La sua sigla, "DS", in francese si legge "Dé-Esse", vale a dire "Dea" (Déesse). Sì, d'accordo che i francesi, con la loro ben nota grandeur, sono leggermente enfatici; però, almeno nel caso di questa mitica autovettura, nessuno potrebbe osare dar loro torto. Forse anch'io corro il rischio di essere un po' enfatico, però nutro verso la DS un'autentica venerazione di lunga data, fin da quando la si vedeva relativamente spesso circolare per le strade; al che, gl'italiani avevano reazioni contrastanti. C'erano quelli che, come me, sobbalzavano (e figuratevi ora, che se ne vede una ogni morte di papa -e poiché ne ho tosto vista una chissà che il mondo non debba rinunciare al simpaticissimo pastore tedesco che abbaia in Vaticano); c'erano invece gli ultras nazionalisti, i piccolo-borghesi la cui aspirazione massima era la millecento (...se il fuoco ha risparmiato le vostre 1100, cantava De André ispirandosi peraltro alla francese Dominique Grange e alla sua Chacun de vous est concerné) che, nel vederla, facevano i sarcastici e gli sdegnosi, un po' come nel vedere un quadro di Picasso, di Kandinsky o di Paul Klee. Pfui a costoro, e a tutti i borghesucci piccoli piccoli che non hanno ancora cessato di essere la rovina dell'umanità intera. Quando si vedono ancora in giro capolavori d'arte come questi, e che lo sarebbero anche se la cosa non fosse stata ufficialmente certificata dal museo Guggenheim, è solo necessario fermarsi come ci si fermerebbe, appunto, davanti ad un dipinto di Picasso. In solitaria e rispettosa ammirazione.
sabato 20 giugno 2009
La Dea
La sua sigla, "DS", in francese si legge "Dé-Esse", vale a dire "Dea" (Déesse). Sì, d'accordo che i francesi, con la loro ben nota grandeur, sono leggermente enfatici; però, almeno nel caso di questa mitica autovettura, nessuno potrebbe osare dar loro torto. Forse anch'io corro il rischio di essere un po' enfatico, però nutro verso la DS un'autentica venerazione di lunga data, fin da quando la si vedeva relativamente spesso circolare per le strade; al che, gl'italiani avevano reazioni contrastanti. C'erano quelli che, come me, sobbalzavano (e figuratevi ora, che se ne vede una ogni morte di papa -e poiché ne ho tosto vista una chissà che il mondo non debba rinunciare al simpaticissimo pastore tedesco che abbaia in Vaticano); c'erano invece gli ultras nazionalisti, i piccolo-borghesi la cui aspirazione massima era la millecento (...se il fuoco ha risparmiato le vostre 1100, cantava De André ispirandosi peraltro alla francese Dominique Grange e alla sua Chacun de vous est concerné) che, nel vederla, facevano i sarcastici e gli sdegnosi, un po' come nel vedere un quadro di Picasso, di Kandinsky o di Paul Klee. Pfui a costoro, e a tutti i borghesucci piccoli piccoli che non hanno ancora cessato di essere la rovina dell'umanità intera. Quando si vedono ancora in giro capolavori d'arte come questi, e che lo sarebbero anche se la cosa non fosse stata ufficialmente certificata dal museo Guggenheim, è solo necessario fermarsi come ci si fermerebbe, appunto, davanti ad un dipinto di Picasso. In solitaria e rispettosa ammirazione.
giovedì 18 giugno 2009
Sas treggias sassaresas
Il Treggia's Blog comincia a farsi conoscere in giro, ed ecco finalmente il primo, autentico contributo esterno! Ce lo manda l'amico Ottmar da Sassari, grande tifoso del Cagliari ma anche simpatizzante della Fiorentina nonché tessera n° 1 dei Cacciatori Sardi del Treggia's Blog. Queste foto che ci ha mandato le ha scattate nel cortile di un ex officina a Sassari, e ci presentano due autentici pezzi da novanta.
Il primo (le prime due foto) è una Bianchina giardinetta targata Vukovar 1991 e tenuta come nuova; diciamo che necessita appena di un paio di ritocchini, con l'avvertenza che la ruota di scorta che si scorge sotto la vettura funge da zeppa per evitare che i due tronconi della vettura precipitino a terra. Per il resto, questo post vuole essere anche un appello affinché il proprietario, invece di circolare su una stupidissima Clio o su una Pegiò dugentosei, la rimetta finalmente in sesto e arricchisca l'autoparco sassarese di un vero tesoro, invece di lasciarlo lì a dormire.
Nella terza foto, invece, si può vedere un intervento di rianimazione praticato ad una Lancia Fulvia GT (verde anch'essa: ma che le facevano solo verdi?) con tanto di Unità Mobile di Soccorso. A giudicare dalla foto, la defibrillazione dev'essere stata positiva, nonostante gli evidenti acciacchi sul cofano dovuti al massaggio cardiaco. Con un grazie ancora a Ottmar per il suo contributo, e sperandone in altri!
Giardinett power!
