sabato 31 ottobre 2009

Epopea (1)





L'epopea del Salviatino, il principale accumulo di tregge della città (almeno per ora) sembra non avere mai fine. Pochi giorni fa, passando di là, mi sono accorto che fuori dalla carrozzeria che vi si trova, in una stradina laterale, c'era una stupefacente MG (targata FI 48...); purtroppo è entrata subito a far parte delle cosiddette tregge momentaneamente perdute, del quale parlerò in un prossimo post. La Kodak, maledizione, si era scaricata. Però un suo frutto lo ha comunque dato: mi sono infatti detto che, se in quella carrozzeria trattavano vetture del genere, dentro ci doveva per forza essere qualcos'altro di molto interessante.

Quattro mattine dopo sono passato all'azione, con l'usbergo della divisa e della macchina di servizio (che aprono molte porte) e dotato della mia naturale facciaccia tosta. In breve, sono penetrato nella carrozzeria Kodak alla mano. Due anziani signori al lavoro, un po' stupiti, molto taciturni; e ho avuto la certezza di aver scoperto un autentico antro delle meraviglie. Con la massima naturalezza possibile ho chiesto se potevo fare qualche foto, e quelli hanno detto che potevo fare quel che volevo, continuando meticolosamente a lavorare.

La prima meraviglia è questa 500, la prima in questo blog con apertura controvento e, di conseguenza, la più vecchia finora inserita. Avendo entrambi i cofani aperti, ho potuto addirittura, senza la benché minima rimostranza, chiudere quello posteriore per fotografare la targa. Con un FI 22 si comincia andare ad anni veramente remoti. Da notare gli stemmi Abarth, anche se la vettura non è assolutamente una modificazione: qualcuno ce li deve avere appiccicati così per fare, o per dare l'impressione di una abarthizzazione.

Per una macchina del genere, e in queste condizioni particolari di intervento, è d'obbligo anche una visione dell'interno. Eccolo qua, anch'esso decisamente abarthizzante:


venerdì 30 ottobre 2009

La Mantovana e l'Agedabia, ovvero Storia di una Vasca da Bagno e d'altre tregge






Finalmente ci siamo: è arrivato il gran giorno della prima Prinz su questo blog. Parcheggiata in un'antichissima strada della periferia fiorentina, tra "Corti" dal nome fantasmagorico (tipo: Corte di Torcifera), dove un oste del posto sostiene -con qualche ragione- che sia ambientato il "Pinocchio" di Collodi. Vòlse lo destino che non recasse la targa cittadina, bensì quella di remote plaghe della Val Padana; ma non dubito minimamente che, tra le nebbie e gli umidori di quella parte della piana fiorentina, vi si sia ambientata benissimo. Talmente bene da essere ancora là, imperterrita, blé nel tramonto. Lontano da certi finti "amarcord" annisettantaioli stile Fabio "Leccalecca" Fazio, voglio qui raccontarvi la Prinz com'era. Una Prinz che fu di proprietà di mia zia Egle, all'Isola d'Elba. Una storia di tregge e di una giornata difficilmente scordabile, con il quale inauguro anche la nuova categoria delle "Storie di Tregge".


Era, già allora nel '75, talmente decrepita e malmessa che mia zia la chiamava L'Agedabia, che era sì il nome di una città conquistata dagl'italiani durante la guerra di Libia del 1911, ma, più che altro, quello di una vecchia somara di un contadino là vicino agli Alzi. Una Prinz beige scrostallizzata, che quando si aprivano e chiudevano le portiere si sentivano dei scryéæüwchhh da far andar via di cervello; per entrarci dentro, però, bisognava subire quelle sinfonie, e senza fiatare. Mia zia non voleva guidare che quella, che era peraltro stata la sua prima macchina: aveva preso la patente a cinquant'anni sonati perché lavorava alle scuole di San Piero e si era rotta i coglioni delle corriere scassate che c'erano allora all'Elba. Mi scusassero se in questo post userò a volte un linguaggio un po' scurrile: il fatto è che mia zia Egle era una di quelle tempre di contadine che da una parte veneravano devotamente la Madonna, Sant'Antonio, San Remigio, San Ponziano da Gaeta, Santa Rita da Cascia, Santa Veneranda del Quadraro e tutto il martirologio (esclusi, naturalmente, Gesù cristo e Dio, esseri troppo distanti per meritare attenzione) e, dall'altro, tiravano quotidianamente salve di fantasiosissime bestemmie, riferendosi poi al prossimo che popolava l'universo mondo con espressioni in cui la merda e ogni altro tipo di escremento umano e animale la faceva da padrone. Indimenticabile zia Egle, che ora viaggia nelle putride, carogne, subdole, disumane plaghe dell'Alzheimer. Il morbo di Alzheimer è la prova decisiva per l'inesistenza di Dio.


