sabato 27 febbraio 2010

Arte





Con l'Alfa Romeo, più si va indietro nel tempo e più si retrocede, piacevolmente, verso l'Arte. La maiuscola non è messa per nulla a caso. Se non ne siete convinti, specialmente qualche giovincello o giovincella che non ne ha mai visto un esemplare, guardate questa Giulia Spider 1600. Anno 1963, vale a dire ha i miei anni. Quando mi sono fermato a fotografarla, ho semplicemente accennato ad un inchino; le è dovuto.

Arte, sì. Ma non da museo. I musei possono andare bene per i dipinti o per le sculture, in modo che tutti ne possano fruire; ma le macchine, anche le più rare e preziose, non dovrebbero finire in musei più o meno "specializzati". Mi fa abbastanza ridere, come viene spesso ricordato, che un esemplare della Citroën DS 19 sia finito al museo Guggenheim di Nuova Eburaco. Le opere d'Arte su quattro ruote debbono circolare, non essere musealizzate. Accettando, certo, qualche rischio. Un mezzo del genere, come dire, non deve valere propriamente pochi soldi; fargli un danno anche minimo comporta sicuramente un esborso non indifferente. Però vuoi mettere, quando uno te ne sfreccia davanti, oppure anche quando soltanto te lo trovi parcheggiato in una mattina che comincia ad avere il sapore della primavera.


Necessariamente senza parole, o quasi





Mancavano pochi numeri alla fine delle gloriose targhe quadrate, e anche pochi esemplari alla cessazione della produzione dell'altrettanto gloriosa Giulia, quando il primitivo acquirente di questa vettura decise finalmente di fàrsela. E quando se la fece, una bella mattina di un mese qualsiasi (ad esclusione di febbraio, ça va de soi...) un dio pazzerello e bislacco gli fece optare per un colore che mi riesce alquanto problematico definire. Viola, sì, e questo potrebbe essere un omaggio alla squadra di pallone di questa città; ma un viola con venature fucsia, o chissà cosa. Insomma, per farla breve, quando ad un piovigginoso crepuscolo l'ho vista parcheggiata bel bella, ho tirato un'inchiodata in preda ad affettuose risate. Semplicemente meravigliosa. La Giulia viola e qualcosa, tenuta peraltro in modo impeccabile e con ragionevoli probabilità di durare per l'eternità. Una macchina del genere, colore compreso, rende bene il motivo per cui noialtri Treggisti esistiamo e operiamo. Provatevi a dare un colore del genere alla vs. spettabile Kia Sorento e vedete un po' che effetto che fa: ve la piglierebbero soltanto per il culo. Questa qui, invece, fa ridere ma anche scappellare dall'ammirazione. Le macchine sono soltanto queste; tutto il resto è soltanto puzzolente e standardizzata banalità di anni di stronzio.

venerdì 26 febbraio 2010

L'impasse alfasuddiana






Succede di non sapere cosa dire, a volte, e di ritrovarsi un po' all'impasse. Che si tratti di una treggia, non c'è dubbio; ma nel TB ho già avuto modo di dire che l'Alfasud non è (e non è mai stata) una vettura che mi ha fatto urlare di entusiasmo. Quando se ne trova una la si fotografa, e magari, come in questo caso, si appoggia la custodia della Kodak sul tetto della macchina accanto (una Smart, sigh) e la si perde. Addio, vecchia fedele custodia acquistata all'Esselunga per otto euri; caduta per un'Alfasud rossa e per la mia sbadataggine. Detto questo, prosegue l'impasse; e per non farla proseguire troppo a lungo, finisco la prima sigaretta della giornata e passo oltre.

mercoledì 24 febbraio 2010

Formentagna (o Bretagnera?)



Questo è il primo tentativo di tregge a confronto che viene effettuato su questo blog: tròmbino le trombe e tamburéggino i tamburi! Il confronto in questione, tra due "Tipi 1" squisitamente open air, avviene tra Cristina la Meharista e il sottoscritto.

Il primo maggiolino, quello in alto e di colore celeste, è stato ripreso a Formentera (isole Baleari) da Cristina, e ce lo mostra su una meravigliosa spiaggia, presumibilmente a cuocere sotto un sole implacabile.