Ora ci sono le station wagon (pronuncia a Firenze: stescionvègo, plurale a scelta: gli stescionvèghi o le stescionvèghe, a seconda del genere che si vuole dare), che non ho mai capito bene cosa accidenti voglia dire: vagone da stazione? E che sono, treni? Vabbè, ad ogni modo, tanti anni fa, tale termine lo si poteva trovare solo sul mitico TAM, il "Tutte le Auto del Mondo", un volumone edito ogni anno da non mi ricordo chi, e che presentava davvero tutte le macchine in commercio al momento, compreso quelle ameriàne. E in Amèria ce l'avevano su i' serio le stescionvèghe, pure con qualche giustificazione per il loro nome dato che sembravano davvero vagoni ferroviari. Noi, invece, ci si doveva contentare delle familiari e delle giardinette (o giardiniere). Le familiari erano le macchine col portellone dietro, in cui la famigliuola italiana un po' più abbiente da potersi permettere qualcosa di più d'una cinquecento o d'una secento poteva sistemare i bagagli, il cane Pierfilippo (un molosso che scaricava cacate di due chili a ogni partenza per le vacanze), la tivvù Marelli con lo stabilizzatore e, all'occorrenza, anche quei rompicoglioni dei nonni -ancorché ben pigiati); le giardinette, invece, erano prevalentemente macchine da lavoro. Derivate dalle utilitarie (mentre le familiari derivavano dalle "berline", ad esempio la 1100 o la 124 familiare), devono probabilmente il loro nome all'uso smodato che ne facevano i giardinieri di professione, dimodoché le si vedeva strapiene di vasi, di sacchi di terriccio, di attrezzi, di secchi e quant'altro; sembra che i modelli più sofisticati fossero muniti anche di comodi portatalpe. Ciò non toglie che, ben presto, cominciarono a servirsene anche altre categorie professionali: in primis i trombai (non sobbalzate pensando a chissà cosa: a Firenze il trombaio è l'idraulico), ma anche i falegnami, i pizzicagnoli (cui ricordava piacevolmente la giardiniera di sottaceti), gli imbianchini, gli elettricisti. Si tiravano giù i sedili posteriori, e la giardinetta diventava un capientissimo minifurgoncino a prezzi modici (un po' come la più recente "Panda furgonata", che chissà come mai veniva data in dotazione soltanto agli operai dell'Enel e della Sip).
La Fiat Giardinetta, come è ovvio, derivava dalla Cinquecento; dopo anni e anni di onoratissimo servizio, fu "ceduta" alla controllata Autobianchi ma alcuni esemplari (come questo, appartenente all'ultimissima fase della produzione) restarono col marchio Fiat. Fu l'ultima auto italiana (e forse al mondo) a montare sempre le portiere con apertura controvento, una cosa che dicevano pericolosissima perché c'era il rischio che si spalancassero in marcia se non erano chiuse bene. Vabbè! Concludiamo col dire che, col nostro ingrèse veramente osfordiano (con punte di Chèmbrigg'), il titolo del post vuol dire, naturalmente, Giardinetta da pòeri. O icché vu' v'eri immaginato?...
La Fiat Giardinetta, come è ovvio, derivava dalla Cinquecento; dopo anni e anni di onoratissimo servizio, fu "ceduta" alla controllata Autobianchi ma alcuni esemplari (come questo, appartenente all'ultimissima fase della produzione) restarono col marchio Fiat. Fu l'ultima auto italiana (e forse al mondo) a montare sempre le portiere con apertura controvento, una cosa che dicevano pericolosissima perché c'era il rischio che si spalancassero in marcia se non erano chiuse bene. Vabbè! Concludiamo col dire che, col nostro ingrèse veramente osfordiano (con punte di Chèmbrigg'), il titolo del post vuol dire, naturalmente, Giardinetta da pòeri. O icché vu' v'eri immaginato?...
Elba, miniera di tregge (7-fine): Andate sur Maggiolino, che vi fa bòno
E sia: a pochi minuti dall'imbarco che m'avrebbe riportato in continente, l'Elba m'ha vorsùto dare l'arrivederci con un'altra macchina targata Pisa. C'è da dire che all'Elba era una cosa frequente: addirittura, negli anni '70 e '80, gli autobus di linea che facevano servizio sull'isola erano tutti targati Pisa, pur essendo l'Elba in provincia di Livorno. Insomma, poi, comunque la si metta, la "principessa" del mini-Treggiatour elbano è stata la 600 D, che era targata Livorno; e davanti a un Maggiolino bianco non bisogna stare tanto a andare per il sottile. Si fotografa e basta, con la speranza di ribeccare prima o poi in servizio l'Elba Prima, il traghetto che fornirebbe il primo esempio di treggia navale di questo blog...
martedì 16 giugno 2009
Elba, miniera di tregge (6): La Duna, o la crudele legge del contrappasso
Avete ancora negli occhi la meraviglia del post precedente? Ok, sarà bene che vi svegliate. E alla svelta, cari miei. Perché questo è il Treggia's Blog, altamente democratico e egualitario, e nulla (ribadisco: nulla) vi sarà risparmiato. Nemmeno la Duna Berlina.
Il "caso Duna" pone problemi particolari. Innanzitutto, qui non c'è da chiedersi per quale volere soprannaturale ne circolino ancora alcuni esemplari, bensì quale sia stato il volere ancor più misterioso che, a suo tempo, l'abbia fatta acquistare a delle persone intemerate, onesti padri di famiglia, lavoratori senza macchia; sicuramente non il suo spot pubblicitario, per il quale si potrebbe ipotizzare la mano di Ed Wood. Tant'è; e forse bisognerà invocare il medesimo ente soprannaturale che me ne ha fatta trovare una proprio all'Elba, dato che la sua versione successiva fu commercializzata come Innocenti Elba. Oddio, non so proprio se sia stato un grande onore per l'isola d'Elba, o perlomeno ho qualche ragionevole dubbio.
Sulle origini della Duna circolano da tempo leggende incontrollabili. Una delle più diffuse vuole che l'ingegnere cui era stato affidato il progetto avesse in mente una vettura dalle forme avveniristiche, superinnovative, filanti e aerodinamiche; ma che, la notte, in sogno, gli sia apparso uno spiritello notevolmente maligno, tale Duniel, cancellandogli dalla mente tutto quel che aveva concepito ed instillandogli gli obbrobriosi disegni poi messi disgraziatamente in pratica. Si narra altresì che l'ingegnere in questione non volle sopravvivere all'onta, gettandosi sotto la prima Bugatti del '32 che passava; fine non migliore fecero i protagonisti dello spot pubblicitario, tale rag. Mazzacurati Elvio, sua moglie Perissinotto Angela Maria e suo figlio Mazzacurati Astianatte, miseramente periti durante un delirio del capofamiglia che, volendo emulare le gesta di Luna Rossa, scrisse sulla fiancata della vettura Duna Rossa, le mise su una vela e si gettò dal molo di Varazze durante le vacanze. Requiescant in pace.
