Così sarebbero i padovani, nello stesso detto popolare che qualifica i veronesi di tuti mati e i vicentini di magnagati. Ora, se poi i padovani siano davvero dei gran dottori non lo so; però sicuramente ci devono avere delle tregge niente male, almeno a giudicare da questa Mercedes W123 (200) (del 1984) trasferitasi in riva all'Arno. Una cosa sicuramente deve aver mantenuto dell'originaria provenienza: come tutti sanno, i veneti non si tirano indietro quando c'è da sbevazzare qualcosa che non sia acqua, e infatti l'automobile è stata fotografata proprio davanti a un'osteria. Speriamo che abbiano portato da bere anche a lei, dato che una vettura del genere, come dire, fa un bel glu glu per marciare. Gran dottori, sí, e gran bevitori!
lunedì 31 ottobre 2011
domenica 30 ottobre 2011
Verflüchtes ZA!
E ci risiamo; evidentemente, chi possiede ancora una 600 Multipla non riesce proprio a tenere le targhe originali e deve metterci quelle maledette ZA e qualcosa. Così era pure accaduto per l'unica altra Multipla presente nel TB; da Piacenza si passa a Genova (anzi, a Marina di Sestri Ponente, come informa l'amico Fabrizio), ma la musica non cambia. Per vendicarmi, ho deciso (contrariamente alla prassi del TB) di mettere come prima foto quella laterale, dove la targa non si vede; per il resto, naturalmente, siamo di fronte ad un esemplare che definire stupefacente è poco. La 600 Multipla, ai suoi tempi, era celebre per essere uno dei più tipici e gettonati pulmini delle suore; facile da guidare anche per Suor Moana, spazioso e dalla linea non frivola; in effetti, a bordo di un automezzo del genere è facile immaginarsi un bel carico di monache del convento di San Rocco. Però un altro uso assai comune della 600 Multipla fu come taxi (tanto da essere considerata per un certo periodo, nei primi anni '60, come il "taxi standard" italiano); ma ne fu letteralmente fatto ogni sorta di adattamento, dall'ambulanza al furgone da lavoro, dalla macchinetta da spiaggia (una protospiaggina: si chiamava "600 Marinella") al carro funebre. Insomma, una macchinetta prodigiosamente versatile; non durò molto, e nessun immaginava che sarebbe stata poi considerata il prototipo della monovolume.
Fabrizio, però, è un Treggista coi controattributi. Targa ZA? Ci pensa lui. Va diritto a fotografare il vecchio bollo ACI, tenuto per fortuna très soigneusement dal proprietario, e così scopriamo non solo che la vettura è perlomeno anteriore al luglio 1963, ma che aveva pure una precedente reimmatricolazione (GE 662463, effettuata quindi nel 1977). Ci deve avere una storia lunga e complicata, questa macchina. E vediamocela quindi un po' anche al suo interno:
Quando si dice fai da te; il vano bagagli non era sufficiente? Mettiamoci, allora, una bella valigia di quelle di una volta!
Questo è invece il tachimetro, identico a quello di una 600 berlina.
Prima o poi se ne riuscirà a trovare una con le targhe originali, e sarà gran cosa; anche perché, diciamocelo francamente, è una gran bella vettura. Niente a che vedere con la sua indegna pronipote, che recava -ahimè- lo stesso nome. Quella che ha fatto nascere il detto: 'E tu se' più brutto d'una Mùrtipla! La Multipla, quella vera, proprio non si meritava questo rio destino.
Fabrizio, però, è un Treggista coi controattributi. Targa ZA? Ci pensa lui. Va diritto a fotografare il vecchio bollo ACI, tenuto per fortuna très soigneusement dal proprietario, e così scopriamo non solo che la vettura è perlomeno anteriore al luglio 1963, ma che aveva pure una precedente reimmatricolazione (GE 662463, effettuata quindi nel 1977). Ci deve avere una storia lunga e complicata, questa macchina. E vediamocela quindi un po' anche al suo interno:
Quando si dice fai da te; il vano bagagli non era sufficiente? Mettiamoci, allora, una bella valigia di quelle di una volta!
Questo è invece il tachimetro, identico a quello di una 600 berlina.
Prima o poi se ne riuscirà a trovare una con le targhe originali, e sarà gran cosa; anche perché, diciamocelo francamente, è una gran bella vettura. Niente a che vedere con la sua indegna pronipote, che recava -ahimè- lo stesso nome. Quella che ha fatto nascere il detto: 'E tu se' più brutto d'una Mùrtipla! La Multipla, quella vera, proprio non si meritava questo rio destino.
Proprio quella sera
Non potevo non essere contento: dopo aver passato due anni e mezzo a cercare e scovare tregge a giro per Firenze e per mezzo mondo, una finalmente veniva a trovarmi direttamente a casa mia. Perché qui siamo esattamente nel mio cortile: qualcuno della Federazione dei Cronometristi, che ha sede due portoni avanti al mio, aveva deciso di scendere con questa sua (bella) Alfetta 2.0 del 1984, davvero una delle ultime Alfette prodotte (la produzione cessò nel medesimo anno). Pensare che stavo cercando il gatto che aveva deciso di passare una serata su una tettoia dalla quale non riusciva a scendere; era la sera del 20 settembre scorso. E così questa ha rischiato di essere l'ultima treggia di questo blog, per estinzione del Treggista stesso. Il destino ha deciso altrimenti; e non so dire quindi se l'Alfetta del cronometrista mi abbia portato fortuna o sfortuna. Resterà un dubbio, e mi si perdoni se dopo questo post tiro subito avanti con un altro; principio inalienabile del TB è che tutte le vetture fotografate debbano essere inseriti, ma capirete che questa mi provoca qualche ricordo un po' così. Tiremm innanz.