Anche nell'Agedabia aveva sistemato ogni sorta di santino, immaginetta sacra, cuoricino trafitto e via discorrendo; l'adoperava al massimo fino a San Piero, emetteva dal tubo di scarico una macedonia fatta di poltiglia idrocarburica e topi morti, e non si fermava mai. Un giorno di gennaio successe che suo genero, che invece era un'appassionato di auto sportive e aveva una rombante R5 Alpine Renault, una bomba che riusciva a fare ben diciotto centimetri con un litro, dovesse portar la sua macchina dal meccanico e che dovesse andare a Firenze. Era un lunedì: lui lavorava per tutta la settimana qui in città, e poi tornava all'Elba il venerdì sera. Destino volle che proprio quel lunedì io e mia madre fossimo all'Elba per non so quale motivo: io avevo 11 anni e mezzo, avevo saltato un giorno di scuola, e Franco (così si chiama) ci doveva accompagnare. Il problema è che l'Alpine Renault era indisponibile; la macchina di sua moglie serviva, naturalmente, a sua moglie, e allora si dovette prendere la Prinz della zia Egle, l'Agedabia.


S'andò a Portoferraio a prendere il traghetto; si fece la traversata in un giorno di sole, ma assolutamente gelido; s'arrivò vicino a Cecina. Giunta a Cecina dopo aver percorso il numero di chilometri massimo della sua vita tutto in una volta, l'Agedabia dette forfait. Emise uno strano lamento sulla vecchia Aurelia, poco passata la California, e si fermò. Defunta. Nulla da fare. Mio cugino, che doveva entrare a lavorare nel pomeriggio, cominciò a tempestare il padreterno d'una tal quantità di epiteti, che mi sembrò ad un certo punto d'intravvedere una manona nel cielo che faceva un gesto come dire: Oh, stai calmino, 'un l'ho mica fabbricata io la Prinz. Il fatto è che, essendo nel 1975, i cellulari erano ancora, ed esclusivamente, degli automezzi della Polizia riservati ad un tristo compito; per andare a chiedere soccorso, mio cugino dovette farsi due chilometri a piedi per trovare una cabina del telefono. E siccome non era socio ACI e aveva una certa premura, ed il trenaccio locale che passava nelle vicinanze ci avrebbe fatti arrivare a Firenze all'ora de' lupi mannari, non trovò di meglio che chiamare mio padre, che ci venisse a prendere tutti quanti. Mio padre stava per uscire dall'ufficio.


Ci son certe giornate dove, sicuramente, sarebbe meglio starsene a letto tutti quanti; disgraziatamente, era una di quelle. Uscendo per venirci a prendere, mio padre si recò nel parcheggio dell'ufficio dove teneva la sua novissima Fiat 128 Special verde acqua (targa: FI 750688). Non so esattamente che cosa accadde, e non lo sapeva nemmeno mio padre: però si accorse, con orrore, che si era dimenticato le chiavi infilate nel quadro, e che, chiudendo la portiera la mattina, doveva avergli tirato una tale botta da aver fatto scattare il meccanismo di chiusura. Insomma: chiavi dentro e macchina chiusa, mentre lontano lontano sua moglie, suo figlio e un altro parente lo stavano aspettando come ultima ratio. Fu allora che mio padre fu costretto a prendere un'autentica schwer gefasste Entschluss: si fece dare dei cenci, si fasciò ben bene la mano, e tirò un cazzotto spaventoso al vetro laterale, spaccandolo con il rischio di farsi, diciamo, non benissimo. Al che partì per Cecina con il vetro rotto, con una temperatura non lontana dallo zero e intabarrato nello spigato col bavero alzato e una sciarpa viola di maglia.


