giovedì 29 aprile 2010

L'Infrangibile





A Piacenza esiste un quartiere dal nome, probabilmente, unico. Si chiama L'Infrangibile, e con quel suo nome vagamente sovietico è in effetti un residuo baluardo popolare in una città che, ahimé, nonostante le sue antiche tradizioni antifasciste si va sempre di più leghizzando. Con la sua Cooperativa (un locale assolutamente fantasmagorico, di cui avrò modo di parlare ancora qua dentro e altrove), me ne sono letteralmente innamorato.

Proprio in una sera in cui io e la piasintëina ce ne andavamo alla Cooperativa dell'Infrangibile per una serata di appoggio al Nicaragua (ebbene sì, esistono ancora di codeste serate...) che poi si è risolta in cospicui assaggi di pìcula de caval (tipica specialità di Managua, da accompagnarsi al celebre vino nicaraguense Guturnios de Val Tidón), ecco che si è presentato il consueto problema: il parcheggio. La piasintëina, come macchina, non ha una treggia: ha una specie di Boeing 747 a GPL, che occupa perlomeno lo spazio di due R4. Cercando così un posto qualsiasi nelle vicinanze, il Dio dei Bivi ci ha guidati verso Colei. La vera e propria Treggia dell'Infrangibile.

La quale, infrangibile, dev'esserlo sul serio, al pari del quartiere. Come definire altrimenti questa stupenda Peugeot 204 (del 1973, e in pieno bathtub style in voga all'epoca) che, dalla vicina bassa Cremonese è venuta a incocciare nel Treggista fiorentino in trasferta? C'è tutto un gusto scomparso, in questa vettura. Sa di Ugo Tognazzi e di domeniche mezze zingare. In fondo, ha trovato il suo posto adatto, e anche la serata adatta per farsi incontrare da uno spampanato èssere alla ricerca di chimere a quattro ruote.

Di chimere a quattro ruote sì, ma con le sue regole. E, infatti, la regola del 17 non si è voluta smentire. Ancora una macchina targata 17. Il superstizioso comincerebbe, qui, a toccarsi seriamente i coglioni!

Blitz al semaforo


La regola dei semafori rossi vale anche a Piacenza: ne è testimone questo Maggiolino blé elettrico che, quanto a targa, fa pendant con un piasintëin trovato a Firenze. Oh, si vede che quando a Piacenza erano sul 15 tutti compravano i Maggiolini!

Nella foto si vede una bella coda a un rosso, alle porte della città Farnesiana (e anche del comandante partigiano anarchico Canzi, sono lietissimo di ricordare). E così, anche lassù qualcuno ha avuto il piacere di vedere il Treggista all'opera in tutto il suo splendore: giù dalla macchina, Kodak alla mano, e clìc. Tutto di corsa e al volo. Mi chiedo se, forse, qualcuno di quegli impareggiabili quotidiani locali che imperversano un po' ovunque in provincia (tipo Il Gazzettino di Cairo Montenotte, L'Eco di Sala Consilina o Il Corriere di Montaione) abbia riportato la notizia:

MISTERO ALLE PORTE DI PIACENZA
Losco individuo fotografa Maggiolini a un semaforo rosso
Che cosa ci sarà dietro?

(Segue dettagliata intervista al maresciallo della stazione dei Carabinieri).