Il secondo, quello rosa, è stato invece ripreso dal sottoscritto nel 2002 nella ventosa isola di Ouessant, in Bretagna, in un clamoroso anticipo, o prodromo, di quel che un giorno sarebbe stato il Treggia's Blog. Come dire: se ne vedevano già i germi subliminali. Era una giornata assolutamente splendida, di prim'agosto, con una canicolare temperatura di venti gradi (per quelle latitudini assolutamente insolita).

Celeste e rosa: quale preferite? Votate per la celeste mediterranea o per la rosa nordica? La mail la sapete!

Er mezzosacco



Cristina la Meharista, con squisita definizione trasteverina, chiama una 500 un "mezzosacco"; ma qui non siamo a Roma, bensì a Firenze. In questa città, come è noto, si sono trasferite non poche tregge romane: si vede che l'aria dell'Arno e quella del Tevere sono un po' "gemelle", e che si sono ambientate bene (visto che se ne trovano davvero in considerevole quantità). Questa qui se ne sta sempre nella sua stradina appartata, che in realtà non è vicina all'Arno bensì ad uno dei suoi affluenti cittadini, il Mugnone. Sempre in quel dato quartierino che si è rivelato una delle più preziose "miniere" di tregge di tutta Firenze. Tranquillità, villette, terratetto e parcheggio meno problematico che altrove (condizione assolutamente necessaria per il reperimento della treggia). E quindi, insomma, eccovi er mezzosacco in tutto il suo splendore.

NOTA ETIMOLOGICA
di Cristina la Meharista

In origine: 500
ovvero 500 piotte (piotta erano le vecchie 100 lire ergo 1 piotta x 5= 5 piotte)
1 sacco = 1000 lire quindi mezzo sacco=500 lire=5 piotte= 500
Equazione infallibile!

Quack!


Intermezzo non treggistico, senz'altro. Quella che vedete è, ovviamente, un'autoambulanza; anzi, per essere precisi, la fiancata di un'autoambulanza. Un po' particolare, come si vede: quasi ci si immaginerebbe di vederne saltar fuori una squadra composta da Zio Paperone, Paperoga, Ciccio e Filo Sganga mentre trasportano la povera Nonna Papera colpita da indigestione. Invece no: come immortalato anche in un celebre film, "Paperino" è il nome di una frazione del comune di Prato dove la benemerita Pubblica Assistenza "L'Avvenire" ha una sua sezione. Certo però che vedersela davanti e fotografarla è stata tutt'uno, tanto da meritare uno dei rarissimi post "non treggistici" di questo blog...e con la speranza che riesca a strappare un paio di sorrisi qua e là :-)

martedì 23 febbraio 2010

Il Fondo Cristina (6): La brutta che fa paura...


Veramente sarebbe stata, almeno secondo i Carbonari di Armando Trovajoli per il film di Luigi Magni, poi ripresi estemporaneamente da De André, "la bella che fa paura" (anzi, propriamente: la bella che è addormentata...ha un nome che fa paura). Ma per la Renault 6, qui fotografata nientepopodimeno che in quel di Lecce dalla nostra Cristina la Meharista durante una delle sue peregrinazioni, di "bella" non si potrebbe parlarne nemmeno a volerne. Il mistero delle vecchie auto francesi: nella fascia medio-bassa avevano generalmente una linea agghiacciante (la R6 sembra tagliata direttamente da uno scalpellino su un blocco di latta grezza, e appena sbozzata), però, al tempo stesso, ci avevano quel "non so che" che le rendeva uniche.

Si chiama, credo, riconoscibilità. E carattere. Le vedevi in giro, le infamavi, ci ridevi addosso, però un sacco di gente le comprava non soltanto per le loro caratteristiche tecniche (robustezza eccetera). Le comprava anche per com'erano fatte. Per la loro bruttezza. E sulle "auto brutte" ci sarebbe da dire tante cose, in quest'epoca di auto tutte belline, rotondine, gaggettine e noiosissime. La bruttezza riconoscibilissima delle francesi recava un messaggio (non mi si venga a dire che la R4, una delle macchine più vendute della storia, era bella...), ed era probabilmente lo stesso dei Carbonari: libertà, libertà, libertà. Con quel mix di Francia profonda, barricate del Maggio, D'Alembert e onde enormi sulle sconfinate spiagge delle Landes che abbisognano di macchine come queste, non di stolide Mercedes.

lunedì 22 febbraio 2010

Ci vuole poco e tanto



Per fare un albero ci vuole un fiore, diceva la famosa canzoncina del grande Sergio Endrigo; insomma, ci vuole poco e tanto al tempo stesso. Lo stesso vale per un camper: per farlo ci vuole poco (ad esempio le strabilianti tendine a strisce biancorosse di questo Renault Trafic, stile panno per asciugare i piatti), e tanto (soprattutto per immaginare che questo, appunto, sia un camper).