Nel frattempo, a Cecina, io, mia madre e mio cugino stavamo aspettando in mezzo di strada. Calcolando il tempo normale di arrivo, dovevamo restar là circa un paio d'ore; tempo che vide una trasformazione di mio cugino da tranquilla persona in berserk. Cominciò prima con il rivolgere alla Prinz epiteti a dir poco irriguardosi (brutta schifezza di merda....! Ma vaffanculo a te e a chi t'ha fatto! Ammasso di letame 'olle gomme...!); poi, via via che le lancette dell'orologio scorrevano, si trovò obbligato a rifarsi due chilometri a piedi per avvertire l'ufficio. Una volta tornato, passò dalle parole ai fatti: cominciò a prendere a calci la povera Agedabia, prima sulle ruote, e poi sul cofano posteriore (ma la macchina era in condizioni tali, che forse da quei calci risultò qualche miglioria alla carrozzeria). Passavano dei rari automobilisti, preoccupatissimi, che -se fossero esistiti i telefonini- non avrebbero mancato di chiamare la neuro. Tra una pedata e l'altra, mio cugino era passato a maledire e investire di improperi prima la NSU in generale (che allora, oltre alla Prinz, faceva soltanto la R080, l'unica macchina col motore Wankel e che gli inglesi chiamavano perfidamente wanker -vale a dire "segaiolo", e certi italiani anche R0-ottame), poi tutte le sue maestranze e, infine, in un crescendo rossiniano, tutti i tedeschi e la Germania, i luridi nazisti incapaci, Beethoven e la sua musica di merda, la birra e Beckenbauer. Se in quel momento fosse passata un'auto con targa tedesca, sarebbe successo un finimondo.


Finalmente mio padre arrivò, paonazzo, ridotto a una specie di ghiacciolo all'amarena, e di umore assai scuro. Mia madre, vedendo il finestrino rotto, pensò che avesse avuto un incidente; nel frattempo, mentre mio padre spiegava cos'era successo, mio cugino continuava a tirar cazzotti sul tetto della Prinz, che incassava stoicamente. Si rimontò finalmente in macchina, io -che ero piccolo (si fa per dire)- dovetti viaggiare con un plaid addosso (erano i tempi in cui nel bagagliaio delle macchine si teneva sempre una coperta, ché non si sa mai), e s'arrivò a Firenze a buio e ridotti a dei conci.

L'Agedabia restò là abbandonata da tutti, ma non dalla sua padrona. Previi cinque quintali di moccoli, riuscì a convincere un meccanico di Campo a andare a Cecina e a trainarla di nuovo all'Elba. Non so esattamente cosa le era preso, ma fu rimessa in sesto: senza l'Agedabia, mia zia si sentiva persa. Durò ancora due o tre anni prima di defungere definitivamente, e gloriosamente, sulla salita dalla Pila a Sant'Ilario. Mi dissero che mia zia Egle pianse lacrime, pugni al cielo, santantonii, sanfilippi e porchemadonne. Tregge. Vecchie tregge, e se passate per quella strada e vedete una Vasca da Bagno targata Mantova, ricordatevi di questa storia, della vecchia Agedabia sia somara che Prinz, e anche di mia zia che oramai viaggia per strade tutte sue.




La macchina de' Gang (e l'inno del Treggia's Blog)





Metti una sera piovigginosa, uggiosa, noiosa d'ottobre; un classico dei classici che in questo ottobre fiorentino, fatto perlopiù di giornate assolutamente splendide e assolate non ha avuto -fortunatamente- molta cittadinanza. Un TT notturno nelle vicinanze per scoprire, nel recondito parcheggio d'una via dedicata a una madonna (no, sia chiaro, non è Via della Madonna a i' Buio, come mi sta suggerendo uno dei miei simpatici dèmoni custodi) questa macchina che, stante la primordiale targa marchigiana e certe associazioni di idee che non sto a spiegarvi tanto sono complicate, ho subito chiamato la macchina de' Gang. Non c'è cristo che tenga, come con i famosi chiodi Marelli: è lei e basta. Ora, però, per le gentili lettrici e lettori del TB, ci sarà da spiegare chi sono, questi Gang la cui macchina verde ho deciso motu proprio che fosse parcheggiata in una via della madonna.