Treggienkaos in Skanditschi
Se il Treggista Militante® potesse penetrare liberamente nei fondi privati, vi scoprirebbe quasi sempre dei tesori nascosti e impensabili; in attesa dell'auspicabile abolizione della proprietà privata e dell'instaurazione di una società de' giusti e degli eguali (vo bene come vetero?), bisognerà però contentarsi di quelle rarissime volte in cui il fondo è di persone conosciute che ti ci fanno entrare senza problemi, e che richiamano anche un paio di cagnolini da ottanta chili l'uno che ti trasformerebbero volentieri in Ciappi. Appena entrati, ecco un'inestricabile treggiaia di quelle da far gridare orgasmicamente al miracolo!
Una sorta di caos primigenio della treggia; nel mezzo, nientepopodimeno che un mezzo del Corpo Volontario dei Pompieri di Stadelhofen (Germania), un Mercedes 408 coi lampeggiatori fasciati e ancora dotato delle livree originali con tanto di dicitura in Fraktur (il carattere tipico tedesco detto impropriamente gotico):
Wikipedia in tedesco ci dice che Stadelhofen è un piccolo comune bavarese di 1240 abitanti nel Landkreis ("circondario") di Bamberga; nell'articolo si cita espressamente anche la Freiwillige Feuerwehr (i pompieri volontari sono la forma di associazionismo di soccorso più diffusa nei paesi di lingua tedesca, Sud Tirolo compreso). Detto questo, resta senz'altro da stabilire come un vecchio mezzo dei pompieri volontari di un paesino vicino a Bamberga sia andato a rifinire in un cortile all'inizio di Scandicci; ma sarebbe fatica sprecata. Le vie delle tregge ben più infinite di quelle del Signore, disponendo (a differenza di quest'ultimo) della rete stradale di tutto il pianeta; e poi sembra che il Padreterno non abbia mai nemmen preso la patente.
Una sorta di caos primigenio della treggia; nel mezzo, nientepopodimeno che un mezzo del Corpo Volontario dei Pompieri di Stadelhofen (Germania), un Mercedes 408 coi lampeggiatori fasciati e ancora dotato delle livree originali con tanto di dicitura in Fraktur (il carattere tipico tedesco detto impropriamente gotico):
Wikipedia in tedesco ci dice che Stadelhofen è un piccolo comune bavarese di 1240 abitanti nel Landkreis ("circondario") di Bamberga; nell'articolo si cita espressamente anche la Freiwillige Feuerwehr (i pompieri volontari sono la forma di associazionismo di soccorso più diffusa nei paesi di lingua tedesca, Sud Tirolo compreso). Detto questo, resta senz'altro da stabilire come un vecchio mezzo dei pompieri volontari di un paesino vicino a Bamberga sia andato a rifinire in un cortile all'inizio di Scandicci; ma sarebbe fatica sprecata. Le vie delle tregge ben più infinite di quelle del Signore, disponendo (a differenza di quest'ultimo) della rete stradale di tutto il pianeta; e poi sembra che il Padreterno non abbia mai nemmen preso la patente.
Come se non bastasse, il mezzo dei pompieri di Stadelhofen è letteralmente appiccicato ad un protocamper su Fiat 238!
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sabato 29 ottobre 2011
Protopanda
Anche se la foto al volo, per ammissione stessa del suo autore (Mark B., naturalmente), non è di buona qualità, essa testimonia una delle primissime Panda, almeno tra quelle immatricolate in provincia di Arezzo (e con una targa piuttosto ben messa: AR 231 331): la vettura è infatti del 1980, lo stesso anno di lancio della prodigiosa della Fiat (forse la vera "erede" della 500, dato lo scarso appeal della 126). Quante rotule si saranno rovinate a contatto con la famigerata barra del vano portaoggetti, in quelle prime pande che sembrava fossero fatte per entrarci dentro non con gli sportelli, ma con l'apriscatole. E pensare che il disàign era di Giorgetto Giugiaro, detto il "campionario delle G" !