Quest'ultima cosa è fondamentale. Come io non amo per niente i SUV, così non mi piacciono affatto i supercamper che si vedono al giorno d'oggi, vere e proprie tronfissime ville semoventi dotate di tutti i confortz. Un camper vero è un'altra cosa. È andare alla 'ioboia a giro per il mondo privi di qualsiasi comfort, e arrangiarsi ringraziando d'avere un tròschi dove dormire scomodi. Il vero camper bisogna immaginarselo, che lo sia. Deve poter essere scambiato liberamente per il furgone dell'impresa edile o del trombajo. Deve averci un particolare, uno solo (le tendine, ad esempio) che, a un certo punto, facciano balenare l'idea che possa trattarsi di un camper. Non deve dare l'idea di un condominio intero su quattro ruote, cantine comprese.


domenica 21 febbraio 2010

Treggia Capital







Giustappunto una treggia capitale, in tutti i sensi, questa reperita durante una delle mie consuete trasferte piacentine. Stavolta la città dei Farnese e degli Alberoni ci riserva veramente una pezza da novanta, con questa strabiliante Fiat 600 Multipla furgonata con le livree gialle e blu di Casa Capital che la rendono simpaticamente simile a un vecchio modellino della Politoys o della Norev. Invece è tutta vera, anche se ritargata; ma non si può avere tutto dalla vita. E' già abbastanza così, e talmente abbastanza da andare persino "in diretta" (mi trovo ancora a Piacenza in attesa dell'Intertreggia Notte delle 21.07, dato che nel caso delle Ferrovie dell'Antistato italiane, dette anche Frenitalia, più che di "materiale rotabile" si deve parlare di "materiale ignobile").

Insomma, un automezzo che merita senz'altro il salto della cronologia nella sua versione furgonata, ancor più rara di quella consueta che fu forse il primo ed incompreso tentativo di monovolume. La 600 Multipla ebbe però due usi nei quali ebbe pochi rivali: quello come taxi e quello come pulmino delle monache, con Suor Cunegonda alla guida con la tonacona tirata su, gli occhiali, lo sguardo assatanato e la pia mano sul claxon. A Piacenza la si usa invece per Casa Capital, e se per caso l'azienda suddetta si azzarda a mandarla alla rottamazione, giuro che il qui presente Treggista si adopererà perché le sia comminata la Pena Capital!

venerdì 19 febbraio 2010

Growl




L'avevo trovata qualche sera fa, proprio all'imbrunire, in una stradina semidimenticata vicino a casa mia, in una zona che resiste miracolosamente (chissà ancora per quanto...) alla speculazione edilizia. Talmente imbrunire, che ne erano venute fuori delle foto assolutamente improponibili; in compenso, nel capannone dove stava, protetto da un cancello, ci stava pure lui. Più o meno un "bestio" del genere:


Dato che, per fotografare, era necessario far passare la codacchina oltre la cancellata, quando mi son visto venire incontro il simpatico cagnetto di cui sopra ho pensato bene di ritrarre le mani, e anche di battere fuga; non si sa mai, magari il Maggiolino targato Pisa era suo e non gradiva che lo si fotografasse...e vaglielo a spiegare che è per una nobile causa come il Treggia's Blog. Però si vede che, da buon Treggia's Dog, aveva capito tutto. Dopo qualche growl grrrr bauuu arfff sdenttt sgrllwww grauwlll comprensibile e di prammatica, mi ha studiato e poi mi ha dato lo zampone. Dopo due minuti ho azzardato persino un pat pat sul testolone, e ho ricominciato tranquillamente a fare foto oscure mentre il bestio se ne tornava al suo cuccione e ai suoi sei chili di pappa al giorno.

Ci sono tornato, giorni dopo, assieme alla piasintëina; la quale, da buona cinofila, era stavolta più interessata al cane che al Maggiolino pisese. Però c'era solo il Maggiolino; del bestio neanche l'ombra (impegnato in una passeggiata per i campi, o in una dormita colossale?). Ad ogni modo, a pensarci bene, anche il Käfer pisano non è male, come bestio; tant'è vero che l'ho chiamato Growl. E sono sempre più convinto che lo guida il cane!

mercoledì 17 febbraio 2010

Il Fondo Cristina (5): Lady X


Cristina, la nostra Meharista di fiducia nonché autrice del Fondo assai cospicuo la cui pubblicazione integrale è certamente gloria e vanto del TB, si sposta oggi a Pavigi, con tanto di tendine ai finestrini posteriori. La foto originale di Cristina reca un titolo curioso assai: "Mostruosa ma con le tendine". Mostruosa sì, e incognita. Doveva succedere, prima o poi.