Presto detto. I Gang sono una band musicale, forse la migliore rock band militante italiana. È formata da due fratelli, Sandro e Marino Severini, entrambi per l'appunto nativi di Filottrano, in provincia di Ancona. Gente che suona assieme da quando avevano tredici o quattordici anni, e che hanno prodotto (integrandosi con tutta la scena combat italiana e internazionale, Clash compresi) dei capolavori come Le radici e le ali, Storie d'Italia e Fuori dal Controllo (piccole notazioni che mi permetto di dedicare anche all'amico Harmonica, che linka il TB sul suo Call of the West). E poiché ho la fortuna di averli conosciuti personalmente entrambi, i fratelli Severini da Filottrano, e di averli sentiti suonare e cantare una barcata di volte, ci scappa anche un saluto se per un remotissimo caso leggessero questo blog dove ho loro attribuito un Maggiolino verde trovato all'Isolotto.

Non sarebbe completo, questo post treggio-musicale, se non vi facessi ascoltare almeno il loro capolavoro, la più bella canzone militante in lingua italiana. Si chiama Sesto San Giovanni. Ascoltatela e basta. Non vi dico altro. Una canzone di lavoro, di classe, di dure periferie, di lotta, di speranza. Non posso fare a meno di ascoltarla, ogni volta, con dei brividi. Sempre per certe complicate associazioni d'idee, mi verrebbe da farne l'inno del Treggia's Blog; ma forse, ripensandoci, non è così complicato capire perché.

giovedì 29 ottobre 2009

Guadando





E siccome già ero sull'isola, a un certo punto mi sono accorto che c'era un nuovo arrivo. No, questo non ce lo avevo mai visto prima; evidentemente ci dev'essere arrivato al guado da qualche parte, come si confà ad una Land Rover un po' più rassicurante di quella di qualche giorno fa (nonostante il frontale decisamente aggressivo da safari africano con tanto di turista di Cinisello Balsamo sbranato da una leonessa). Ad ogni modo, mi rifiuto di non cogliere l'occasione per segnalare a tutte e tutti che questo è un vero fuoristrada, di quelli di una volta, col fango incrostato autentico (e spesso secolare, anche se qui dev'essere stato disgraziatamente ripulito), con le marciacce ridotte (ivi compreso il famoso "primino"), col blocco del differenziale e con una velocità massima di 85 kmh lanciato a rotta di collo sull'autostrada. Di quelli, come si dice a Firenze, che sàrgano anche su' muri (NB: sàrgano non viene dal verbo *sargare, ma vuol dire salgono). Provateci un po' a salirci con un Ssangyong, su un muro, sempre che la doppia "S" iniziale non vi abbia fatto desistere già in partenza, oppure con uno dei tanti rinnegati, tuareg, qashqai (qashqasti, qashqò), sorenti o cajenne che ammorbano le nostre strade (e le nostre esistenze). Provate non dico a farlo guidare, ma semplicemente mettere in moto ad una delle mefitiche mammine che portano il pargoletto a scuola (distanza: 540 metri da casa) a bordo del suvviello di casa, parcheggiando in quadrupla fila, compiendo manovre degne d'un film dell'orrore e procedendo a 20 all'ora per paura di sciupare il prezïoso automezzo che sarà terminato di pagare nel 2044. Qui, invece, signore e signori, c'è persino l'adesivo del Camel Trophy, una cosina in cui i fuoristrada erano chiamati a far lacchezzi del genere:


Ok, cazzo, quanto mi mancava una tiratona di quelle sode contro i SUV!

Che coppia!


Tra i più comuni accumuli di tregge ci sono i parcheggi ricavati a mo' di "isola pedonale", in mezzo agli spartitraffico. Autentiche isole, sono prediletti per il lungo stazionamento di automezzi delle vicinanze, che in alcuni casi si ritrovano sempre lì da anni. Questo, ad esempio, è lo stesso parcheggio-isola già abbondantemente visitato fin dai primordi del TB, e noto anche per le sue cose aliene (e si noti che, nella prima foto della "cosa", si rivede la Campagnola già fotografata): e la coppia d'assi che qui presento, lo devo dire, era già là anche il 1° giugno scorso. Come un ritrovo di vecchi amici, insomma. Gioco forza, ad un certo punto ritrarle assieme; anche perché un Cinquino e una Renault 4 sistemate una accanto all'altro sono sempre un bel vedere per qualsiasi Treggista. La targa del Cinquino begio (fiorentino per beige, plurale begi) ha mancato di non molto l'inserimento nelle "Targhe Particolari"; quella della R4 trasgredisce un po' la regola basilare di questo blog, ma una R4 si fotografa sempre e comunque.