venerdì 28 ottobre 2011
Nel paese di Centoventozia
Mentre a Firenze sembra essere parecchio arduo trovare in giro una superstite Fiat 128 (a dire il vero ne avrei trovata un'altra, che vedo praticamente ogni giorno; però si trova in uno spazio chiuso guardato a vista da due "besti" decisamente poco rassicuranti), Genova si rivela il vero e unico paradiso della più tipica vettura piccoloborghese degli anni '70. Il paese di Centoventozia, giustappunto; e Fabrizio continua a imperversare, trovandone un po' dovunque nella sua città e provocandomi crisi d'invidia insormontabili. Qui ci troviamo ad esempio di fronte ad un esemplare perfetto: di prima generazione (è del 1972), verdeacqua e con una gomma a terra (una caratteristica quasi costante delle vecchie 128, tanto da aver fatto pensare a qualcuno di girare un film dell'orrore, Non gonfiate quella gomma). Tanto, prima o poi, mi piglierò appositamente quattro o cinque giorni da passare a Genova per girarmela tutta quanta alla ricerca di tregge, ammesso e non concesso che non siano già state fotografate tutte da Fabrizio :-)
La Cammilla
Il Galluzzo vecchio bisogna saperselo andare a scovare; è nascosto fra un paio di stradine il nucleo originario del borgo fiorentino, decentrate rispetto a quello che ora è il centro vero e proprio del paese. Una di queste è dedicata ad un personaggio che inutilmente s'andrebbe a cercare in un'enciclopedia o in rete: un antico parroco. Si chiamava Cammillo Barni (proprio così, con due "m") e sembra sia vissuto nel '700. Certo che quel brav'uomo dev'essere stato amato dai suoi parrocchiani di tre secoli fa, perché gli fosse dedicata una strada già in tempi non recenti: siamo infatti proprio in via Cammillo Barni, strada già presente in certe mappe topografiche anteriori sia all'unità d'Italia, sia all'accorpamento del comune del Galluzzo a quello di Firenze (che avvenne nel 1931). Poiché sono un tipo curioso, per sapere finalmente chi fosse questo Cammillo Barni sono dovuto andare a chiederlo un po' in giro, finché non me lo hanno detto alla casa del popolo; intanto, via Cammillo Barni consegnava ai posteri la sua Cammilla.
Ed eccola qui, la Cammilla in tutto i' su' sprendòre, adagiata su un carrattrezzi che (almeno si spera) la porterà a rifarsi un po' il maquillage e dotata persino di una targa decisamente ragguardevole, come accade spesso alle Cinquecento. E sebbene la Cammilla non risalga sicuramente all'epoca di don Cammillo, dal punto di vista treggistico la sua età è ragguardevole: è infatti del 1966, anno in cui era assai meglio starsene al Galluzzo che in centro a Firenze.
In giro si vedono ancora tantissime 500, e la maggior parte sono tenute con una religione che sicuramente non si riscontra in parecchi alti prelati; la Cammilla no. La Cammilla è una vera treggia DOC, e della particolare sottospecie detta Cinquetreggia che obbedisce a tutta una serie di stilemi particolari. Tratto distintivo dell'autentica Cinquetreggia è ad esempio la mancanza dello stemma Fiat sul musetto: al suo posto ci dev'essere un buco. Ci vogliono poi la targa posteriore bombata dalle infiltrazioni d'acqua, il cofano anteriore squadernato e spunti di ruggine artistici, di quelli che avrebbero fatto scrivere a Eugenio Montale (la cui tomba si trova a pochi metri da via Cammillo Barni, al cimitero di San Felice a Ema) la raccolta Ossido di seppia. La Cammilla, ebbene sí, ha tutte queste caratteristiche; si tratta della Cinquetreggia paradigmatica.
Ed eccola qui, la Cammilla in tutto i' su' sprendòre, adagiata su un carrattrezzi che (almeno si spera) la porterà a rifarsi un po' il maquillage e dotata persino di una targa decisamente ragguardevole, come accade spesso alle Cinquecento. E sebbene la Cammilla non risalga sicuramente all'epoca di don Cammillo, dal punto di vista treggistico la sua età è ragguardevole: è infatti del 1966, anno in cui era assai meglio starsene al Galluzzo che in centro a Firenze.
In giro si vedono ancora tantissime 500, e la maggior parte sono tenute con una religione che sicuramente non si riscontra in parecchi alti prelati; la Cammilla no. La Cammilla è una vera treggia DOC, e della particolare sottospecie detta Cinquetreggia che obbedisce a tutta una serie di stilemi particolari. Tratto distintivo dell'autentica Cinquetreggia è ad esempio la mancanza dello stemma Fiat sul musetto: al suo posto ci dev'essere un buco. Ci vogliono poi la targa posteriore bombata dalle infiltrazioni d'acqua, il cofano anteriore squadernato e spunti di ruggine artistici, di quelli che avrebbero fatto scrivere a Eugenio Montale (la cui tomba si trova a pochi metri da via Cammillo Barni, al cimitero di San Felice a Ema) la raccolta Ossido di seppia. La Cammilla, ebbene sí, ha tutte queste caratteristiche; si tratta della Cinquetreggia paradigmatica.
lunedì 24 ottobre 2011
Azzàrde
Avete letto lo sproloquio del post precedente? Bene, ora è il momento di fornire degli esempi pratici e treggistici di cosa voglia dire essere uno zìngano dietro casa. Per essere uno zìngano dietro casa, bisogna prima di tutto essere disposti a eliminare il tempo dalla propria prospettiva, non vivere affatto ogni momento come se fosse l'ultimo e, anzi, viverlo come se fosse il primo. Noi zìngani dietro casa, e perdipiù della sottospecie treggistica, non siamo proprio seguaci di Stiv Giobbs (e, del resto, non ci inviterebbero mai a tenere discorsi commoventi nemmeno all'università di Terontola). Una volta eliminato il tempo e fatta andare la macchina per pertugi reconditi, prima o poi arriva qualcosa di inoubliable.