Sulle prime pensavo che fosse una Simca 9 Aronde:

Però, purtroppo, troppe sono le differenze (specialmente nella parte posteriore, ma anche nel paraurti anteriore e in altre parti della vettura). Ho cercato infruttuosamente, ma non ne sono venuto a capo; faccio quindi appello a chiunque legga il TB di farmi sapere qualcosa, se riconosce l'automobile in questione.

Si tratta comunque di un bell'esemplare di auto per la piccola e media borghesia, dall'aria solida. La linea non è poi neanche così mostruosa, a pensarci bene, anche se è notevolmente imbruttita dai due clamorosi specchietti retrovisori piazzati direttamente sui lati del cofano. In una vettura come questa, munita poi di ulteriori specchietti (e anche di quello interno, ovviamente), non c'era davvero il rischio di non vedere dietro. Non si potevano vedere, però, gli occupanti dei sedili posteriori, che presumibilmente erano occupantesse. Chissà, vengono a mente le figlie di famiglia da celare allo sguardo lussurioso de' passanti, o delle pudiche demoiselles che trovavano comunque il modo, poi, di salire a bordo della R4 del garzone del boulanger e di andarsene a fare un giretto in posticini appartati, senza bisogno di tendine o ricorrendo a un po' di cartone.

Insomma, tornando alla Treggiologia stretta, spero che qualcuno dia una mano a me e a Cristina la Meharista per riuscire a sapere chi diavolo sia veramente questa Lady X colta in una rue parigina; orsù, datevi da fare!

Aggiornamento 17.11.2013

Si veda questo post!

Auto-omaggio


È della stessa marca e dello stesso modello della vettura grazie alla quale, almeno in massima parte, questo blog esiste: una Ford Fiesta vecchia come il cucco. A dire il vero, la mia (anzi: quella che ho in uso, perché "mia" non è) è un po' più nuova, anche se oramai ai limiti della Treggia; però trovarne una ancora munita di targa arancio-nera (e messinese!) in piena città non è per nulla comune. Da qui la foto presa la volo, approfittando del più classico ingorgo delle 3 del pomeriggio. Gli ingorghi sono spesso preziosi alleati del Treggista, che impara così non soltanto a sopportarli con filosofia (cosa che fa dimolto bene al sistema nervoso), ma addirittura ad apprezzarli quando gli permettono di scattare qualche discreta foto. Nella strada in questione, che è una delle più trafficate e ingorgate di Firenze, è addirittura il terzo caso. Se avete acume e seguite regolarmente il blog, non vi sarà difficile individuare gli altri due casi.

lunedì 15 febbraio 2010

Impiegati




Quando mio padre, nel lontano 1960 (o '61, e non posso dire neanche "non ricordo" perché ancora mi mancavano due o tre anni a nascere), prese la patente e si comprò la prima macchina, giocò un brutto tiro al suo collega di stanza in ufficio. Costui, che aveva già la patente, era proprietario di una Cinquecento grigio topo squisitamente impiegatizia, di cui magnificava le prestazioni. Nell'universo degli impiegati di un grosso ufficio pubblico, la macchina era, negli anni del boom, il simbolo dell'avvenuta conquista del benessere familiare: avere una Cinquecento (per la quale comunque partivano già svariati stipendi mensili) era già un bel balzo in avanti rispetto ai più, che ancora giravano in Lambretta, in bicicletta o coi mezzi pubblici.

Mio padre, che sapeva all'occorrenza essere un perfid'uomo, lasciò dire il collega per un bel po'; un bel giorno si presentò in ufficio tutto allegro, annunciando di avere finalmente comprato la macchina. Il suo collega si rallegrò con lui, ovviamente con una puntina di malcelata rabbia perché si vedeva raggiunto nello "status" automobilistico; e cominciò la solita solfa. "Vedrai quante soddisfazioni ti darà la Cinquecento!", e giù per un dieci minuti buoni. Alla fine, mio padre gli disse: "Ah, scusa, M., però ti volevo dire che ho comprato la Seicento..."

