö
L'autovettura che vedete sopra è assolutamente qualcosa fuori dall'ordinario. Lo è a Piacenza come lo sarebbe ovunque. Parcheggiata in una stradina qualsiasi, così, accanto alle punte, alle smàrte, alle clie e alle micre; ad un tratto, sempre così, la si vede. E viene a mente subito, appunto, Hazzard, anche se non è il Generale Lee e non è una Dodge Charter del '69, bensì una Chevrolet Camaro di seconda serie, prodotta fra il 1970 e il 1981. Arriva il proprietario, poi, e mentre gentilmente me la fa fotografare, mi dice come se niente fosse di "averla trovata a Treviso". A Treviso. La targa originale qui non potrebbe esserci mai stata, e chissà di dov'era; c'è la targa nuova, messa di lato, e una farlocca della North Carolina. Basterebbe questo per farne uno dei pezzi da 90 del TB, e tutto ad onore di Piacenza; da qui il titolo, in onore ad una delle più celebri specialità culinarie della città. Hazzard al posto dei pissarèi, lo so che è improbabile; ma improbabile è tutta questa macchina, e anche tutta questa pagina.
La Chevrolet Camaro è una delle auto più longeve in circolazione; la sua prima versione risale al 1967, e nel 2009 è arrivata alla quinta generazione (prima si sarebbe detto "versione", ma ora vanno di moda le generazioni). Sembra addirittura che in una canzone dei Pearl Jam, Wishlist, il protagonista sogni di essere la luna che risplende sul cofano di una Camaro. Beh, insomma, a pensarci su una canzone dei Pearl Jam ci sta proprio bene.
La Chevrolet Camaro è una delle auto più longeve in circolazione; la sua prima versione risale al 1967, e nel 2009 è arrivata alla quinta generazione (prima si sarebbe detto "versione", ma ora vanno di moda le generazioni). Sembra addirittura che in una canzone dei Pearl Jam, Wishlist, il protagonista sogni di essere la luna che risplende sul cofano di una Camaro. Beh, insomma, a pensarci su una canzone dei Pearl Jam ci sta proprio bene.
Trebbia's Blog, o Le avventure di un Treggista a Piacenza (1): Requiem per il Fuoristrada
Intro. Non è sempre la povera piasintëina (con la quale, oramai, tutti i frequentatori di questo blog dovrebbero essersi familiarizzati) che, ogni venerdì, si sciroppa autentiche battaglie con le Ferrovie del Non-Stato per venire a Firenze; a volte vo anch'io a Piacenza. Così un paio di settimane fa, ovviamente deciso anche a rimpinguare un po' la categoria delle "Tregge Piacentine", che ultimamente un po' languiva. La trasferta sulle rive del Trebbia (beh, non c'è che dire, un fiume con un nome del genere può far gridare al classico nomen, omen!) ha prodotto i suoi bravi risultati; numericamente non molto consistenti, anche per il tempo piuttosto infame che gravava sulla città di Piazza de' Cavalli, ma sicuramente molto interessanti. Cominciamo con questo automezzo, che propone anche un'interessantissima e assai dotta disquisizione teorica.
Dov'è morto il classico fuoristrada, ed è cominciato il pernicioso SUV? Con questo automezzo, fotografato sotto un diluvio vicino alla stazione piacentina, siamo veramente sul limitare, per dirla proprio come Giosuè Ugo Pascoli. Sul limitare anche delle targhe piacentine: questa è una delle ultime arancioni e nere; pochi numeri più in là, e sarebbero arrivate quelle bianche.
Siamo, ohimé, in quella che si potrebbe chiamare la fase di trasformazione. Quello che era il fuoristrada, vale a dire un automezzo con usi limitati e speciali ("settoriali", si potrebbe dire), sta diventando una moda nei funestissimi anni '80 (siamo nel 1985, per la precisione). Gli anni dello yuppismo e dell'edonismo reaganiano cominciano a imporre i mastodonti derivati dal fuoristrada, che negli USA sono peraltro già consueti (e, forse, un po' più giustificati nelle immense wilderness di quel paese). I giapponesi se ne accorgono, ed ecco comparire questi "cosi" pieni di scritte roboanti, "Turbo", "Patrol" e roba del genere, come se il commercialista di Piacenza fosse un ranger delle foreste attorno al Lago Superiore. Ma, ancora, può essere riconosciuto il fuoristrada; non siamo ancora allo status symbol più cretino degli ultimi decenni, ed è possibile che il commercialista in questione abbia acquistato quel mezzo anche per andare a inquinare un po' i boschi attorno a Bobbio o in Val Tidone.