martedì 27 ottobre 2009

Special, Quadratini, Striscioline




Devo avere già parlato, nel TB, di come certi modelli Fiat subirono, in un dato periodo tra gli anni '60 e '70, la trasformazione in Special. In realtà, si trattava di effettive migliorie nella meccanica e negli accessori delle berline, a volte lievi, a volte sostanziali; nella carrozzeria, invece, era necessario non alterare mai troppo la riconoscibilità di un modello già consolidato.

Si ebbero così "Special" assai riconoscibili, come nel caso della 124, ed altre che invece differivano solo per pochi particolari, come nella 85o. Una 850 Special, tra le altre cose, fa parte del "patrimonio storico" della mia famiglia: mio padre, dopo avere avuto un disgraziato "primo modello" blu notte (acquistato nel 1964 e targato FI 26 e qualcosa) consegnatogli dopo aver subito un incidente sulla bisarca che lo trasportava alla concessionaria, acquistò nel 1969 una "Special" giallo pallido targata FI 449929. Avercele avute ora!

Anche la 127, rispetto al suo primo modello, ebbe ad un certo punto la sua brava Special, di cui ecco un esemplare con tutte le sue brave "specialate" esterne. In sintesi, si possono definire come nel titolo: Quadratini e Striscioline. I quadratini della calandra del radiatore, e la "classica" strisciolina laterale, che faceva tanto "special".

ACAB



Giravo senza meta per la notte, quando mi sono imbattuto in quest'auto con targa tedesca. Ed è proprio la targa che interessa qui, solo lei. Non l'auto. Ma pensa te, una macchina targata ACAB. Sapete che cosa vuol dire ACAB? Vuol dire, sui muri delle città, questa cosa qui:


Aspettate, aspettate. Non vi sconfinfera? Vi sentite indignati? Io mica tanto, sapete. Anzi, per nulla. Perché su quella targa tedesca vedevo delle Reti Invisibili. E i volti di tante ragazze, di tanti ragazzi. Come questi:





Sfumature




Se c'è qualcosa che mi manda spesso in crisi, sono le sfumature dei colori. Così, quando mi son visto davanti questa roba qui, che ha colpito i miei occhi come un cazzotto di Tyson, non sono stato a farmi tante domande: è una A112, è vecchia (anno 1975, per la precisione), è pure Abarth, è verde.

Già, verde. Ma quale verde? Pistacchio? Pisello? Non ci ho mai capito un accidente. Anche perché sono ragionevolmente certo che almeno qualcuno della famiglia o dell'entourage del proprietario la abbia, fin da subito, soprannominata La Verdona o roba del genere. E così sia. Delle sfumature si occupi qualcun altro, l'importante gli è che la Verdona continui a verdeggiare per ancora un bel po' di tempo con tanto di davanti acciaccato.

domenica 25 ottobre 2009

Pigiati n'i' Clèbbe a randellate





La chiamavano tutti quanti Mini Minor Familiare, anche se, a rigore, per farci star dentro una famiglia intera ci sarebbero voluti i famosi pigiapasseggeri della metropolitana di Tokyo, e a condizione che la statura massima dei membri della famiglia in questione non superasse 1 metro e 45; insomma, se il pater familias fossi stato io, ne avrei agevolmente sfondato il tetto col capo. Però la denominazione ufficiale della stupefacente vetturetta inglese commercializzata in Italia dalla Innocenti, era Mini Minor Club. Come mai dovesse essere proprio Club (in fiorentino: clèbbe, plurale clèbbi) non è dato saperlo, visto che, se qualcuno in Inghilterra si fosse azzardato a presentarsi alla porta di uno dei famosi, esclusivissimi e pallosissimi clubs per i quali è nota la perfida Albione con una macchina del genere, sarebbe volato nel Tamigi con tutta la vettura. Però, ricordandomi di essere stato un tempo un notissimo linguista & glottologo, vado ad azzardare un'ardita ipotesi.