Silenzio. Gelo. La mazzata era stata tirata sapientemente e al momento giusto. La Seicento era qualcosa che andava oltre. Il fatto gli era che, oltre al lavoro normale d'ufficio, mio padre s'ingegnava con diecimila altri lavoretti che, in quegli anni, erano richiestissimi e procuravano dei bei dindini; insomma, a un certo punto, se ne ritrovò in tasca a sufficienza per campare agevolmente moglie, un figlio (io, ripeto, non ero ancora arrivato; per la cronaca, nelle intenzioni dei miei fabbricatori dovevo essere Anna Maria), un gatto, comprarsi una casa e pure la Seicento. Con la quale fece, un bel giorno, il suo ingresso trionfale nel parcheggio dietro l'ufficio mentre il suo collega (che non gli rivolse parola per due mesi, ma con il quale poi, fortunatamente, recuperò l'amicizia) si avviava mesto verso il suo incolpevole Cinquino grigio topo. Racconta mia madre che tornò a casa un po' sbellicandosi dalle risate, e un po' dispiaciuto per la carognata che aveva combinato all'amico e collega che, forse, con quella sua Cinquecento aveva rotto un pochino i coglioni. Così andavano le cose. Una storia, me ne rendo conto, terribilmente fantozziana. Però è grazie a 'ste fantozzate che, in buona parte, me la sono cavata nella mia vita per parecchi versi squinternata, folle, paradossale. Destino dei secondi figli, così almeno si suol dire.

Impossibile che non mi rivenisse a mente quando mi sono trovato davanti questa Cinquecento grigio topo (e coi sedili rossi), invero perfettamente serbata. Di qualche anno dopo, va detto; ma siamo pur sempre verso il '65. Si ragiona di quarantacinqu'anni fa, e Guido Gozzano a venticinqu'anni gridava di esser vecchio. Il risultato è che mio padre è morto, il suo collega e amico pure, la Seicento e la Cinquecento grigio topo sono chissà dove nell'ADT (Aldilà Delle Tregge) e io mi metto a fotografare. Non so se chi legge questo blog lo ha capito, ma io fotografo prevalentemente dei ricordi, e assieme a loro la mia vita e chi c'è stato e ci è rimasto dentro. In forma di vecchie automobili, d'accordo. Si vede che non sono buono a farlo in altri modi, ma ho in mente strade e ponti che vedo soltanto io.

Post Scriptum. "Targa particolare" o no? La sequenza non è certamente in ordine (e si noti che non manca l'immancabile 17...), però, come dire, "suona bene" (ventisette-novantasette-diciassette). Ma sì, va', mettiamocela...

domenica 14 febbraio 2010

Zaxp!


Un Maggiolino, anzi un Maggiolone* celeste fa sempre notizia, anche se ritargato con le orripilanti targhe di adesso; questo, invero, può benissimo derivare dal fatto che il mezzo sia stato acquistato in Cermania (o comunque all'estero), e reimmatricolato in Spaghettonia. Fatto sta che questo celestial Käfer reperito nella sua città dalla mia piasintëina preferita trova qui il suo bel posto nonostante la targa. Anzi, vista la sua componente alfabetica decisamente futuribile e dal suono stile fumettone fantascientifico del 1962 (quando il 2010 era un remoto anno dove si sarebbe andati tutti quanti su macchinine volanti), lo chiameremo proprio Zaxp.

Per inciso, 'ste targhe "ZA" (quelle rettangolari) sembrano proprio non finire mai. Dopo 16 anni ancora non sono passate di seconda lettera, e non si sa nemmeno quale sarà: ZB? ZZ? Boh. Francamente, però, a noi Treggisti Passatisti ce ne importa abbastanza pochino -anche perché la maggior parte di tali targhe sono applicate ad abòrriti suvvazzi stupidi. Questo Maggiolone ha però un'altra particolarità che è testimoniata dalla foto che segue:


Si tratta nientepopodimeno che di un Beetle carrozzato dalla venerabile Karmann di Osnabrück (celebre per la Volkswagen Karmann-Ghia, una supertreggia che farebbe sobbalzare 'sto blog), carrozzeria fondata nel 1901 e purtroppo chiusa pochi mesi fa, nel 2009, dopo 108 anni di onoratissima attività. Una chiusura che ha avuto anche tremende conseguenze occupazionali. Insomma, come dire: la piasintëina ha reperito, con questa Zaxp, non soltanto una treggia ma tutta una storia. E quindi non a caso pubblico questo post il 14 febbraio. Senza indulgere troppo a ricorrenze commercializzate, un regalino per questo giorno non ci sta certo male anche perché la suddetta è una sfegatata tifosa di un altro Valentino, fortunatamente per nulla santo e titolare di un certo numero 46 quando corre con motine che sono ben lontane dalle tregge. Insomma, carissima, quel che volevo dirti lo sai bene anche se qui non lo scrivo. Grazie, e non soltanto per le tregge piacentine.