Ancora poco tempo, e sarebbero comparsi i primi SUV autentici dai nomi indianeggianti: i Cherokee, i Cheyenne e i Navajo, insomma. Credo che gli spiriti degli antenati e il grande Manitù siano, a quel punto, definitivamente emigrati in un altro universo; non paghi di averli sterminati e ridotti in gran parte a larve alcoolizzate, non paghi di Leonard Peltier, li hanno perfino commercializzati per vendere gli stupidi giocattoloni da neoricchi e da indebitati. "Patrol" vuol dire "pattuglia": e che pattuglia avrà mai fatto, 'sto coso qui? Ma è inutile formulare una qualsiasi risposta. Sia dunque celebrato il requiem per il fuoristrada, e così sia.
Dov'è morto il classico fuoristrada, ed è cominciato il pernicioso SUV? Con questo automezzo, fotografato sotto un diluvio vicino alla stazione piacentina, siamo veramente sul limitare, per dirla proprio come Giosuè Ugo Pascoli. Sul limitare anche delle targhe piacentine: questa è una delle ultime arancioni e nere; pochi numeri più in là, e sarebbero arrivate quelle bianche.
Siamo, ohimé, in quella che si potrebbe chiamare la fase di trasformazione. Quello che era il fuoristrada, vale a dire un automezzo con usi limitati e speciali ("settoriali", si potrebbe dire), sta diventando una moda nei funestissimi anni '80 (siamo nel 1985, per la precisione). Gli anni dello yuppismo e dell'edonismo reaganiano cominciano a imporre i mastodonti derivati dal fuoristrada, che negli USA sono peraltro già consueti (e, forse, un po' più giustificati nelle immense wilderness di quel paese). I giapponesi se ne accorgono, ed ecco comparire questi "cosi" pieni di scritte roboanti, "Turbo", "Patrol" e roba del genere, come se il commercialista di Piacenza fosse un ranger delle foreste attorno al Lago Superiore. Ma, ancora, può essere riconosciuto il fuoristrada; non siamo ancora allo status symbol più cretino degli ultimi decenni, ed è possibile che il commercialista in questione abbia acquistato quel mezzo anche per andare a inquinare un po' i boschi attorno a Bobbio o in Val Tidone.
Ancora poco tempo, e sarebbero comparsi i primi SUV autentici dai nomi indianeggianti: i Cherokee, i Cheyenne e i Navajo, insomma. Credo che gli spiriti degli antenati e il grande Manitù siano, a quel punto, definitivamente emigrati in un altro universo; non paghi di averli sterminati e ridotti in gran parte a larve alcoolizzate, non paghi di Leonard Peltier, li hanno perfino commercializzati per vendere gli stupidi giocattoloni da neoricchi e da indebitati. "Patrol" vuol dire "pattuglia": e che pattuglia avrà mai fatto, 'sto coso qui? Ma è inutile formulare una qualsiasi risposta. Sia dunque celebrato il requiem per il fuoristrada, e così sia.
giovedì 14 gennaio 2010
Aquila Rossa e la Tregg' Art
Se mi chiedessero che cosa veramente distingua una vecchia treggia autentica, avrei pochi dubbi: la sua frequente simbologia presente sulla carrozzeria. Questa è una cosa che, in generale, è andata a morire col tempo. A rigore, anche una macchina di sei mesi o un anno può essere già in condizioni tali da essere definita una treggia; ma la vecchia treggia, quella del passato, ha caratteristiche tutte sue. Una di queste sono appunto i simboli, come la bella aquila rossa dipinta a mano sul retro di questo Ford Transit bianco del 1980.