A onor del vero, va detto che esistono tuttora molti estimatori della Duna, raccolti persino in clebs: hanno persino prodotto un video YouTube "Riabilitiamo la Duna", contenente commosse e sentite testimonianze di Dunisti.
Il "caso Duna" pone problemi particolari. Innanzitutto, qui non c'è da chiedersi per quale volere soprannaturale ne circolino ancora alcuni esemplari, bensì quale sia stato il volere ancor più misterioso che, a suo tempo, l'abbia fatta acquistare a delle persone intemerate, onesti padri di famiglia, lavoratori senza macchia; sicuramente non il suo spot pubblicitario, per il quale si potrebbe ipotizzare la mano di Ed Wood. Tant'è; e forse bisognerà invocare il medesimo ente soprannaturale che me ne ha fatta trovare una proprio all'Elba, dato che la sua versione successiva fu commercializzata come Innocenti Elba. Oddio, non so proprio se sia stato un grande onore per l'isola d'Elba, o perlomeno ho qualche ragionevole dubbio.
Sulle origini della Duna circolano da tempo leggende incontrollabili. Una delle più diffuse vuole che l'ingegnere cui era stato affidato il progetto avesse in mente una vettura dalle forme avveniristiche, superinnovative, filanti e aerodinamiche; ma che, la notte, in sogno, gli sia apparso uno spiritello notevolmente maligno, tale Duniel, cancellandogli dalla mente tutto quel che aveva concepito ed instillandogli gli obbrobriosi disegni poi messi disgraziatamente in pratica. Si narra altresì che l'ingegnere in questione non volle sopravvivere all'onta, gettandosi sotto la prima Bugatti del '32 che passava; fine non migliore fecero i protagonisti dello spot pubblicitario, tale rag. Mazzacurati Elvio, sua moglie Perissinotto Angela Maria e suo figlio Mazzacurati Astianatte, miseramente periti durante un delirio del capofamiglia che, volendo emulare le gesta di Luna Rossa, scrisse sulla fiancata della vettura Duna Rossa, le mise su una vela e si gettò dal molo di Varazze durante le vacanze. Requiescant in pace.
A onor del vero, va detto che esistono tuttora molti estimatori della Duna, raccolti persino in clebs: hanno persino prodotto un video YouTube "Riabilitiamo la Duna", contenente commosse e sentite testimonianze di Dunisti.
Elba, miniera di tregge (5): Senza parole (o quasi)
Quasi al termine dell'Anello Occidentale dell'Elba (che, per inciso, è una delle più belle strade panoramiche del mondo, e se non ci credete andateci in una giornata limpida quando sembra di toccare la Corsica), ci si ritrova in uno dei paesi collinari dell'isola. Proprio all'inizio del paese, l'occhio ha colto quel che vedete nelle fotografie; e dire che ho inchiodato è un gentile eufemismo. Più che inchiodarla, l'ho fatta sollevare sulle ruote posteriori, la mia povera e fedele Polverosa che già in tante foto di questo blog compare senza che si sappia qual è; ma un giorno o l'altro avrà un post tutto per lei.
Senza parole, appunto. Che si tratta di una Fiat 6oo D del 1963, che per inciso è anche il mio anno di nascita, me l'ha detto il gentilissimo proprietario, che era presente e che mi ha permesso di fotografarla persino aprendo la portiera sinistra controvento. Così come mi ha informato che la vettura era a lungo appartenuta al vecchio parroco del paese, e che lui stesso ha provveduto al restauro con interni e verniciatura assolutamente originali.
Le foto le ho fatte, ma non mi riusciva letteralmente rimontare in macchina e andarmene; e pensare che la prima macchina di mio padre è stata proprio una 600 D, del 1960, e maledett'alla miseria quando macchine del genere si buttano via. Ché ora, per vedere qualcuna di queste meraviglie, bisogna ricorrere ai film degli anni '60 (noterete come non sia la prima volta che, in questo blog, si nomina il cinema; e la cosa è pienamente intenzionale). Oppure armarsi di pazienza, tenere gli occhi aperti e portarsi sempre dietro la Kodak.
Insomma, alla fine m'è toccato ripartire (anche perché, a sua volta, il proprietario, il signor M., se n'è dovuto andare; e crèdasi che, nel vederlo montare e mettere in moto, m'è preso un momentino di autentica e nera invidia). Restano le foto, ed anche un pochina di soddisfazione d'aver messo su questo squinternato blog per fare vedere a tutti che cosa ancora circola per le nostre strade. Tesori su quattro ruote, ancorché rugginosi e malandati, che sfidano il tempo; e qualsiasi cosa sappia sfidare il tempo, è un granello che contribuisce a vincerlo.
Senza parole, appunto. Che si tratta di una Fiat 6oo D del 1963, che per inciso è anche il mio anno di nascita, me l'ha detto il gentilissimo proprietario, che era presente e che mi ha permesso di fotografarla persino aprendo la portiera sinistra controvento. Così come mi ha informato che la vettura era a lungo appartenuta al vecchio parroco del paese, e che lui stesso ha provveduto al restauro con interni e verniciatura assolutamente originali.