*La distinzione fra "Maggiolino" e "Maggiolone" si fa soltanto in Italia (il "Maggiolone" è il millettré di terza generazione). In Germania è tutto "Käfer", nei paesi anglosassoni è tutto "Beetle".

Il Fondo Cristina (4): Incidente sui Navigli



Della serie: forse faceva meglio a restarsene a Roma, invece che andare sui Navigli, a Milano, e perdipiù sotto la neve. Vabbè che in questi giorni è venuta una nevicatina anche a Roma (strombazzatissima dai media, naturalmente, come ogni cosa che avviene n'a'a capitale), però andare a Milano con una Lancia Flaminia Coupé (ritargata, sì, ma dei primi anni '60 senz'altro) e poi andarcisi a schiantare come se niente fosse, è veramente il colmo. Con l'ovvia speranza che il conducente non si sia fatto neppure un graffio, è comunque facile immaginare la scarica di colorite e irriguardose espressioni nei confronti del Padreterno che il proprietario di questo bellissimo automezzo da Dolce Vita felliniana deve avere tirato; e non saprei sinceramente fargliene un torto, anche se il demonietto che alligna in me sogghigna un po' dicendo: Beh, così impara a andare a Lavoròpoli. Se proprio ci si deve andare, di riffa o di raffa, si prenda un treno o ci si vada con una macchinetta del cavolo di questi tempi, ché quella la si può anche battere senza problemi....anche perché la dinamica dell'incidente mi sembra bizzarra, a giudicare dal danno. Sembra quasi che alla Lancia sia cascata una cassaforte addosso, o che qualcuno le abbia tirato, che so io, un modellino-souvenir del Duomo di Milano...

sabato 13 febbraio 2010

Molto meglio di Bruno


Era un po' di tempo che sul TB non c'era più una bella trespa come si deve, anche se diverse me n'erano sfilate sotto gli occhi. Pochi giorni fa, quasi annegata in un mare di motine & motone più o meno modajuole, ecco che mi compare davanti agli occhi la cosa che si vede al centro della fotografia. Qualcosa di assolutamente sensazionale.

Doveva essere, un tempo, rossa; ma qualcuno si dev'essere dedicato a ridipingerla in nero con le tempere Giotto, o qualcosa del genere. Fatto sta che il rosso originario è riaffiorato, conferendo a quest'incommensurabile Trespa un colore che potremmo definire relitto di pedalò sulla spiaggia di Torvajanica. Un tocco di autentica classe è inoltre fornito dal sellino sderenato, che mette in mostra bioccoli di autentica gommapiuma giallastra. Insomma, signore mie, signori miei, questa è *la* Trespa. Quella vera. Quella che potrebbe essere stata benissimo la protagonista della leggendaria irruzione al cinema Universale. Quella che piombò sul palcoscenico del vecchio Teatro sull'Acqua mentre si dava il Rocky Horror Picture Show.

E pensare che quel sacro nome di Vespa dev'essere, corpo d'una pipa, condiviso con quel butterato leccaculo aquilano di Porca a Porca (su' ma' maiala). Ma verrà il giorno, magari battendo l'otto, che le cose saranno rimesse al loro posto, e dicendo "Vespa" s'intenderà soltanto una meraviglia del genere. In mezzo alle anonime motazze del Dumila, è lei che risalta; la bellezza proletaria vince.

venerdì 12 febbraio 2010

Magyarország Trabantország



Vi ricordate dell'amico Ionis 56, vale a dire l'addetto Gigliese alla Treggiologia? Ebbene, anche lui è stato in Ungheria, al pari di Cristina la Meharista. E cosa ci si va a fare in Ungheria, se non per fotografare delle Trabant? Sì, ok, d'accordo, il lago Balaton, il Tokai (e altri vini ugualmente buoni), il Gulasch (che proriamente dovrebbe chiamarsi gulyás, da pronunciarsi qualcosa come "gùiaash"), la paprika, le belle magiare; però la considerevole presenza di Trabi (o Trabbi) dovrebbe essere presa in considerazione dalle competenti autorità ungheresi come attrazione turistica in piena regola. Ho già pronto lo slogan: Magyarország Trabantország (Ungheria, terra della Trabant). E chi dimostra di pronunciarlo correttamente vince un viaggio. In Trabant, ovviamente. E se sopravvive, vince anche la Trabant.