Una volta non si aveva timore a prendere un automezzo qualsiasi e a personalizzarlo sul serio. La personalizzazione non era quella, del tutto falsa, del giorno d'oggi, quando si fa passare per "personale" tutta una serie di optionals standardizzati, di decorazioni precotte, di interventi di "stilisti" e via discorrendo. La personalizzazione era prendere un pennello, delle decalcomanie, combinazioni fantasiose di colori, e comunque qualcosa che esprimesse anche un granello della vita di chi possedeva e guidava quel mezzo. L'esempio forse più "classico" sono le meravigliose livree hippy sui furgoni Volkswagen: quando abitavo a Friburgo in Nuitonia, in Svizzera, proprio dietro casa era parcheggiato fisso uno di questi furgoni (con targa tedesca) "istoriato" con fiori, simboli antimilitaristi ed ogni sorta di pittura a mano. Cosa che è rimasta, con qualche rara eccezione, soltanto nei paesi orientali. Una vera e propria forma d'arte popolare che mi ardisco a chiamare Tregg' Art.
Il Ford Transit qui raffigurato sarebbe rimasto un anonimo furgone bianco di un modello frequentissimo; senza la sua aquila rossa, forse, non avrei nemmeno preso in considerazione di inserirlo in questo blog. Però l'aquila rossa c'è, ed un simbolo è immaginazione. Non potrò mai sapere che cosa abbia spinto il suo proprietario attuale (od uno precedente) a dipingerla sul retro, ma è proprio questo il bello. Le possibilità infinite che corrispondono a infinite storie; e le infinite storie sono quella che, generalmente, va sotto il nome di "vita". In questi particolari sta la vita. Quando, un migliaio di anni fa, vendetti la mia Fiat 127 amaranto con la scritta "Agapina" sul portellone posteriore, composta con lettere adesive che si erano talmente incancrenite da impedirne la rimozione, chi l'ha acquistata forse si sarà chiesto che diavolo volesse dire. Forse si sarà immaginato qualcosa di libero, come liberamente io m'immagino la storia di quest'aquila rossa. E sono sempre aquile che volano, e di libertà senza confini c'è, oggi, bisogno più che mai.
Una volta non si aveva timore a prendere un automezzo qualsiasi e a personalizzarlo sul serio. La personalizzazione non era quella, del tutto falsa, del giorno d'oggi, quando si fa passare per "personale" tutta una serie di optionals standardizzati, di decorazioni precotte, di interventi di "stilisti" e via discorrendo. La personalizzazione era prendere un pennello, delle decalcomanie, combinazioni fantasiose di colori, e comunque qualcosa che esprimesse anche un granello della vita di chi possedeva e guidava quel mezzo. L'esempio forse più "classico" sono le meravigliose livree hippy sui furgoni Volkswagen: quando abitavo a Friburgo in Nuitonia, in Svizzera, proprio dietro casa era parcheggiato fisso uno di questi furgoni (con targa tedesca) "istoriato" con fiori, simboli antimilitaristi ed ogni sorta di pittura a mano. Cosa che è rimasta, con qualche rara eccezione, soltanto nei paesi orientali. Una vera e propria forma d'arte popolare che mi ardisco a chiamare Tregg' Art.
Il Ford Transit qui raffigurato sarebbe rimasto un anonimo furgone bianco di un modello frequentissimo; senza la sua aquila rossa, forse, non avrei nemmeno preso in considerazione di inserirlo in questo blog. Però l'aquila rossa c'è, ed un simbolo è immaginazione. Non potrò mai sapere che cosa abbia spinto il suo proprietario attuale (od uno precedente) a dipingerla sul retro, ma è proprio questo il bello. Le possibilità infinite che corrispondono a infinite storie; e le infinite storie sono quella che, generalmente, va sotto il nome di "vita". In questi particolari sta la vita. Quando, un migliaio di anni fa, vendetti la mia Fiat 127 amaranto con la scritta "Agapina" sul portellone posteriore, composta con lettere adesive che si erano talmente incancrenite da impedirne la rimozione, chi l'ha acquistata forse si sarà chiesto che diavolo volesse dire. Forse si sarà immaginato qualcosa di libero, come liberamente io m'immagino la storia di quest'aquila rossa. E sono sempre aquile che volano, e di libertà senza confini c'è, oggi, bisogno più che mai.
mercoledì 13 gennaio 2010
Sotto il diluvio
Ero abbastanza stupito, e anche un po' contrariato, del fatto che fra tutte le tregge di questo blog ancora non ci fosse un bel carrattrezzi come si deve; mi ricordo che, da ragazzino, i carrattrezzi che si vedevano in giro erano spesso automezzi indistruttibili quanto antidiluviani, spesso e volentieri di questo modello Fiat; ed è chiaro che, data la loro funzione, la robustezza doveva essere la caratteristica principale. Oddìo, nel vasto e pazzo mondo sarà pur successo che un carrattrezzi si sia guastato, e magari proprio durante un intervento; ma penso che, in generale, sia sempre stato un caso piuttosto raro (anche perché i carrattrezzi provengono da officine meccaniche, e quindi erano tenuti sotto manutenzione costante).