Le foto le ho fatte, ma non mi riusciva letteralmente rimontare in macchina e andarmene; e pensare che la prima macchina di mio padre è stata proprio una 600 D, del 1960, e maledett'alla miseria quando macchine del genere si buttano via. Ché ora, per vedere qualcuna di queste meraviglie, bisogna ricorrere ai film degli anni '60 (noterete come non sia la prima volta che, in questo blog, si nomina il cinema; e la cosa è pienamente intenzionale). Oppure armarsi di pazienza, tenere gli occhi aperti e portarsi sempre dietro la Kodak.
Insomma, alla fine m'è toccato ripartire (anche perché, a sua volta, il proprietario, il signor M., se n'è dovuto andare; e crèdasi che, nel vederlo montare e mettere in moto, m'è preso un momentino di autentica e nera invidia). Restano le foto, ed anche un pochina di soddisfazione d'aver messo su questo squinternato blog per fare vedere a tutti che cosa ancora circola per le nostre strade. Tesori su quattro ruote, ancorché rugginosi e malandati, che sfidano il tempo; e qualsiasi cosa sappia sfidare il tempo, è un granello che contribuisce a vincerlo.
lunedì 15 giugno 2009
Elba, miniera di tregge (4): La Furvia, gào!
Non so quanto, a Firenze, possa far piacere averci una gemella pisana; ma c'è poco da fare. Ecco infatti un'altra Lancia Fulvia GT verde, targata (Dio ne scampi!), Pisa. Confidiamo naturalmente sul fatto che, essendo la vettura stata reperita all'Elba, il proprietario sia rigorosamente un elbano; e, del resto, a mio disdoro debbo dire che quando abitavo a Livorno avevo anch'io la macchina targata Pisa. Dopo aver rimembrato questo indecoroso episodio, non possiamo comunque che toglierci il cappello di fronte a quest'altra Fulvia, ancora bella "in banda" e pienamente in uso dopo una quarantina d'anni; anche perché, a differenza della gemella fiorentina, questa è lasciata tranquillamente al sole con una temperatura che quel giorno sarà stata di 40 gradi all'ombra (e non c'era ombra), perdipiù in un posto dell'isola che -tanto per ribadire il concetto- presenta toponimi e odonimi come "Seccheto", "via del Forno", "via Bollecaldaie" e cosine del genere che non ricordano senz'altro l'Islanda. Insomma, per una macchina del genere, seppur immatricolata a Pisa, l'applauso è d'obbligo.
Elba, miniera di tregge (3): Sfizzere? Sì, targhe!
Sicuramente vi chiederete cosa ci stanno a fare, nel Treggia's Blog, una Porsche Cayenne o una Mercedes SX666 Heilhitler o roba del genere; ma questo intermezzo elvetico nel Treggia's Tour elbano è dovuto esclusivamente alle targhe.
In Svizzera, com'è noto, la targa è strettamente personale e fa le veci del libretto di circolazione: tutte le auto delle Confederazione prevedono un dispositivo per il quale è possibile staccare la targa e trasferirla a piacere su un'altra automobile di proprietà (questo è il motivo per cui, in quello strambo paese, si vedono spesso tranquillamente parcheggiate auto prive della targa, una caratteristica propria anche di Beirut o della ex Jugoslavia di qualche anno fa, ma per motivi differenti).
C'è da dire però che le targhe svizzere, avendo mantenuto la struttura "sigla cantonale + numero" (al posto delle orrende combinazioni alfanumeriche che imperano oramai ovunque), sono rimaste uno degli ultimi baluardi dei cacciatori di targhe; cosa che è particolarmente evidente nelle foto sopra. In Svizzera, tra le altre cose, è possibilissimo acquistare la propria targa (cosa non farebbero per vendere, quelli là!) in modo da prendersene una con un numeretto strano, particolarmente basso, eccetera.
Nella prima foto (dall'alto) si vede un fuoristradino sangallese (SG, Sankt Gallen) targato 222 222. S'ignora ovviamente perché il proprietario nutra una passione così smodata per il "2", anche perché la dizione tedesca del numero "222", zweihundertzweiundzwanzig, sfida ogni legge della ragionevolezza umana. A dire il vero ci sarebbe anche da chiedersi che diavolo abbia fatto il sig. Gallo per essere nominato santo, a parte fare chicchiricchì ogni mattina; ma si vede che in Svizzera gli è piaciuto talmente da farne un cantone. Ma sono questioni che c'interessano relativamente: quel che più conta è che il sangallese amante dei "2" abbia deciso di prendersi una salutare vacanza elbana, lontano dal clima di merda delle sue parti, per venire a parcheggiare il suo automezzo vicino a un molo. Poi sono arrivato io, e zàc!, la sua targhetta è stata immortalata.
Al parti di quella seconda foto (o foto di mezzo che dir si voglia), quella che ritrae -ahimé- la Porsche Cayenne. Qui ci abbiamo un ticinese, vale a dire un montanaro lombardo che si ostina -Dio sa come mai- a fare lo svizzero, che il suo suvvone ce l'ha targato Tredici. E basta. Possiamo ipotizzare sogni di bambino, quando leggeva Paperino e voleva averci la 113; chissà, forse la targa 113 era già occupata e allora s'è dovuto contentare di levarci un "1". Si ignora ovviamente se il suo zio miliardario (quello che ci ha la banca, la fabbrica di cioccolato, il negozio di orologi e le mucche al pascolo) abbia, nella sua targa, il segno del Dollaro!
Una parentesi sulla Porsche Cayenne: a mio parere, chi studia i nomi per i SUV deve avere qualche tara non di poco conto. "Cayenne", insomma, è il nome della Cajenna; e non è che tale nome riporti a immagini piacevoli. Uno si compra il suvvazzo da settantamila euri per andare a giro con una cosa che ricorda un bagno penale, torture, l'isola del Diavolo, Dreyfus, Papillon coi soldi infilati nel buco del culo, e via discorrendo; un vero bigiù, insomma. Sospetto però che il genio che ha concepito tale nome, nel solco della moda "indian-avventur-omovero", lo volesse chiamare Cheyenne e che si sia leggermente sbagliato...