Per andare a Colle Ràmole bisogna pigliare, dai Bottai, una stradina che si perde e che, nel primissimo tratto, è divisa in due come Berlino: West-Kolleramolestraße appartiene al comune dell'Impruneta, mente Ost-Kolleramolestraße è nel comune di Firenze. Alla prima biforcazione, in mezzo a un boschetto, sulla destra c'è Via della Buca di Certosa; e ora vi racconto una cosa.
Via della Buca di Certosa si trova proprio in una buca, esattamente sotto la Certosa di Firenze, e sfido anche il tassista più incallito a sapere dove sia esattamente. Sí, d'accordo, immaginerà che sia vicina alla Certosa, con quel nome lì; magari si ricorderà vagamente che vi si accede a un certo punto della Senese (ovvero dalla Cassia), magari dietro al muraglione del cocomeraio; e qui si ritroverebbe alle perse. Perché via della Buca di Certosa è stata eliminata, da quel lato; l'accesso è stato chiuso spavent'anni fa con un guard-rail (caso forse unico al mondo) e la targa stradale è stata tolta. Per ricordarsene, di quella strada, occorre avere la memoria elefantiaca che solo un treggista sa avere; e l'altro ingresso bisogna andarselo a cercare. Da via di Colle Ramole, appunto, ancora con le vecchie targhe ammuschite e mezze róse che là nessuno si è occupato di sostituire con quelle nuove fosforescenti di metallo. Si entra nella Buca e si apre un mondo. Un piccolo mondo a sé. Un borgo seppellito e protetto dalla possente costruzione cluniacense, immerso nei fiori e nei gatti, fuori dal tempo.
Solo in un posto del genere, mi vien fatto di dire, è possibile trovare una treggia come quella che vedete nelle tre foto sotto il titolo; sí, perché alla Buca di Certosa qualcuno si dev'essere sentito imperiosamente nella Contea di Hazzard, in mezzo ai Dukes del profondo Sud; non saprei trovare miglior prova dell'inutilità di spingersi in lontanissime plaghe quando il mondo ce lo hai dietro casa, giustappunto. E se alla Buca di Certosa non ci sono le biondone, non c'è lo sceriffo ma al massimo un vigile urbano del Galluzzo e, soprattutto, non c'è la Dodge Charger del 1969, poco male: il Generale Lee lo si fa con una Autobianchi Giardiniera del gennaio 1972. Invece dei Dukes ci saranno i Bukes (of Certosa), invece d'entrarci dentro al volo dal finestrino si apriranno le portiere controvento, non ci faranno mai i' telefìrme, invece della Georgia ci sarà la Giorgia d'i' Pinzaùti, ma del resto a Azzàrde non parcheggiano mica il Generale Lee sotto le mura di una Certosa del 1200; a proposito, proprio sotto quelle mura, vicino al guard-rail che chiude la strada, avevo trovato anche un bel camperone Ford Transit debitamente sgarrupato, ma c'era il padrone che mi guardava con occhi un po' inquieti. Ci tornerò!
Capirete dunque perché, da oggi, i' Generale Lì della Buca di Certosa sostituisce la OM 665 Superba nel logo del Treggia's Blog nel normale avvicendarsi delle "tregge di bandiera". Sono ben conscio che, su quella foto, il titolo in giallo si legge male e ancor peggio la presentazione del blog; pazienza. Vi caverete un po' gli occhi ma ne vale la pena; un Azzàrde a du' metri dal cocomeraio, dalla Certosa e da Colle Ramole non si trova mica tutti i giorni!
Per finire, però, un omaggio al Generale Lee, quello vero, bisognerà pur farlo. Non nascondo che trovare qua vicino una Dodge Charger del '69, anche se non "vestita" da Hazzard, sarebbe un bel colpo. Impossibile? Beh, lo pensavo anche della DeLorean di Ritorno al Futuro, e l'ho incontrata in via Aretina; magari, un giorno, troverò una Dodge Charger, che so io, in via dello Scalo di Peino (tassisti, non sapete dov'è?... Io sí!). E, comunque, una cosa va detta: a parti invertite, la Dodge in via della Buca di Certosa (e in via di Colle Ramole) ci rimarrebbe incastrata; la 500 Giardiniera, invece, scorrazzerebbe tranquillamente per le polverose strade della contea di Hazzard. Sarebbe uno spasso vedere i Dukes smadonnare e stamparsi su un cipresso mentre tentano d'uscire dal finestrino all'angolo con via di San Cristòfano!
Da ridere, certo. Poi, però, m'è venuta a mente una cosa. A poche centinaia di metri da via della Buca di Certosa c'è il cimitero di guerra dei Falciani. Non so se qualcuno c'è mai stato; diciotto, diciannove, ventenni americani venuti a morire dalle più sperdute contee; ci si aggira per quelle tombe ordinate, si leggono posti mai sentiti coniugati con età che dovrebbero essere soltanto di vita, e gelano le ossa. Magari, chissà, ci sarà stato anche qualche ragazzo della contea di Hazzard, Georgia; e se possibile, i suoi vent'anni se li vada a giocare anche su una 500 Giardiniera parcheggiata poco lontano.