Di carrattrezzi antidiluviani non se ne vedono più. Anzi, ora sono tutti nuovi e bellini, persino senza ammaccature; e non mi riesce farmene una ragione. D'accordo che il Treggista è per natura un nostalgico passatista, ma lo trovo contronatura. Così, quando il Dio dei Bivi me ne ha fatto finalmente incontrare uno in regola, su un vecchio 242, me ne sono abbondantemente fregato del diluvio che stava imperversando, dell'ora assurda (le quattro e mezza del mattino) e, soprattutto, della situazione: stavo tornando da un lunghissimo servizio di ambulanza letteralmente in culo al mondo, con un volontario addormentato accanto e l'altra volontaria a dormire sulla barella.
Nulla da fare: per il carrattreggia parcheggiato in una piazzola alle estreme propaggini della città, targato Ferrara (un classico dei vecchi carrattrezzi avere targhe sparse), ho sfidato il fortunale. Il volontario si è svegliato sentendo fermarsi l'ambulanza, e mi ha visto, esterrefatto, mettermi a fare fotografie a un carrattrezzi sotto l'acqua a catinelle. "Ma che fai?", mi ha chiesto; "Niente, niente, tranquillo, dormi", gli ho risposto.
Di carrattrezzi antidiluviani non se ne vedono più. Anzi, ora sono tutti nuovi e bellini, persino senza ammaccature; e non mi riesce farmene una ragione. D'accordo che il Treggista è per natura un nostalgico passatista, ma lo trovo contronatura. Così, quando il Dio dei Bivi me ne ha fatto finalmente incontrare uno in regola, su un vecchio 242, me ne sono abbondantemente fregato del diluvio che stava imperversando, dell'ora assurda (le quattro e mezza del mattino) e, soprattutto, della situazione: stavo tornando da un lunghissimo servizio di ambulanza letteralmente in culo al mondo, con un volontario addormentato accanto e l'altra volontaria a dormire sulla barella.
Nulla da fare: per il carrattreggia parcheggiato in una piazzola alle estreme propaggini della città, targato Ferrara (un classico dei vecchi carrattrezzi avere targhe sparse), ho sfidato il fortunale. Il volontario si è svegliato sentendo fermarsi l'ambulanza, e mi ha visto, esterrefatto, mettermi a fare fotografie a un carrattrezzi sotto l'acqua a catinelle. "Ma che fai?", mi ha chiesto; "Niente, niente, tranquillo, dormi", gli ho risposto.
martedì 12 gennaio 2010
Archi, volte e nubi
Ci sono ancora, in San Frediano, in Santo Spirito o in qualche altro vecchio quartiere del centro di Firenze, di quelle officine meccaniche sistemate da sessant'anni in un fondo secolare, tra archi, volte, nicchie e canti dagli spigoli vivi di pietra; fondi che devono essere stati ogni cosa, dal magazzino d'un vinaio fino a una rimessa di barroccini, dalla bottega di chissà quale artigiano fino a un rigattiere. L'officina dove il meccanico tira avanti il suo lavoro in spazi strettissimi, dando ogni tanto una mano d'intonaco fra pile di pezzi, attrezzi, latte piene d'olio, ruote smontate, piedi che sbucano da sotto una vettura, e amore. Per il proprio lavoro, per il rumorino rivelatore, per la riparazione del guasto impossibile, e anche per il rimettere in sesto una vecchia Du' Cavalli bianca e rossa, con spunti di ruggine bollosi, con la carrozzeria finita nelle barbe, e con il proprietario che si reca ansioso a vedere come procede il lavoro perché alla sua macchina, no, non rinuncerebbe per tutto l'oro del mondo.