Nella terza foto (o prima dal basso, tiè!), quella con la Mercedes SK4380 Gottmituns o come si chiama, la targa invece, lo si deve dire, non ha proprio niente di particolare; senonché, almeno per me, è fonte di ricordi personali. È targata Friburgo (Fribourg/Freiburg, quella svizzera insomma); e se per caso qualcuno si domandasse perché io sia così addentro ai misteri delle targhe svizzere, devo confessare che proprio in quel di Friburgo ci ho abitato per diversi anni. Insomma, come dire: considerato che di targhe friburghesi ce ne saranno sì e no quindici (facciamo sedici), vederne una proprio all'Elba mi ha riportato al passato; e non ho potuto fare a meno di fare una fotina.
In Svizzera, com'è noto, la targa è strettamente personale e fa le veci del libretto di circolazione: tutte le auto delle Confederazione prevedono un dispositivo per il quale è possibile staccare la targa e trasferirla a piacere su un'altra automobile di proprietà (questo è il motivo per cui, in quello strambo paese, si vedono spesso tranquillamente parcheggiate auto prive della targa, una caratteristica propria anche di Beirut o della ex Jugoslavia di qualche anno fa, ma per motivi differenti).
C'è da dire però che le targhe svizzere, avendo mantenuto la struttura "sigla cantonale + numero" (al posto delle orrende combinazioni alfanumeriche che imperano oramai ovunque), sono rimaste uno degli ultimi baluardi dei cacciatori di targhe; cosa che è particolarmente evidente nelle foto sopra. In Svizzera, tra le altre cose, è possibilissimo acquistare la propria targa (cosa non farebbero per vendere, quelli là!) in modo da prendersene una con un numeretto strano, particolarmente basso, eccetera.
Nella prima foto (dall'alto) si vede un fuoristradino sangallese (SG, Sankt Gallen) targato 222 222. S'ignora ovviamente perché il proprietario nutra una passione così smodata per il "2", anche perché la dizione tedesca del numero "222", zweihundertzweiundzwanzig, sfida ogni legge della ragionevolezza umana. A dire il vero ci sarebbe anche da chiedersi che diavolo abbia fatto il sig. Gallo per essere nominato santo, a parte fare chicchiricchì ogni mattina; ma si vede che in Svizzera gli è piaciuto talmente da farne un cantone. Ma sono questioni che c'interessano relativamente: quel che più conta è che il sangallese amante dei "2" abbia deciso di prendersi una salutare vacanza elbana, lontano dal clima di merda delle sue parti, per venire a parcheggiare il suo automezzo vicino a un molo. Poi sono arrivato io, e zàc!, la sua targhetta è stata immortalata.
Al parti di quella seconda foto (o foto di mezzo che dir si voglia), quella che ritrae -ahimé- la Porsche Cayenne. Qui ci abbiamo un ticinese, vale a dire un montanaro lombardo che si ostina -Dio sa come mai- a fare lo svizzero, che il suo suvvone ce l'ha targato Tredici. E basta. Possiamo ipotizzare sogni di bambino, quando leggeva Paperino e voleva averci la 113; chissà, forse la targa 113 era già occupata e allora s'è dovuto contentare di levarci un "1". Si ignora ovviamente se il suo zio miliardario (quello che ci ha la banca, la fabbrica di cioccolato, il negozio di orologi e le mucche al pascolo) abbia, nella sua targa, il segno del Dollaro!
Una parentesi sulla Porsche Cayenne: a mio parere, chi studia i nomi per i SUV deve avere qualche tara non di poco conto. "Cayenne", insomma, è il nome della Cajenna; e non è che tale nome riporti a immagini piacevoli. Uno si compra il suvvazzo da settantamila euri per andare a giro con una cosa che ricorda un bagno penale, torture, l'isola del Diavolo, Dreyfus, Papillon coi soldi infilati nel buco del culo, e via discorrendo; un vero bigiù, insomma. Sospetto però che il genio che ha concepito tale nome, nel solco della moda "indian-avventur-omovero", lo volesse chiamare Cheyenne e che si sia leggermente sbagliato...
Nella terza foto (o prima dal basso, tiè!), quella con la Mercedes SK4380 Gottmituns o come si chiama, la targa invece, lo si deve dire, non ha proprio niente di particolare; senonché, almeno per me, è fonte di ricordi personali. È targata Friburgo (Fribourg/Freiburg, quella svizzera insomma); e se per caso qualcuno si domandasse perché io sia così addentro ai misteri delle targhe svizzere, devo confessare che proprio in quel di Friburgo ci ho abitato per diversi anni. Insomma, come dire: considerato che di targhe friburghesi ce ne saranno sì e no quindici (facciamo sedici), vederne una proprio all'Elba mi ha riportato al passato; e non ho potuto fare a meno di fare una fotina.
Elba, miniera di tregge (2): Fantozzi is back!
Oddio, a rigore non è esattamente la macchina di Fantozzi, perché il rag. Ugo ci aveva la berlina mentre questa, invece è la Panoramica. Però alzi la mano chiunque, ritrovandosi di fronte a una meraviglia come questa, non penserebbe alla celebre scena del capodanno. Insomma, una macchina e un sobbalzo di ricordi, di qualsiasi genere; tanto più a vedermela, in piena isola d'Elba, con la targa di Piacenza!
La Bianchina, sia berlina che panoramica, è probabilmente la vecchia macchina più presente nei garages dei nonni. Il nonno, nel garage-laboratorio dove passa la domenica a aggeggiare, radiolina accesa sulle partite di calcio e nonna in casa a guardare Pippo Baudo, ha quasi sempre una Bianchina che non usa più (o che usa assai di rado), ma che liscia, coccola, rimette a punto, olia e ripulisce; ed è assai possibile che, pensando all'ultimo viaggio che si avvicina, intenda farselo proprio su quella fantasmagorica autovettura che portava di tutto. Senza tenere conto delle occhiate di concupiscenza del nipotino smartato o roba del genere, che sbaverebbe per presentarsi agli amici o alla ragazza con quell'automezzo lì, invece che con il banale fighettame che circola di questi rii tempi.