Per andare a Colle Ràmole bisogna pigliare, dai Bottai, una stradina che si perde e che, nel primissimo tratto, è divisa in due come Berlino: West-Kolleramolestraße appartiene al comune dell'Impruneta, mente Ost-Kolleramolestraße è nel comune di Firenze. Alla prima biforcazione, in mezzo a un boschetto, sulla destra c'è Via della Buca di Certosa; e ora vi racconto una cosa.
Via della Buca di Certosa si trova proprio in una buca, esattamente sotto la Certosa di Firenze, e sfido anche il tassista più incallito a sapere dove sia esattamente. Sí, d'accordo, immaginerà che sia vicina alla Certosa, con quel nome lì; magari si ricorderà vagamente che vi si accede a un certo punto della Senese (ovvero dalla Cassia), magari dietro al muraglione del cocomeraio; e qui si ritroverebbe alle perse. Perché via della Buca di Certosa è stata eliminata, da quel lato; l'accesso è stato chiuso spavent'anni fa con un guard-rail (caso forse unico al mondo) e la targa stradale è stata tolta. Per ricordarsene, di quella strada, occorre avere la memoria elefantiaca che solo un treggista sa avere; e l'altro ingresso bisogna andarselo a cercare. Da via di Colle Ramole, appunto, ancora con le vecchie targhe ammuschite e mezze róse che là nessuno si è occupato di sostituire con quelle nuove fosforescenti di metallo. Si entra nella Buca e si apre un mondo. Un piccolo mondo a sé. Un borgo seppellito e protetto dalla possente costruzione cluniacense, immerso nei fiori e nei gatti, fuori dal tempo.
Solo in un posto del genere, mi vien fatto di dire, è possibile trovare una treggia come quella che vedete nelle tre foto sotto il titolo; sí, perché alla Buca di Certosa qualcuno si dev'essere sentito imperiosamente nella Contea di Hazzard, in mezzo ai Dukes del profondo Sud; non saprei trovare miglior prova dell'inutilità di spingersi in lontanissime plaghe quando il mondo ce lo hai dietro casa, giustappunto. E se alla Buca di Certosa non ci sono le biondone, non c'è lo sceriffo ma al massimo un vigile urbano del Galluzzo e, soprattutto, non c'è la Dodge Charger del 1969, poco male: il Generale Lee lo si fa con una Autobianchi Giardiniera del gennaio 1972. Invece dei Dukes ci saranno i Bukes (of Certosa), invece d'entrarci dentro al volo dal finestrino si apriranno le portiere controvento, non ci faranno mai i' telefìrme, invece della Georgia ci sarà la Giorgia d'i' Pinzaùti, ma del resto a Azzàrde non parcheggiano mica il Generale Lee sotto le mura di una Certosa del 1200; a proposito, proprio sotto quelle mura, vicino al guard-rail che chiude la strada, avevo trovato anche un bel camperone Ford Transit debitamente sgarrupato, ma c'era il padrone che mi guardava con occhi un po' inquieti. Ci tornerò!
Capirete dunque perché, da oggi, i' Generale Lì della Buca di Certosa sostituisce la OM 665 Superba nel logo del Treggia's Blog nel normale avvicendarsi delle "tregge di bandiera". Sono ben conscio che, su quella foto, il titolo in giallo si legge male e ancor peggio la presentazione del blog; pazienza. Vi caverete un po' gli occhi ma ne vale la pena; un Azzàrde a du' metri dal cocomeraio, dalla Certosa e da Colle Ramole non si trova mica tutti i giorni!
Per finire, però, un omaggio al Generale Lee, quello vero, bisognerà pur farlo. Non nascondo che trovare qua vicino una Dodge Charger del '69, anche se non "vestita" da Hazzard, sarebbe un bel colpo. Impossibile? Beh, lo pensavo anche della DeLorean di Ritorno al Futuro, e l'ho incontrata in via Aretina; magari, un giorno, troverò una Dodge Charger, che so io, in via dello Scalo di Peino (tassisti, non sapete dov'è?... Io sí!). E, comunque, una cosa va detta: a parti invertite, la Dodge in via della Buca di Certosa (e in via di Colle Ramole) ci rimarrebbe incastrata; la 500 Giardiniera, invece, scorrazzerebbe tranquillamente per le polverose strade della contea di Hazzard. Sarebbe uno spasso vedere i Dukes smadonnare e stamparsi su un cipresso mentre tentano d'uscire dal finestrino all'angolo con via di San Cristòfano!
Da ridere, certo. Poi, però, m'è venuta a mente una cosa. A poche centinaia di metri da via della Buca di Certosa c'è il cimitero di guerra dei Falciani. Non so se qualcuno c'è mai stato; diciotto, diciannove, ventenni americani venuti a morire dalle più sperdute contee; ci si aggira per quelle tombe ordinate, si leggono posti mai sentiti coniugati con età che dovrebbero essere soltanto di vita, e gelano le ossa. Magari, chissà, ci sarà stato anche qualche ragazzo della contea di Hazzard, Georgia; e se possibile, i suoi vent'anni se li vada a giocare anche su una 500 Giardiniera parcheggiata poco lontano.