Il Treggista attento lo sa, e non ha timore ad entrarvi. A presentarsi gentilmente, con cortesia, ma anche con un pizzico di allegra sfrontatezza. Racconta brevemente la sua piccola storia e la sua grande passione, e il meccanico di vecchia stirpe -che è generalmente uno degli ultimi veri romantici in città- capisce al volo. E magari c'è pure il proprietario della Du' Cavalli, un ragazzo di nemmeno trent'anni. Tre persone che non si sono mai viste prima, davanti a una macchina che ha gli stessi anni del ragazzo, quasi fosse nata insieme a lui; e vola una mezz'ora a ragionare, a raccontare storie, a fare ipotesi di prezzi che tanto mai sarebbero pagati, a ricordare del nobiluomo che portava lì a raccomodare la sua Mercedes del '51, a saltabeccare da una vettura immaginata all'altra, a disquisire di nubi. Perché le nubi hanno la caratteristica di assumere la forma che vogliono, anche quella di una dedeuche bianca e rossa. E così, magari, nasce anche un embrione di amicizia; perché in quella vecchia officina, poi, ci si torna. Con il pretesto di vedere se c'è una treggia da fotografare, e ci scappa il caffè o il raso di rosso al bar dell'angolo. San Frediano, Santo Spirito. Vecchie cose che non ne vogliono sapere di morire, discoste, da entrarvi dentro con uno spiritaccio da antico monello. Sulla porta accanto, un pugile di periferia fa mostra di sé su un manifesto, per una riunione in un paese di campagna; sul petto ha tatuata una stella rossa. C'è il calendario con le ragazze gnude che non ispirano il minimo desiderio, ma una sommessa tenerezza. Il meccanico si rigira una chiave in mano, i tre uomini se ne stanno a chiacchierare fregandosene dello scorrere del tempo e fuori comincia a piovigginare in un pomeriggio d'inverno che s'è fatto sera.
Il Treggista attento lo sa, e non ha timore ad entrarvi. A presentarsi gentilmente, con cortesia, ma anche con un pizzico di allegra sfrontatezza. Racconta brevemente la sua piccola storia e la sua grande passione, e il meccanico di vecchia stirpe -che è generalmente uno degli ultimi veri romantici in città- capisce al volo. E magari c'è pure il proprietario della Du' Cavalli, un ragazzo di nemmeno trent'anni. Tre persone che non si sono mai viste prima, davanti a una macchina che ha gli stessi anni del ragazzo, quasi fosse nata insieme a lui; e vola una mezz'ora a ragionare, a raccontare storie, a fare ipotesi di prezzi che tanto mai sarebbero pagati, a ricordare del nobiluomo che portava lì a raccomodare la sua Mercedes del '51, a saltabeccare da una vettura immaginata all'altra, a disquisire di nubi. Perché le nubi hanno la caratteristica di assumere la forma che vogliono, anche quella di una dedeuche bianca e rossa. E così, magari, nasce anche un embrione di amicizia; perché in quella vecchia officina, poi, ci si torna. Con il pretesto di vedere se c'è una treggia da fotografare, e ci scappa il caffè o il raso di rosso al bar dell'angolo. San Frediano, Santo Spirito. Vecchie cose che non ne vogliono sapere di morire, discoste, da entrarvi dentro con uno spiritaccio da antico monello. Sulla porta accanto, un pugile di periferia fa mostra di sé su un manifesto, per una riunione in un paese di campagna; sul petto ha tatuata una stella rossa. C'è il calendario con le ragazze gnude che non ispirano il minimo desiderio, ma una sommessa tenerezza. Il meccanico si rigira una chiave in mano, i tre uomini se ne stanno a chiacchierare fregandosene dello scorrere del tempo e fuori comincia a piovigginare in un pomeriggio d'inverno che s'è fatto sera.
lunedì 11 gennaio 2010
L'importanza di una Piasintëina (3)
Ed eccomi di ritorno dopo qualche giorno, proprio dopo un...soggiorno a Piacenza che ha dato qualche interessante frutto del quale si parlerà meglio nei giorni a venire.
Qui, invece, siamo ancora a Firenze, qualche giorno fa, e al termine del giro domenicale in cui l'oramai celebre piasintëina ha "imperversato"; manco a farlo apposta, a breve distanza da casa, ecco che ci si è presentato davanti questo bell'esemplare di Maggiolino dotato di una targa decisamente in tema. In pratica, come oramai sembra appurato, un numero non trascurabile di tregge piacentine si è trasferito armi e bagagli in riva all'arno (sto parlando di automobili, sia chiaro!).