La Bianchina, sia berlina che panoramica, è probabilmente la vecchia macchina più presente nei garages dei nonni. Il nonno, nel garage-laboratorio dove passa la domenica a aggeggiare, radiolina accesa sulle partite di calcio e nonna in casa a guardare Pippo Baudo, ha quasi sempre una Bianchina che non usa più (o che usa assai di rado), ma che liscia, coccola, rimette a punto, olia e ripulisce; ed è assai possibile che, pensando all'ultimo viaggio che si avvicina, intenda farselo proprio su quella fantasmagorica autovettura che portava di tutto. Senza tenere conto delle occhiate di concupiscenza del nipotino smartato o roba del genere, che sbaverebbe per presentarsi agli amici o alla ragazza con quell'automezzo lì, invece che con il banale fighettame che circola di questi rii tempi.
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Elba, miniera di tregge (1)
Sin dai tempi degli Etruschi, l'isola d'Elba è nota per le sue miniere di ferro e per le cave di granito: a tutto questo, lo dico con estrema convinzione, dovrebbero essere aggiunte le Tregge. Reduce da una breve trasferta sullo Scoglio, ho avuto modo di constatarlo in un radioso giovedì pomeriggio, in cui mi son fatto tutto l'Anello Occidentale (la strada Provinciale n° 25) da Marina di Campo a Marciana Alta, e riscendendo poi per gli impegnativi tornanti del Monte Perone. Non c'è stato nemmeno bisogno di cercarle, le Tregge: si sono presentate da sole. Sin dall'inizio nella piazzetta del Tembien, a Marina di Campo, di fronte alle Scalinate; e non soltanto Tregge, come si vedrà meglio in seguito. Una vera e propria miniera, insomma, con dei pezzi da '90. Indi per cui, a chiunque condividesse con il sottoscritto la passionaccia dei safari treggiàtici, consiglio un soggiorno all'Elba (la quale, automobili a parte, presenta anche svariate altre attrattive, come si può vedere dalla foto sopra). Andiamo dunque a incominciare, e siate pronti a rifarvi gli occhi!
L'Accento Dòdici
Comunque la si voglia mettere, l'Autobianchi A112 è stata e rimane uno dei simboli degli anni '70 automobilistici italiani. Comparve verso il '69 come una sorta di Neobianchina, anche se, più propriamente, doveva contrastare il successo fino ad allora incontrastato della Mini Minor tra i giòvini e le donne. Successo che fu senz'altro contrastato: dotata di linea piacevole e di soluzioni assai innovative per l'epoca, rimase in produzione fino al 1986 (anche con l'allora immancabile versione Abarth). Qui ne abbiamo un esemplare dell'ultima serie (per la targa siamo verso il 1984). Molti e folkloristici i modi in cui veniva comunemente chiamata nell'eloquio popolare; poiché A Centododici era troppo lungo e A era troppo corto, il modo più spiccio era di chiamarla Centododici, senza la "A": oh, ha' visto, la Titti s'è compraha la Centododici! Però m'è capitato di sentire una signora dal pizzicagnolo che era convinta che si chiamasse Accento Dòdici; e siccome del dodici si poteva farne tranquillamente a meno, a volte la chiamava semplicemente Accento. Una volta la signora in questione si presentò appiedata, e al pizzicagnolo che le chiedeva dove avesse messo la macchina, rispose che l'Accento s'era guastato. E il pizzicagnolo: O signora, ma a raccomodàlla indò la porta, da i' meccaniho o da i' maestro di hanto?....
E Iddio creò la Panda
Narrano le antiche istorie che il Padreterno, un giorno, constatando il sostanziale fallimento della Fiat 126 abbia ispirato l'Agnelleria per una nuova utilitaria; e poiché la 126 era piccola e scomodissima, suggerì, dall'IAC (Incomparabile Alto de' Cieli), di farla un po' più grande, con un bagagliaio dove c'entrasse qualcosa di più di una valigetta 24 ore o d'una sporta della spesa e con un motorino un po' più brillante. Ma si sa bene che l'umanità non ascolta più il volere divino, o perlomeno lo ascolta male; fatto sta che il risultato fu la Panda (plurale fiorentino: Pande. Una panda, du' pande). Ok, d'accordo, nel bagagliaio ci stava molta più roba, volendo addirittura il cadavere della suocera appena giustiziata, già pronto per domestici tentativi di occultamento; però i passeggeri che dovevano accomodarsi dietro non potevano comunque superare il metro di statura (bambini, nani o l'umanità intera se si fosse avverata la cupa vicenda di Get 'em Out by Friday dei Genesis). Quando al guidatore e al passeggero davanti, oltre che con le ridotte dimensioni intrinseche della vettura, dovevano vedersela con la celebre e bieca barra dello spazio portaoggetti, autentica trituratrice di rotule. In tempi quando ancora non era obbligatoria la cintura di sicurezza, una frenata brusca con una Panda poteva costare quantomeno dei lividi sotto le ginocchia dall'estensione d'una gora. Fa nulla: la Panda, di cui qui potete vedere un avito esemplare dei primi anni '80, ebbe un gran successo. La scatolina, come venne subito ribattezzata; in Germania la cosa fu sfruttata pubblicitariamente con la campagna della tolle Kiste ("scatoletta ganza" o roba del genere).