Tiro al piattello




Ed eccoci, nel nostro saltapicchiare da un posto all'altro, di nuovo a Piacenza & dintorni, dopo l'epica saga di Pontenure che ha segnato un momento importante del TB. Stavolta siamo, io e la piasintëina, nientepopodimeno che in riva a un lago artificiale (con la relativa diga) che serve agli appassionati per fare il tiro al piattello. Non sto scherzando: sulle rive del bacino è sistemato un impianto specifico, e l'intera vallata risuona di spari. I piattelli vengono lanciati sul lago, e spero che siano fatti di un qualche materiale commestibile dai pesci perché, altrimenti, il bacino si riempirebbe di milioni di dischetti! Per il resto, torme di motards che si fermano all'Osteria dei Quattro Venti: il fatto è che, per un capriccio del destino, ci siamo capitati esattamente alle 4 e 20 di una domenica pomeriggio, e quindi è stato un attimo ribattezzare il locale Osteria delle Quattro e Venti. Poteva, in tutto questo complesso di cose, di piattelli, di laghi, di pesci, di spari e di motociclette, mancare una bella treggia servita mentre mi mangiavo un panone con la coppa e mi bevevo un bicchierone di barbera? Assolutamente impossibile. Le tregge capiscono quand'è il momento adatto per comparire. E, infatti, un'Alfetta del '78, tutta bella blé quasi a sembrare un'auto di un pezzo da 90 del tempo che fu, si è premurata di parcheggiare in riva al lago dei piattelli per tutto il tempo necessario a farsi fotografare.

Tregge sovrapposte


Beccare una GTV Sprint fa sempre bene e anche un certo nonsocchéne, perdipiù proprio davanti al posto in cui lavoro. Infatti questa foto al volo è stata scattata proprio dal purmino de' socialoni, come lo chiamiamo in gergo interno. Tanti anni fa ce l'aveva, una GTV sprint (poi sostituita da una ben più prosaica e ordinaria Opel Tigra), un pensionato che prestava talvolta servizio da noi, cui va un caro ricordo dato che oramai è tra i più da un po' di tempo.

Qui la particolarità è doppia, in tutti i sensi. Tregge sovrapposte. La GTV rossa (!) sul carrattrezzi che la trasporta chissà dove, e un carrattrezzi è sempre e di per sé una treggia, anche se nuovo di pacca (e questo non era nuovo).

Eccezione




Come si evince da altri post del TB contenenti Arfasùdde (un'arfasùdde, du' arfasudde in fiorentino, col plurale invariabile dovuto al genere femminile anche se almeno un paio di volte ho sentito qualcuno dire 'e gli era tutto pieno d'arfasùddi della pulizzìa), non ho una particolare simpatia verso questa pur storica vettura. Però c'è sempre qualche eccezione. Questa, ad esempio: dovuta sì alle sue epiche sbollature di vernice, sì alla sua targa romana ché le romane in riva all'Arno mi stanno simpatiche a priori (e qui siamo sul serio in riva all'Arno), ma soprattutto al fatto d'averla colta, un tardo pomeriggio del marzo scorso a passeggio con la piasintëina, in una certa via dedicata -diciamo- ad un noto e scomparso cantautore genovese, autore di canzoni che parlavano di bocche di rosa, di gorilla, di domeniche delle salme e d'altre cose. Via che, tra le altre cose, parecchi anni fa fu protagonista di un mio curioso episodio che non vi sto a raccontare, ma che ha avuto un'influenza forse decisiva nella mia vita: proprio là sotto, infatti, decisi che la vita va sempre e comunque vissuta, in qualsiasi modo la vada, e fino all'ultimo tiro di fiato. Ce n'è abbastanza per riservare a quest'arfasùdde romana (e dire che, in quell'episodio là, la città di Roma c'entrava eccome, anche se estremamente a modo suo) lo spazio e anche la simpatia che merita, sempre a ingenerar ricordi come pioggia di meteore.

L'Apino del mercato



Qui siamo proprio a du' passi da casa: d'accordo che uno dei princìpi del TB è il non far riconoscere (o il non far riconoscere troppo) dove siano state scattate le fotografie, ma stavolta un doveroso omaggio alla cara, vecchia, mercatosa, popolare e lottatrice piazza dell'Isolotto ci sta proprio bene. La piazza dell'Isolotto che è nella storia del '68, la comunità di Don Mazzi -sacerdote antifascista la cui messa di Natale del 1968 fu interrotta da una squadraccia-, e tutto il resto; e il suo mercato, la sua loggia, l'edicola che espone tra le locandine Umanità Nova e Il Bolscevico. Sì, ci sta proprio bene quest'omaggio, e anche questo vecchio Apino avvezzo a lavorare, a trasportare cassette di carciofi e di pomodori, probabilmente immortale. Ché bisogna aver presente una cosa. Il Treggia's Blog è in buona parte frutto della mia mentalità isolottina. Difficilmente sarebbe potuto venir fuori da qualcuno, che so io, del Campo di Marte o di altri quartieri fiorentini. Isolotto forever, coi suoi mercati, i suoi Apini e la sua storia povera e ricchissima al tempo stesso. Sono fiero di abitarvi e di farvi parte.