Con questo post colgo però l'occasione per annunciare una piccola stasi (nel senso di "sosta, pausa", non di servizio segreto dell'ex DDR) nell'inserimento dei Maggiolini. Non perché non sia sempre piacevole trovarne uno, ma perché ultimamente -va detto- ce ne sono stati un po' troppi. Si farà un'eccezione solo per eventuali esemplari veramente antichi, o curiosi.
Qui, invece, siamo ancora a Firenze, qualche giorno fa, e al termine del giro domenicale in cui l'oramai celebre piasintëina ha "imperversato"; manco a farlo apposta, a breve distanza da casa, ecco che ci si è presentato davanti questo bell'esemplare di Maggiolino dotato di una targa decisamente in tema. In pratica, come oramai sembra appurato, un numero non trascurabile di tregge piacentine si è trasferito armi e bagagli in riva all'arno (sto parlando di automobili, sia chiaro!).
Con questo post colgo però l'occasione per annunciare una piccola stasi (nel senso di "sosta, pausa", non di servizio segreto dell'ex DDR) nell'inserimento dei Maggiolini. Non perché non sia sempre piacevole trovarne uno, ma perché ultimamente -va detto- ce ne sono stati un po' troppi. Si farà un'eccezione solo per eventuali esemplari veramente antichi, o curiosi.
martedì 5 gennaio 2010
L'importanza di una Piasintëina (2)
Vualà; pochi metri più avanti, ecco il clamoroso bis. Stesso proprietario, stesso modello di Land Rover (ma telonato, stavolta), stesso colore e pure la targa niente male. Veramente un'accoppiata di quelle più che rare, e probabilmente un appassionato che si è ritrovato, oltre che con un paio di antitesi del SUV (come mi piace chiamare questi automezzi che, a prescindere dall'opportunità o meno di farlo, il fuoristrada lo fanno sul serio), con due targhe veramente da collezione. Sempre una combinazione a tre cifre con il "salto" di cento unità: 208 308. Si aggiungano anche un bel paio di cani, che non hanno mancato di far le feste al Treggista mentre fotografava, e anche un'oramai consueta proposta di vendita seduta stante (seguita ovviamente da un altrettanto consueto: "Scherzavo, non le venderei mai...")
lunedì 4 gennaio 2010
L'importanza di una Piasintëina (1)
Il Treggista ha una sorta di cervello sdoppiato. A meno che non sia a piedi, deve sapere, al tempo stesso, guidare con attenzione e rispettare il codice della strada per evitare di far male a se stesso e agli altri, sia scrutare in ogni direzione alla ricerca di Tregge. È una pratica che si acquisisce con il tempo, ed ha anche una sua certa utilità perché induce a non pestare mai troppo sull'acceleratore. Però non sempre si può essere concentrati; capita ad esempio che, durante un romantico giro domenicale per i colli con una certa Piasintëina, il Dio dei Bivi spedisca in una stradina dove, beato, il Treggista si concede una pausa ammirando il paesaggio. E così gli sfuggono dei capolavori. Basta un momento di distrazione, uno solo.
Ma, zàc! C'è la Piasintëina che, al suo fianco, gli fa da terzo occhio. Scruta e avvista. E che scrutamenti! Che avvistamenti! Addirittura in coppia. Questa, infatti, è la prima delle due ragguardevoli Land Rover (appartenenti allo stesso proprietario, caso oltremodo frequente nel paese di Treggiolandia) che il Treggista si sarebbe fatte sfilare davanti al naso se non fosse stato per la provvidenziale presenza della sua amoureuse. Ha colpito come un'aquila: uno, due. Questa qui, signori, se avesse la voglia e il tempo di farsi da sola il suo TB, mi farebbe le scarpe in quindici giorni. Anche per questo me la tengo cara & preziosa, specificando che -fortunatamente- detesta le pellicce.
Non soltanto una Treggia da chapeau, attiva e usatissima dal proprietario, ma anche una rutilante targa bresciana, di quelle da mettere adrenalina in corpo al cacciatore di targhe. Una combinazione tra le più ambite, ovvero il numero a tre cifre che si ripete: 478 478. E non è finita qui, come si vedrà in seguito. Insomma, per concludere: tenkiù Piasintëina!