La carica dei Cinquini (2)
Come già specificato, questo blog non vuole essere e non sarà una raccolta di Fiat 500: ancora, a giro, ce ne sono (con gran gioia!) ancora talmente tante da beccarne almeno quattro o cinque alla volta, durante un Treggia Tour. Ciononostante, qualcuna che abbia certe caratteristiche è sempre bene mettercela; come ad esempio queste due. La prima, nella luce del tramonto, per il suo arancione sgargiante che risalta ancor di più nelle particolari condizioni orarie; e la seconda sia per il suo classico celestino bismunto (sembra bianca, ma non lo è!) e per l'età che comincia a farsi davvero notevole (anche se per ora non ne è stata beccata una veramente vecchia; e qui mi mordo le mani, perché per giorni e giorni, qualche mese fa, ne ho avuta veramente vecchia, con le portiere controvento, targa FI 19... e qualcosa, parcheggiata in un luogo che frequento spesso; ma il Treggia's Blog era ancora molto di là dal venire). Pazienza: intanto consoliamoci con queste due, e con una sentita dedica ad una loro compagna, rossa fiammante, che pochi giorni fa (come riportato da un quotidiano cittadino) è divenuta -ahimé- ancor più fiammante prendendo fuoco in mezzo di strada, vicino all'ospedale di Careggi (felicemente senza danni, va detto subito, per il conducente). Una perdita incalcolabile. Un Cinquino che muore sul campo, ed al quale questo blog tributa un sentito omaggio e l'onore che merita.
A Beetle at Night
Sono stati giorni pieni, questi; pieni e anche un po' contraddittori. Ma, del resto, l'alternanza tra cose belle e cose meno belle è il sale stesso della vita...insomma, ok, la mia filosofia spicciola ve la risparmio senz'altro e torniamo, in un giugno finalmente torrido, alle nostre care, carissime Tregge; anche perché i giorni pieni di cui sopra lo sono stati, fortunatamente, anche di veri e propri "colpi gobbi", conditi con una -seppur breve- trasferta elbana che si è rivelata, come da antichissima tradizione, una vera e propria miniera: ma sia dato tempo al tempo e (ri)partiamo un po' da dove ci eravamo lasciati, vale a dire con un bel Maggiolino di quelli veri. Anch'esso verde. E poiché l'altro era at dawn, per la par condicio ne ho beccato uno at night. Un vero e proprio gemello, come si può vedere, ma stavolta con targa fiorentina!
Avvertenza Periodica (2)
In questo blog dedicato (con passione e un bel po' d'ironia) alle vecchie macchine che si vedono ancora in giro per Firenze e dintorni, le "protagoniste" sono presentate con la relativa targa, in bella mostra. La targa fa parte integrante e insostituibile della venerabile automobile, e come tale non può essere tralasciata. Ciononostante, sono assolutamente conscio che, per le (in gran parte) stupidissime "normative sulla privacy", ciò potrebbe costituire una violazione, tanto più che le foto sono state da me scattate in giro senza poter minimamente chiedere l'autorizzazione ai proprietari dei veicoli fotografati (e come potrei fare altrimenti, visto che risalire al proprietario da una targa dovrebbe essere prerogativa esclusiva del PRA e delle forze pubbliche?). Ciononostante, se qualche proprietario dovesse riconoscere la propria vettura e non desiderasse che la targa sia visualizzata, è pregato di comunicarmelo privatamente a questo indirizzo di posta elettronica: k.riccardo@gmail.com. La targa verrà quindi immediatamente oscurata. Chiunque tenga però presente che scopo di questo blog è un sincero omaggio a quelle macchine, e in definitiva anche ai proprietari stessi che non hanno voluto privarsene; cosa per la quale hanno tutta la mia sincera ammirazione e partecipazione. Nient'altro. Le foto sono scattate in modo da non rendere facilmente riconoscibile la zona della città; quando lo fosse, è perché non è stato possibile fare altrimenti.
Questo post verrà ripetuto periodicamente.
Questo post verrà ripetuto periodicamente.
venerdì 5 giugno 2009
Errequattro lucchese
Per una Errequattro si fa sempre e comunque un'eccezione, anche quando -come questa- è pressoché seminuova (si fa per dire, eh!) e, comunque, tenuta sontuosamente. Del resto, la targa di Lucca può spiegare molte cose. Si narra ad esempio che, una volta, un lucchese resuscitò da' morti; e, ai familiari che gridavano al miracolo, rispose: "Ma quale miracolo! M'avete lasciato la luce accesa in camera! So' tornato a spengerla, poi torno dall'altra parte". Insomma, come dire, i lucchesi magari non godono della stessa fama come sparagnini dei genovesi e degli scozzesi, ma date loro -ad esempio- una R4 bianca e vedrete che ve la porteranno -in ottime condizioni- a traguardi d'età assolutamente inimmaginabili. Tra vent'anni sarà sempre così come la vedete in queste foto. Anzi, tanto che ci siamo, ci diamo appuntamento proprio fra una ventina d'anni; e siccome il parcheggio è gratis, potete star certi che il lucchese la terrà ancora lì. Una certezza assoluta!
Direttamente dal Camperozoico?