mercoledì 28 aprile 2010

Contrasti



Il TB ha sicuramente molti difetti, ma altrettanto sicuramente ha pure qualche pregio. Una delle sue principali doti, e lo dico con occhio perfettamente distaccato, è la sua assoluta democrazia, il suo ugualitarismo. Il Treggista emette sovente giudizi, anche estetici, ma non nega mai la presenza a nessun automezzo: e ciò crea salutari contrasti. Dopo il capolavoro, può benissimo esserci il lavoro. Quello gnudo e crudo. Quello, ad esempio, di questo Fiat 238 sgarrupato e dall'uso imprecisato, ma comunque lavorativo. Non si sa bene che cosa sia l'arnese presente in alto, sul retro: una telecamera? Un microfono? Boh. Nessuna scritta sulle fiancate. Niente. Solo un mezzo che deve aver macinato chissà quante decine di migliaia di chilometri per servire a qualcosa, con tanto di guarnizione rotta che fuoriesce dallo sportello posteriore destro. Conoscendo il 238 alla guida, mi immagino i bicipiti che i suoi guidatori si devono essere fatti con quel popo' di sterzo malefico che ha. Contrasti, appunto. C'è di tutto, e tutto ci deve essere.

martedì 27 aprile 2010

Esmeralda



Come sicuramente avrete notato, questo aprile del 2010 è il mese record in assoluto del TB quanto a inserimenti: e ancora non è finito. Il fatto è che, fra foto personali e contributi esterni, non so più dove rifarmi. Intanto, proseguendo nella cotidiana opra, torno per un momento ai cari vecchi Maggiolini con questo esemplare dal colore che trovo assolutamente e allegramente commovente (è del dicembre del 1971). Ultimamente, e specie per i Maggiolini, ho preso a soprannominarli quando li vedo (e li rivedo: gli avvistamenti ripetuti di tregge già inserite nel blog sono davvero roba di tutti i giorni). Per questo non può essere che Esmeralda; prima o poi le troverò il suo Quasimodo...

lunedì 26 aprile 2010

Di ruote e sogni



Era un po' di tempo che la sezione "Cose" non andava avanti; ed ecco finalmente, grazie ancora a Simone, una vera e propria "Supercosa". Una Supercosa sì, ma anche un "mezzo speciale", anzi specialissimo: un mezzo anfibio. Lo avevate mai visto, voi, un anfibio? Beh, se vi consola, devo dirvi che non lo avevo mai visto manco io; e la cosa ha una valenza ancor maggiore, dato che l'anfibio era uno dei miei sogni di bambino. Andar per strada e per mare, e immaginatevi cosa voleva dire per un ragazzino che ha passato tutta la sua infanzia a mollo. Da qui i miei frequentissimi giochi in vasca da bagno, dove letteralmente alluvionavo tutte le mie macchinine. Un godimento senza pari. Mi mettevo nella vasca vuota con due o tre macchinine (specie quelle in plastica della Norev); poi aprivo il rubinetto e le lasciavo pian piano allagare, sommergere e via discorrendo. Ovviamente erano tutte anfibie.

Però, come sempre, è bene lasciare direttamente la parola a Simone per questo suo terzo e assolutamente incredibile conributo al TB. E, come si vedrà, anche per lui c'entrano ricordi di ragazzino...cose in comune, insomma, a tutti i Treggisti.