Ma, zàc! C'è la Piasintëina che, al suo fianco, gli fa da terzo occhio. Scruta e avvista. E che scrutamenti! Che avvistamenti! Addirittura in coppia. Questa, infatti, è la prima delle due ragguardevoli Land Rover (appartenenti allo stesso proprietario, caso oltremodo frequente nel paese di Treggiolandia) che il Treggista si sarebbe fatte sfilare davanti al naso se non fosse stato per la provvidenziale presenza della sua amoureuse. Ha colpito come un'aquila: uno, due. Questa qui, signori, se avesse la voglia e il tempo di farsi da sola il suo TB, mi farebbe le scarpe in quindici giorni. Anche per questo me la tengo cara & preziosa, specificando che -fortunatamente- detesta le pellicce.
Non soltanto una Treggia da chapeau, attiva e usatissima dal proprietario, ma anche una rutilante targa bresciana, di quelle da mettere adrenalina in corpo al cacciatore di targhe. Una combinazione tra le più ambite, ovvero il numero a tre cifre che si ripete: 478 478. E non è finita qui, come si vedrà in seguito. Insomma, per concludere: tenkiù Piasintëina!
Ma icché 'òle guardà' sotto l'acqua...
M'aggiravo sotto un autentico diluvio per la città illividita dal verno (bello come inizio eh?), quando l'occhio m'è per caso cascato su uno strano automezzo parcheggiato in modo più che discosto; e mi sa proprio che parcheggiato ci deve restare a lungo, vista la funzione che dichiara -anzi ostenta- dovunque sulla sua carrozzeria. Il guardiafuochi di un non meglio precisato Pronto Intervento di un Comitato Regionale Toscana (targato Verona ?!?). Scendendo disposto a pigliarmi un acquazzone sul groppone pur di non lasciarmi sfuggire 'sto catramone tutto bombardato, mi sono ragionevolmente chiesto che accidenti sia un guardiafuochi. "Uno che va a guardare, o a far la guardia, ai fuochi", mi si potrebbe rispondere. Eh già, bellini voi. Tanto più che ci ha pure il Comitato Regionale. Mica scherzi, eh. Un Comitato Regionale non è roba per tutti. Io non ce l'ho il Comitato Regionale del Treggia's Blog, oh. Però mi garberebbe, un giorno, attrezzare una 600 del '61 con scritto "Treggia's Blog" e "Guardiatregge". Tanto prima o poi lo fo!
Tornando al tròschi di cui sopra, ho subito scartato la VAB, la Vigilanza Antincendio Boschiva, perché ha mezzi propri con il "logo" bello chiaro. Mi è venuto quindi a mente che sia un mezzo speciale per tenere sotto controllo i fochi di San Giovanni del 24 giugno, e in generale tutti gli altri spettacoli pirotecnici che si tengono nella zona durante i mesi estivi. Altre spiegazioni razionali non mi riesce darle, a meno che non si tratti di un Comitato che ha come scopo quello di guardare i barbecue. Ad ogni modo, dal punto di vista strettamente treggistico, un qualcosa di assolutamente fuori dall'ordinario. Ma, a pensarci bene, di "ordinario" qui dentro c'è abbastanza poco...
Resta anche la singolarità dell'avvistamento: un guardiafuochi (qualunque cosa esso sia davvero) sotto un rovescio d'acqua di quelli seri. A questo punto, per controbilanciare, dovrò prima o poi scovare un guardiaalluvioni in mezzo a un rogo!
Tornando al tròschi di cui sopra, ho subito scartato la VAB, la Vigilanza Antincendio Boschiva, perché ha mezzi propri con il "logo" bello chiaro. Mi è venuto quindi a mente che sia un mezzo speciale per tenere sotto controllo i fochi di San Giovanni del 24 giugno, e in generale tutti gli altri spettacoli pirotecnici che si tengono nella zona durante i mesi estivi. Altre spiegazioni razionali non mi riesce darle, a meno che non si tratti di un Comitato che ha come scopo quello di guardare i barbecue. Ad ogni modo, dal punto di vista strettamente treggistico, un qualcosa di assolutamente fuori dall'ordinario. Ma, a pensarci bene, di "ordinario" qui dentro c'è abbastanza poco...
Resta anche la singolarità dell'avvistamento: un guardiafuochi (qualunque cosa esso sia davvero) sotto un rovescio d'acqua di quelli seri. A questo punto, per controbilanciare, dovrò prima o poi scovare un guardiaalluvioni in mezzo a un rogo!
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