In queste foto "ionissiane", di Trabant se ne vedono addirittura due nella stessa strada; la seconda è quella che che si intravede appena nella prima foto, sotto il manifesto con scritto Figyeló (= "attento!"). Pensate: due Trabant parcheggiata una dirimpetto all'altra. Sì, decisamente vale la pena fare una giratina in Ungheria (che, per inciso, è anche un paese splendido).

giovedì 11 febbraio 2010

Su strade consuete




Poche strade come quella che si vede nelle foto sono per me tanto consuete. Ci vado ogni giorno, a portare e a riprendere delle persone che passano la loro giornata in un posto specializzato. Una strada di collina, piena di ville, di parchi e di ricchezza; uno di quei luoghi dove la consuetudine, per uno come me, dev'essere per forza affidata a qualcosa di estremamente particolare. Come estremamente particolari sono gli automezzi che vi sostano, del resto. Le auto di lusso, corrispondenti alle superville, devono stare nei garage interni; per la strada, invece, è tutto un fiorire di tregge. Di cinquecento, in primis: ve ne sono, fisse, almeno tre che prima o poi vedrete. Poi capita, una mattina, di trovare questa cosa qui. Inchiodare. Imbracciare la Kodak. Scendere. Posizionarsi. E proprio mentre ci si sta posizionando, accorgersi che c'è il guidatore a bordo. Gasp.

In questi casi, è buona norma avvicinarsi urbanamente con un sorrisone a 48 denti e cominciare a spiegare brevemente che cosa si sta facendo; per il resto, chiedere educatamente il permesso di fare due o tre foto non costa niente e, anzi, produce risultati sorprendenti. Il permesso viene dato nella quasi totalità dei casi (e se non viene dato, pazienza) e si fa la conoscenza di persone che hanno sempre qualcosina di unico. Del resto, chi sta al volante -ad esempio- di un T2 del 1973 non è certamente il tipico pìssero da suvvino immacolato.

Il Treggista in divisa di servizio e con la bandana di lana; il guidatore con berrettone pure di lana, barba lunga. Si chiama Giulio. E qui cominciano quindici minuti di treggismo puro, fra due sconosciuti che si sono incontrati in tale bizzarro modo una mattina di febbraio in una strada che certo non può essere definita una grande direttrice di traffico (e questa espressione somiglia simpaticamente alla biblica Grande Meretrice di Babilonia). Un quarto d'ora di delirio puro, tra prezzi dei T1 e T2, racconti d'avventure, sguardi amorosi all'automezzo, risate e osservazione dei gesti. Perché chi sta dentro una Treggia la vive in ogni momento, la sente, la trasmette. Non credo, peraltro, che ci rivedremo mai più. Ma se mi capiterà di veder ripassare, da qualche parte, questo automezzo, saprò chi c'è sopra. Mi ricorderò di quel quarto d'ora. Provateci voi a farvi ricordare su una delle vostre macchinine qualsiasi tutte stondate, modaiole e fluo. Poveracci.

mercoledì 10 febbraio 2010

La Pavesina




Beh, bisogna tornare sulla terra dopo la meraviglia delle meraviglie di ieri; quella, oramai, è consegnata definitivamente alla storia del Treggia's Blog e vi resterà. Per tornare alle (amatissime) tregge quotidiane, scelgo questa Dyane fotografata qualche sera fa sotto il nevischio; è anche un omaggio al neolinkato (e neolinkante) blog dell'amico labronico Sassicaia Molotov, Il Tafferuglio Interiore, che proprio in questi giorni ha pubblicato un bel post treggistico (con la speranza che non sia l'ultimo, e anche che, abitando a Livorno, cerchi di ritrovarmi un'Arna targata LI 34... che vedevo sempre in giro quando abitavo da quelle parti: gliene sarei davvero grato!).