Bisogna infatti ricorrere all'etimologia: in lingua inglese, in origine, club significava randello, bastone, mazzuolo. E di che cosa sono fatti normalmente i randelli, i bastoni e i mazzuoli? Ma di duro legno, caspiterina! E si notino allora, alla luce di questa rivelazione, le guarnizioni della parte posteriore della vettura, tutte quante di buon legno ricavato sicuramente da nodosi randelli fabbricati disboscando un'intera vallata del Sussex: da qui non soltanto il nome (l'auto dovrebbe dunque chiamarsi italicamente Mini Minor Randello), ma anche l'inconfondibile aspetto di cassapanca semovente della vettura, che qualcuno ha definito anche madia su 4 ruote o, più perfidamente, carro funebre per nani. E, vista la targa "47"...

Piacenza Highway Revisited


Qualcuno potrebbe obiettare, e con qualche ragione, che questa foto non è un granché. Però, di motivi per metterla nel TB ce ne sono almeno tre.

Il primo, è che la foto è stata presa al volo sull'autostrada, cosa in sé notevole. Uscita Piacenza Sud sulla A1: tutti avranno ormai capito che c'è di mezzo una certa piasintëina, la stessa che tentò (inutilmente) di non farmi placcare il motociclista storico all'Elba. E poiché io sono di una squisitissima e leggiadra parzialità, e che metterei qui dentro una foto scattata da costei anche se ritraesse un'automobilina a pedali, les jeux sont faits.

Il secondo è che (non vorrei essere ripetitivo ma ebbene sì, lo sono), la mia assoluta e dichiarata mancanza di imparzialità, con accenni di prepotenza, di nepotismo e di faziosità, mi impone di inserire questa foto, dalla quale peraltro risalta anche un bellissimo cruscotto che non mancherà di far la gioja dei numerosissimi amanti dei cruscotti sparsi per il mondo. O non sapevate che esiste pure, non mi ricordo dove, un'Accademia del Cruscotto?

Il terzo motivo è il seguente: nella mia più agghiacciante assenza di obiettività, questa è per me una foto meravigliosa, bellissima, stupenda, deliziosa e anche piuttosto favolosa; e se non siete d'accordo, pigliate la vostra bella fotocamera digitale e andate a fotografarle voi, le tregge al volo sull'autostrada.

Questi i tre più che validi motivi per l'inserimento di questa foto.

Poi ci sarebbe magari anche da dire che, tutto sommato, vi si riconosce, lontana lontana, un'Alfa Romeo 1300 GT Junior, e che questa è una macchina che meriterebbe di essere qui dentro anche se ripresa da un satellite in orbita; peccato solo che non si veda la targa (ma, forse, sarebbe stato chiedere troppo).

In definitiva, un post altamente democratico dal quale risalta tutto il mio equilibrio. No? Non è così? Pazienza!

sabato 24 ottobre 2009

Avviso campagnolo


Quando si cerca qualcosa su Google, è bene sempre usare le virgolette. Ad esempio, mettiamo che stiate cercando qualcosa su una Campagnola, e su certe sue caratteristiche: basta digitare, che so io, "Campagnola del 1971", oppure "Campagnola dei Carabinieri" o roba del genere. Questo vi servirà ad evitare, se avete certe pulsioni erotico-bucoliche, di ritrovarvi davanti ad un vecchio fuoristrada arrugginito.

Lo dico, perché spulciando tra le chiavi di ricerca di questo sito, mi sono accorto che qualcuno vi si è ritrovato sbattuto dentro ricercando, senza virgolette, la seguente cosa: campagnola presa di forza. E dubito fortemente che cercasse vecchie automobili, a meno che la sua particolare perversione (o trasgressione) non consista nell'immaginare stupri di jeep ottuagenarie, o violente sodomizzazioni di una Land Rover. Oddio, in questo pazzo pazzo mondo tutto ci può stare; però rimango convinto che l'ignoto cercatore preferisse Ilona Staller vestita (vestita?) da innocente fanciulla del contado, fare qualche malestro alla campagnolissima Grace Kelly...

venerdì 23 ottobre 2009

Sicilia bedda




Vitti na treggia supra lu straduni,
fui curiuso e ci vossi spiare
idda m'arrispunniu sgranandu l'ogghi*:
“Ma che mi metti supra 'u Treggiabblogghi?”

La la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la

*licenza poetica