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Zìngano dietro casa
Ogni tanto, qualcuno si ostina a chiedermi come mai, io che per un po' ho vissuto in terre straniere e che parlo talmente tante lingue da non sapere bene nemmeno l'italiano, abbia deciso non solo di ritornare indietro, ma anche di non muovermi più da Firenze e dalla Toscana. Un tempo rispondevo in vari modi, tutti alquanto complicati e talora anche discretamente polemici; ora, invece, vado diritto al nòcciolo della questione. Sí, ho avuto la possibilità (regolarmente e volutamente sprecata) di non mettere più piede in questo paese cui vengono, non senza ragione, affibbiati tutti i peggiori epiteti possibili; ma, alla fin fine, ha vinto la mia natura di abbarbicato alla propria terra, e lo sono come pochi. Mi ricordo di certi dormiveglia in posti alieni, dove mi sognavo a occhi aperti certe strade che conosco, certi riflessi dell'acqua sulla spiaggia di Galenzana, certi giri senza fine per le campagne e quel che si vede passata Volterra, giù per le Saline, dove il mondo si fa balza e gli assassini neri inseguono il viandante nella notte buia; e non c'è stato, e non ci sarà più nulla da fare. Il giorno dopo esser tornato a Firenze dopo aver passato più di tre anni in Svizzera, mi ritrovai su un autobus nel pieno d'un ingorgo inestricabile, a un'ora di punta; tutti i passeggeri ingiuriavano Iddìo, la Madonna e i santi, mentre io avevo stampato in faccia un sorriso a cinquantatré denti. E vorrà dire che sono fatto così; che sono uno che ha fatto i suoi pur modesti giri per il mondo, cercando di osservarlo e anche un po' di raccontarlo; che ho ben presenti i malanni e le schifezze che sono peraltro comuni a questo tempo che inorridirebbe Calibano; ma che non mi si deve nemmeno prospettare di andarmene di qui. Qui sono nato, qui voglio morire; e lasciamo perdere che ultimamente ho pure fatto una prova generale di quest'ultima cosina. Essendo fortunatamente rimasta una prova, occorre coglierne qualche vantaggio; per esempio, quello di essere in malattia, vale a dire di non dovere andare a lavorare per un po'. Così, oggi, subito dopo un pranzo solitario e forzatamente frugale, mi son detto che la giornata era sufficientemente autunnale, grigia e dall'odor di brace per andarmene a fare ciò che, forse, più mi definisce: lo zìngano dietro casa.
Ne conosco più d'uno di zìngani nelle più remote e lontane plaghe del Globo, e debbo dire che hanno tutto il mio più profondo rispetto. Il mondo è tuttora un gran bel posto e mi dispiace parecchio che fra un cinque miliardini d'anni debba esplodere assieme alla sua stella; ma io non sono più fatto per girarlo. Mi sono accorto che, dietro casa mia, ci sono ancora tanti posti che non conosco, o che conosco poco; e nei primi pomeriggi d'autunno, quando comincia a piovigginare e si vedono fili di fumo salire dai camini della solitudine, io parto. Vado a fare lo zìngano seguendo soltanto lo sguardo, per dei posti che mi sono familiari e ignoti al tempo stesso; quello che si vede nella foto in alto si chiama Colle Ràmole.
Senza perdermi un particolare e solo con me stesso e coi miei pensieri; è la più vasta forma di felicità che mi sia dato di provare, massime ora che, ad ogni istante, sento il sapore variegato dell'essere vivo. Mi spingo per le strade cui debbo una parte grande di quel che mi sono ritrovato a essere, e svolgo la mia grammatica della lontananza e della vicinanza canticchiando canzoni improbabili e raccontando qua e là dove sono all'unica persona cui desidero farlo. A Colle Ràmole c'ero stato una sola volta, tanti anni fa, in una villa antica; una compagna di corso, curiosamente svizzera, ci aveva invitato tutti, alla fine di un seminario che parlava di streghe e dizionari (si chiamava proprio così: Stregoneria e Lessicografia), a mangiare l'autentica fondue elvetica che aveva preparato con le sue sante mani, e con l'aggiunta generosa di doppio kümmel. Ho provato inutilmente a ricordarmi dove fosse quella villa, che sicuramente mi sarà passata davanti agli occhi perché la strada l'ho fatta tutta quanta; a un certo punto mi sono detto, come mi capita sovente, che potrei anche essermelo sognato, o che si trattava d'uno dei tanti riccardiventuri che circolavano a quell'epoca. Chissà.
Però, lo zìngano dietro casa non potrebbe essere lui, se non fosse accompagnato anche dalla sua ricerca di tregge. Questi qua sono i posti delle tregge migliori, quelle che dicono davvero qualcosa, quelle che parlano ai recessi; ed è per questo che, nei post che seguiranno, vedrete che cosa significhi davvero andare per il mondo. Esploro il mio fazzoletto, ed è un fazzoletto che è incoccato a tutto l'universo.