Nei commenti a detto post, a cura di Jesup, c'è un riferimento alla Dyane: da qui ho pensato che vederne immediatamente una ancora all'opera, che vive & lotta insieme a noi, non sarebbe stato male; anche perché la sera che l'ho fotografata ho rischiato seriamente una polmonite, uscendo solo col pile di servizio dalla macchina riscaldatissima e gettandomi nelle intemperie. Davvero un invernaccio malefico, questo; e autovetture come queste, con venticinque o trent'anni sul groppone, lo sfidano ancora senza problemi. Mi garberebbe, se sarò ancora vivo, vedere quanti suvvini ci saranno ancora in giro tra un egual numero d'anni.

Mi piace qui riportare le parole esatte dal commento di Jesup: "Ci metterei anche il Dyane. Auto che avevano comunque comodità e di mantenimento ti costavano poco più di un motorino. Anche perchè quando si fermavano almeno sapevi dove erano le candele, ora con sta cazzo di elettronica, ci vuole un ingegnere per rimetterle a posto!" Parole da sottoscrivere interamente, parole da Treggista.

martedì 9 febbraio 2010

Proscìnesi





Nel TB, di solito, si segue un vago ordine cronologico per gli inserimenti: non oggi, però. Questa è roba di un'ora e mezzo fa. Al diavolo, per una volta, ogni tipo di ordine: una macchina del genere sovverte doverosamente ogni cosa, ogni programma.

Avevo appena svoltato nel vialone che porta allo Stadio, quando me la sono vista dietro, nello specchietto retrovisore laterale sinistro. Qui il Treggista consumato deve mettere in azione, e contemporaneamente, le sue due principali caratteristiche: la rapidità di azione e la faccia tosta. Fermarsi di lato in quintupla fila. Scendere. Bloccare il viale a rischio di farsi asfaltare. Spiegare in tre-secondi-tre al guidatore dell'auto bloccata perché lo sia stata così proditoriamente.

Per una Maserati Quattroporte del 1965 tutto questo dev'essere fatto, e senza indugi. Qui siamo di fronte a quella che, per me (ma non solo per me) è la più bella automobile di tutte le epoche. Ascoltare estasiato il rombo un po' scarburato. E il guidatore, e proprietario, all'improvviso si apre e comincia a raccontare di tutto. Il signor Andrea P., ex pilota di rally, per la precisione: ovviamente, se legge, lo ringrazio di tutto cuore.

Non solo una Quattroporte, ma una -come mi racconta Andrea- delle sole quattro prodotte di quell'incredibile colore verde smeraldo. Di queste quattro, due andarono allo Scià di Persia, Reza Pahlevi, mentre una ce l'ho davanti in quel momento (forse, boh, sarà stata destinata allo Scià del Friuli?). Mentre il signor Andrea racconta, torno un attimo bambino: la Maseàti Pattopòtte era anche allora la mia macchina preferita, ne avevo il modellino e ci giocavo sognando di quando, da grande, sarei stato ricco e me la sarei potuta comprare. È andata un po' diversamente; ora sono grande, e quel mio sogno di bambino mi costerebbe a occhio e croce un 400.000 euro.

Non se n'è accorto, il signor Andrea, che mentre fotografavo l'intero l'ho voluta almeno toccare. Perché non ne avevo mai vista una in giro, prima. Neanche negli anni '70, neanche quand'era ancora in produzione. Era stata solo un modellino tirato fuori dallo scatolone delle macchinine, che ancora dev'essere da qualche parte a casa di mia madre.


A proposito di Persia. Nell'antica Persia, davanti all'imperatore, era d'uso che chiunque fosse ammesso alla sua presenza, anche i satrapi più nobili, dovessero prosternarsi stendendosi completamente: era la cosiddetta proscìnesi, gesto talmente stigmatizzato dai liberi elleni che gli diedero un nome sarcastico (προσκύνησις, dal verbo προσκυνῶ, vale a dire "accucciarsi come un cane davanti al padrone"). Capisco i greci, sicuramente; però, davanti a quest'autovettura, ho avuto l'istinto di prosternarmi. Di fare una proscìnesi davanti ad una Regina. Succede.

NB. Per chi magari si fosse un po' preoccupato di tutte queste proscìnesi e dello Scià di Persia (che era un bello stronzolo di cane, sia ben chiaro), dovrò anche dire che giustappunto una Maserati Quattroporte nuova fiammante fu regalata dalla direzione del grande Partito Comunista Italiano al compagno Leonid Brežnev, primo segretario del PCUS, faro del proletariato nonché notissimo amante delle autovetture di gran lusso.