L'autoveicolo sopra raffigurato, peraltro e comunque un mirabile esempio di treggia "doc", mi ha lasciato perplesso. Di che cosa si tratta esattamente? Ovviamente il dubbio non riguarda il modello, un Ford Transit di prima generazione (dalla targa dovrebbe essere del 1972), ma la sua destinazione. Un furgone da lavoro con le tendine? Oppure, ipotesi ben più affascinante, un protocamper? In tale caso, saremmo veramente di fronte alla preistoria, un jurassic camper, un reperto del Camperozoico. Poiché, ovviamente, non posso andare a ciacciare all'interno, ho scelto questa seconda ipotesi: se niente può confermarlo, niente può neppure smentirlo. È quindi partita l'immaginazione: mi sono visto due saccacci a pelo buttati sul pavimento, una cassa di acciughe a far da mobile, e del resto che cosa di più sarebbe occorsa per scappare via in riva al mare?...
giovedì 4 giugno 2009
A Beetle at Dawn
Dire che ho orari strani è poco. I miei orari sono semplicemente folli. E contraddittori: amo visceralmente il sole e l'estate, ma praticamente vivo e lavoro di notte. Il famoso maestro di biliardo nottambulo di Fantozzi, a me mi fa un baffo con i suoi appuntamenti alle 3 di notte: a quell'ora lì, quando stavo a Imola tant'anni fa, ho dato a un tizio un appuntamento di lavoro davanti alla stazione, arrivando mentre batteva una scossa di terremoto. Alle 3 di notte a volte ceno. Poi mi fo il caffeino e vo avanti fin quando la città è bella sveglia e attiva. Allora vo a letto. Mi consolo, e dimolto, pensando che Il mattino ha l'oro in bocca è l'unica frase scritta dal sig. Jack Torrance in Shining; e tutti sapranno com'è andata a finire, a quel signore lì.
Verso l'alba, che di questa stagione fa presto assai, mi pigliano a volte i sensi di colpa, però. Dopo aver passato la notte a tradurre e a fumare come una ciminiera, verso le cinque o le cinque e mezzo penso seriamente che dovrei andarmene a dormire. Ma non ho il benché minimo sonno. Sveglio e fresco come una rosa. Ma sì, va'; pigliamoci una pausa, ché l'alba è sempre un gran spettacolo. Specialmente se, proprio all'alba, viene in mente di fare un piccolo giretto per tregge, qui in zona, dietro casa. "Un quarto d'ora e come la va, la va", mi sono detto; e la m'è andata dimolto bene, perché a trecento metri guardate un po' cosa ho trovato. Pure con la targa di Bologna, nella fioca luce dell'aurora (che a me viene sempre da scrivere ABPOPA, con il relativo e malcelato sogno di cannoneggiare il Palazzo d'Inverno). Come se non bastasse, pure d'un verde smeraldo da smeraldare tutta la giornata.
Verso l'alba, che di questa stagione fa presto assai, mi pigliano a volte i sensi di colpa, però. Dopo aver passato la notte a tradurre e a fumare come una ciminiera, verso le cinque o le cinque e mezzo penso seriamente che dovrei andarmene a dormire. Ma non ho il benché minimo sonno. Sveglio e fresco come una rosa. Ma sì, va'; pigliamoci una pausa, ché l'alba è sempre un gran spettacolo. Specialmente se, proprio all'alba, viene in mente di fare un piccolo giretto per tregge, qui in zona, dietro casa. "Un quarto d'ora e come la va, la va", mi sono detto; e la m'è andata dimolto bene, perché a trecento metri guardate un po' cosa ho trovato. Pure con la targa di Bologna, nella fioca luce dell'aurora (che a me viene sempre da scrivere ABPOPA, con il relativo e malcelato sogno di cannoneggiare il Palazzo d'Inverno). Come se non bastasse, pure d'un verde smeraldo da smeraldare tutta la giornata.
mercoledì 3 giugno 2009
In men che non si dica!
I desideri, a volte, si esaudiscono rapidamente. Proprio stanotte, infatti, esprimevo la speranza di trovarne una ben più vecchia; ed eccola servita su un piatto d'argento. Un'autentica Fiat 126 di quelle "doc", della primissima fase, quando ancora la 500 che doveva sostituire non era del tutto uscita di produzione (potremmo chiamarlo il "periodo di assestamento"). A giudicare dalla targa, dovremmo essere verso il 1973/74. Rigorosamente sbertucciata sul cofano, tranquilla e pronta per fare chissà quant'altri chilometri colorando il mondo di verde oliva; che si vuole più dalla vita? E, per continuare a fare "anni '70" (oltre alla targa che comincia con 70) si noti anche il portabagagli rimovibile sul tetto. Avete mai fatto l'esperienza di montarne e smontarne uno, e di legarci sopra con le corde elastiche una mezza tonnellata di roba, che a pigliare un colpo di vento la vettura rischiava seriamente di ribaltarsi?
Ahò, ciavemo er càmpere!
LUI - Ahò, moje, va 'n po' a vède p'a'a' strada...
LEI - Noooo...! Gajardo! Te se' fatto er càmpere! Mo' potemo annà in gita a li Castelli e in vacanza a Freggene e a Torvajanica senza dormì n'a'a' Forde Escorte o dove' domannà a quello zozzo de tu' cuggino se ce presta 'a rulotte...!
LUI - Ma te dirò de più! Potemo puro annà in gita a Firenze...!
LEI - A Firenze...? E andò stà...?
LUI - Moje, certo che te a scola dovevi èsse 'a prima d'a'a' classe in giografia...! Stà sopra Roma, Firenze, vicino a Milano...!
LEI - E nun lo sapevo....ma che ce frega, quanno se parte?
LUI - Anche sùbbito se te sbrighi....intanto vo a mette in moto er Vespaja...
LEI - Vespaja...? Ahò, e mica ce stanno li nidi de vespe dentro?...
LUI - Sì, li nidi de vespe e de lambrette...ma che ha' capito, ahò....er Vespaja...er càmpere se chiama così! Er Vespaja da'a' Vusvàghe, in tedesco vordì che è bbono puro p'annà ner Veste...!
LEI - Me ce porti ner Veste che vojo vède l'indiani e li caubbòi?...
LUI - Intanto accontentamoce d'annà a vède Firenze....er Palazzo Vecchio...
LEI - Ahò, ma nun te basta questo andò stamo, de palazzo vecchio, che ce càdeno li carcinacci sopra er letto...?
LUI - Vatt'a sbrigà, vai....se parte ! Mo' ciavemo er càmpere!
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