"Rieccomi!
Era nei miei ricordi di fanciullo ed infatti trovo su Google che lo presentarono nel 1967 (eh, sì, sono abbastanza "diversamente giovane" da ricordare dall'alluvione del '66 in poi!). Siore e Siori ecco a voi: un anfibio Argo 8x8!
Che roba è dirai tu (ma sei del '63 e magari ti ricordi qualcosa) e allora eccolo! Un po' mesto con le suo gommone sgonfie, parcheggiato in un cortile di un'autofficina di Barga (LU) ad attendere invano un proprietario molto ricco che ha tante auto da non avere tempo per lui. Credevo che non li facessero più e che fossero così dei pezzi di storia da ricordare, ma vedo che la ditta canadese è viva e vegeta ( http://www.argoatv.com/ ). Lui mi piace, sarà perché era nei sogni ad occhi aperti di un bambino che voleva girare il mondo, partendo da casa e andando a vedere dove finiscono le strade e da lì proseguire magari con un "gommone" così che non si ferma neanche in acqua, ma, a dire la verità, quel sito così "macho", tra cacciatori e veicoli da militari, mi è piaciuto meno...
Certo una giratina, nella vasca a 8 ruote che si guida con le leve come i cingolati, l'avrei fatta volentieri!
Ricordo che a suo tempo (febbraio 2009) chiesi anche se lo vendevano, ma il meccanico appunto mi parlò di questo riccone del posto che lo tiene da briccone! Mi disse che lo usava una volta all'anno per andare su non so quale lago."

Che dire? Il suo proprietario riccone se lo tenga pure e ci vada una volta all'anno sul lago; ma a noi, e lui non lo saprà mai, ci fa ricordare, e sognare.

sabato 24 aprile 2010

A Treggiaman's Spring Dream (FF/04)


Fermi, fermi. Ma che ci fa il vostro Treggista preferito, vale a dire il sottoscritto, alla guida di quella cosa là...? Facendo pure un inequivocabile gesto con la mano...? O che cose le son queste...? Forse che, a furia di fotografare tregge su tregge, una gli si è finalmente materializzata sotto il culo...? In effetti, ad un certo punto è comparsa per la strada:


Comparsa sì, e in tutto il suo splendore, in una bella domenica primaverile. Tutto quadrerebbe: il sogno primaverile del Treggista, la vettura che si materializza e il Treggista che s'invola via per le nuvole salutando cerimoniosamente. Bella storia. Peccato che la vettura in questione si sia sì materializzata, ma guidata dal legittimo e fortunato proprietario; e che il Treggista, trovandosi colà in servizio lavorativo, si sia limitato a chiedere assai cortesemente e umilmente il permesso di sedersi per un momentino alla guida per farsi fotografare e coltivarsi una minuscola illusione di un minuto e mezzo. A bordo di questa cosa qui, che poi è una Fiat Balilla del 1932:




Ecco qua. Un minuto e mezzo, che mi piacerebbe descrivere come di pura emozione o roba del genere. Purtroppo, quando c'è di mezzo il sottoscritto, anche l'emozione deve far conto con le dimensioni. Non credo abbiate presente una Balilla del 1932, e fino a quel momento non l'avevo presente nemmeno io. Evidentemente, nel 1932, le dimensioni dei pochi italiani che avevano un'automobile dovevano essere assai ridotte. Per infilarmici dentro, e coltivare il minuto e mezzo di emozione, mi son dovuto esercitare seduta stante nell'arte del contorsionismo; poi è stata scattata la foto che mi ritrae alla guida (in realtà non ci ho fatto nemmeno un centimetro perché non saprei nemmeno come si mette in moto, una vettura del genere...), ed è arrivato il terribile momento in cui sono dovuto uscirne.

Dire che la scena è stata da Ridolini, o da Oggi le comiche, non rende bene l'idea. Mi ci ero letteralmente incastrato dentro. Ad un certo punto il proprietario della vettura, che non deve valere pochino, si è messo le mani nei capelli. Ho dovuto prendermi da solo a cazzotti le gambe per sortirne fuori; alla fine ce l'ho fatta, in preda a dolori articolari atroci e con il proprietario che ringraziava la Madonna, Padrepìo, Sant'Antonio da Padova e Santa Rita da Cascia per lo scampato pericolo.