Ne conosco più d'uno di zìngani nelle più remote e lontane plaghe del Globo, e debbo dire che hanno tutto il mio più profondo rispetto. Il mondo è tuttora un gran bel posto e mi dispiace parecchio che fra un cinque miliardini d'anni debba esplodere assieme alla sua stella; ma io non sono più fatto per girarlo. Mi sono accorto che, dietro casa mia, ci sono ancora tanti posti che non conosco, o che conosco poco; e nei primi pomeriggi d'autunno, quando comincia a piovigginare e si vedono fili di fumo salire dai camini della solitudine, io parto. Vado a fare lo zìngano seguendo soltanto lo sguardo, per dei posti che mi sono familiari e ignoti al tempo stesso; quello che si vede nella foto in alto si chiama Colle Ràmole.
Senza perdermi un particolare e solo con me stesso e coi miei pensieri; è la più vasta forma di felicità che mi sia dato di provare, massime ora che, ad ogni istante, sento il sapore variegato dell'essere vivo. Mi spingo per le strade cui debbo una parte grande di quel che mi sono ritrovato a essere, e svolgo la mia grammatica della lontananza e della vicinanza canticchiando canzoni improbabili e raccontando qua e là dove sono all'unica persona cui desidero farlo. A Colle Ràmole c'ero stato una sola volta, tanti anni fa, in una villa antica; una compagna di corso, curiosamente svizzera, ci aveva invitato tutti, alla fine di un seminario che parlava di streghe e dizionari (si chiamava proprio così: Stregoneria e Lessicografia), a mangiare l'autentica fondue elvetica che aveva preparato con le sue sante mani, e con l'aggiunta generosa di doppio kümmel. Ho provato inutilmente a ricordarmi dove fosse quella villa, che sicuramente mi sarà passata davanti agli occhi perché la strada l'ho fatta tutta quanta; a un certo punto mi sono detto, come mi capita sovente, che potrei anche essermelo sognato, o che si trattava d'uno dei tanti riccardiventuri che circolavano a quell'epoca. Chissà.
Però, lo zìngano dietro casa non potrebbe essere lui, se non fosse accompagnato anche dalla sua ricerca di tregge. Questi qua sono i posti delle tregge migliori, quelle che dicono davvero qualcosa, quelle che parlano ai recessi; ed è per questo che, nei post che seguiranno, vedrete che cosa significhi davvero andare per il mondo. Esploro il mio fazzoletto, ed è un fazzoletto che è incoccato a tutto l'universo.
Mark B., King of Halfsacks
Ai Treggiablogghisti tutti, il nome di Mark B. sarà oramai più che familiare; una piacevole consuetudine come il cappuccino al bar, insomma. Sicuramente, l'ottimo Mark è uno dei collaboratori più indefessi del TB (oltre che un espertissimo e un cultore di tregge & targhe di provata fama); alle sue qualità, aggiungerei anche quella di principale fotografo di 500 dei sette mari; per lui dovrebbe coniarsi una speciale branca della treggiologia militante, vale a dire la Mezzosaccologia (inglese Halfsack Science, tedesco Halbsackskunde). E qui può stare tranquillo: prima o poi il sottoscritto gliele mette tutte quante, rigorosamente e senza perderne una. In queste foto ne vediamo una bella collezione, tra le quali spicca la "grossetana" presa al volo da una moto (ultima foto in basso). Se già è difficile prendere al volo una treggia da una macchina, figuriamoci da una motocicletta; qui siamo davanti alla sublimità assoluta.
Cafeteras de la Revolución (3)
Chiarisco immediatamente che non so minimamente che cosa sia questo "ramarrone" habanero, anche se sicuramente è di provenienza nordamericana e, probabilmente, degli 'anni '50 come la maggior parte delle incredibili tregge cubane fotografate da Marinella. Purtroppo è anche colpa mia, perché non le avevo detto di informarsi di che marca fossero; però non inserisco queste vetture nella categoria delle "auto ignote" perché, non so come esprimerlo bene, ignote non mi sono comunque. Come se fossero, anzi, qualcosa di estremamente familiare. Vorrà dire, se Marinella riuscirà a coronare prima o poi il suo sogno di stabilircisi definitivamente, a Cuba, che servirà veramente da nostra agente all'Avana! Nel frattempo, sarà bene godersi in foto vetture come questa, la quale (si noti la foto in alto) funge da tassì; e dico che varrebbe la pena di andare all'Avana non foss'altro che per farsi scarrozzare in una macchina del genere! Que viva la Revolución, que viva el Che y que vivan las cafeteras!
Portus Naonis Anarchicus
La provincia di Pordenone, l'antica Portus Naonis, fu istituita soltanto nel 1968 e si distingue da tutte le altre di istituzione posteriore, dal punto di vista automobilistico, per il rapido procedere delle sue targhe. Quando le targhe numeriche ebbero disgraziatamente a cessare (a Pordenone esattamente il 5 maggio 1994), avevano raggiunto un ragguardevole PN 361800, vale a dire assai più di molte provincie "antiche"; questa Mercedes W123 (200D) è invece del 1978. Mi fa particolarmente piacere dire che, nonostante il suo aspetto "cardinalizio", è stata fotografata in tutt'altro ambiente; vale a dire, all'esterno del luogo dove si stava svolgendo la Vetrina dell'Editoria Anarchica e Libertaria. Insomma, mai fermarsi alle apparenze!
domenica 23 ottobre 2011
Le rovine di Bolzaneto
Quando mi capitava di passare per Genova, e a volte anche di starci per un po' (par mill'anni fa), le indicazioni stradali per Bolzaneto, sull'autostrada, mi facevano sempre pensare al perché quel quartiere dell'entroterra genovese recasse un nome che ricordava una lontana città alpina; non sapevo ancora che Bösanæo aveva probabilmente in sé una qualche antica radice ligure, forse simile a quella del Porkobhera, il "fiume dei salmoni" poi diventato il Polcevera. Una volta mi capitò di sbagliare uscita autostradale, e di immettermi sulla A7 per Milano; a Bolzaneto dovetti uscire, per riprendere l'autostrada in senso inverso. Un nome e uno sbaglio; poi venne quel mese di luglio, e quel nome si fuse con lo sbaglio, con il buio, con la protervia e con la crudeltà cieca del potere. Non ne aveva colpa, con la sua piazza del Prione, con le sue fortezze, col suo castello; ma il suo nome fu applicato a tutto ciò che era accaduto, con l'augurio che si spargesse sale sulle sue rovine.
E tanti anni sono passati. Un giorno, l'amico Fabrizio, che gira per la sua città alla ricerca di vecchie automobili come io giro per la mia, ed al quale mi legano non so quante bizzarre coincidenze che qui non posso dire, mi manda queste foto di vecchie Cinquecento in rovina, che provengono proprio da Bolzaneto. E sono rovelli a non finire, e non mi decido mai a metterle nel blog; come avessi una sorta di pudore, o forse persino paura. Troppi ricordi, e troppe immagini di fuoco, di fiamme, di stupido orrore e di orribile stupidità. Sapevo che, per qualcosa proveniente da Bolzaneto, non avrei mai potuto parlare con serenità o con leggerezza, come tante e tante volte ho tentato di fare in questo blog che, a modo suo, prova ad attraversare tempeste con una briciola d'amore senza pretese (come tante delle vetture che ospita). Un giorno o l'altro dovrò proprio andarci apposta, a Bolzaneto. Senza pensare più alle città alpine che sembrano rassomigliargli nel nome, senza più sbagliare autostrada. Uscire e girarmelo provando a pensare che è tutto diverso; piantare un fiore nelle carcasse di queste automobili e allontanarmi senza dire niente. Di queste macchine, che possono aver trasportato dei sogni, non so dire stavolta l'anno di immatricolazione o altri dati; stanno lì a ricordare immagini e rovina.
E tanti anni sono passati. Un giorno, l'amico Fabrizio, che gira per la sua città alla ricerca di vecchie automobili come io giro per la mia, ed al quale mi legano non so quante bizzarre coincidenze che qui non posso dire, mi manda queste foto di vecchie Cinquecento in rovina, che provengono proprio da Bolzaneto. E sono rovelli a non finire, e non mi decido mai a metterle nel blog; come avessi una sorta di pudore, o forse persino paura. Troppi ricordi, e troppe immagini di fuoco, di fiamme, di stupido orrore e di orribile stupidità. Sapevo che, per qualcosa proveniente da Bolzaneto, non avrei mai potuto parlare con serenità o con leggerezza, come tante e tante volte ho tentato di fare in questo blog che, a modo suo, prova ad attraversare tempeste con una briciola d'amore senza pretese (come tante delle vetture che ospita). Un giorno o l'altro dovrò proprio andarci apposta, a Bolzaneto. Senza pensare più alle città alpine che sembrano rassomigliargli nel nome, senza più sbagliare autostrada. Uscire e girarmelo provando a pensare che è tutto diverso; piantare un fiore nelle carcasse di queste automobili e allontanarmi senza dire niente. Di queste macchine, che possono aver trasportato dei sogni, non so dire stavolta l'anno di immatricolazione o altri dati; stanno lì a ricordare immagini e rovina.
Errequattro di servizio
Placidamente parcheggiata davanti a ciò che resta delle antiche mura di Firenze (quelle della cosiddetta ultima cerchia), una R4 abbastanza recente (siamo agli sgoccioli delle targhe arancionere, a cavallo tra l'84 e l'85). Rossa come si conviene e, naturalmente, senza pretese; e al TB le errequattro senza pretese piacciono, come è noto, parecchio.
Tregge in vetrina! (2)
España, Portugal, isole greche, Kenya, il bazar di Zanzibar e la Lambretta; siamo o non siamo in un'agenzia di viaggi che si rispetta? Però stavolta la Lambretta non la hanno messa nemmeno in vetrina (che, del resto, era già occupata da quella del 1955 e della Milano-Taranto), ma direttamente in ufficio, davanti agli scaffali coi dépliants e le offerte last minute. Ecco, questa qui, invece, tutto è fuorché all'ultimo minuto; anzi, di minuti deve averne collezionati un bel po', dato che risale al 1950. Lo so che vengono a mente gonne svolazzanti e la canzone di Amedeo Minghi (minghia!), però bisogna convenire che la sua sistemazione in un'agenzia di viaggi ci sta parecchio bene; anzi, uno di questi giorni bisognerebbe proporre all'agenzia di organizzare dei tour in Lambretta storica per le campagne fiorentine. Secondo me, sarebbe davvero un colpo gobbo; che il sottoscritto abbia sviluppato inaspettate capacità imprenditoriali...?
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