Ma resta quell'irripetibile minuto e mezzo, e una foto che mi ritrae vestito a bischero dentro quella nuvola blu targata Bergamo; le son le piccole meraviglie de' pòeri.

venerdì 23 aprile 2010

Tregge parallele





Le tregge, a volte par che si chiamino. Mi spiego; non è la prima volta che mi succede. Passo da una strada qualsiasi, e ne trovo una parcheggiata; nel caso specifico, il Cinquino tetesko del post precedente. Scendo dal mezzo in cui mi trovo, mi piazzo, fotografo incassando a volte qualche sguardo un po esterrefatto (o interrogativo; per quanto sia un gesto insignificante, per la gente non rientra negli schemi osservare un tizio che fotografa delle automobili) e festa finita. Poi mi accorgo all'improvviso che a pochi metri c'è un'officina aperta, e l'istinto di treggista mi spinge ad entrare. La solita, familiare, rassicurante penombra dei vecchi meccanici di sobborgo, e il loro silenzio. E, in un angolo, c'è molto spesso qualcosa: come questa Lancia Fulvia del 1972 tutta bardata da rellì, Sanremo e numero novantasei, e anche qualche particolare ricordo strano che ai suoi tempi seppe essere doloroso. Tregge parallele, chiamate, associazioni e la penombra che sfuma mentre risalgo e proseguo; cose che accadono quando non ci si ferma volentieri all'apparenza delle cose.

giovedì 22 aprile 2010

Nienburger Halbsack



Jawohl, in Tredschas Plok es gibt viele Cinkwinen, aber sie han den Defekt zu esseren tutten Italianen! Infece era l'Oren von einem deutschen Cinkwin, kon tanten di tarka von sperdüten Cittadinen von Passa Sassonia, Nienburg (ke in Realtät ai tempen von Kortinen di Ferren si kiamafa Nietburg). Ora, es würde bisognieren zu vederen ke Katze ci fä ein Cinkwin getargaten Nienburg zu Florenz, geparkeggiaten in plenen Faentinerstraße e pertipiü tafanten a Bandonen abbassaten; ein wirklich Mysteren! Aber sikkomen a me von deutschen Mysteren es freghet mich den Giusten, das heißt nienten, ich habe mich limitiert zu fotografieren diesen wunderbaren Halbsack ripromettend mich zu kontrollieren wo der Teufel es trowet sich diese Nienburg: für Fortunie es gibt Wikipedien, die Bibbie der sperdüten Cittadinen und Paesen im Arsch der Welt!

Pampalea a quattro ruote




Ed eccomi, dopo la lunga parentesi piacentina (anzi, pontenurese), di nuovo a Firenze. Con questa vettura molto ma molto spàide, trovata a notte in riva all'Arno, e talmente nera da indurmi a farne un sentitissimo omaggio treggistico alla gatta Pampalea. Del resto, questo è o non è l'Asocial Network? Quindi, tutti per uno e uno per tutti.

Nel Network, la gatta Pampalea deve sorbirsi spesso i compiti più ingrati: girare per la città (e non è escluso che, prima o poi, anche lei trovi una bella treggia...), comporre parodie, stilare resoconti sulle visite di gatti alieni...insomma, povera gattaccia nera, mentre il Venturi se la spassa a scrivere raccontini su strani tedeschi e a fotografare vecchie macchine, lei si sobbarca tutto il lavoro sporco.

Quindi, una bella Duetto nera fiammante tutta per lei, con la certezza che, all'occorrenza, la saprebbe mandare alla perfezione!

Robb de matt...


No, non avete preso un abbaglio: la Porsche bianca che vedete nella foto, ripresa evidentemente sulla A1 in prossimità della Chiesa dell'Autostrada opera di Giovanni Michelucci, è esattamente la stessa del post precedente, con le foto da me personalmente scattate al borgo di Vigoleno (Piacenza). Forse vi starete chiedendo che inghippo c'è sotto; presto detto. La foto in questione è stata scattata il 26 marzo scorso dal webmaster di Io Non Sto Con Oriana, blog/sito che si occupa di tutt'altro che di tregge; oggi me la ha mandata rivendicando orgogliosamente di "essere arrivato prima lui" e profferendo oscure affermazioni riguardo a Papeete (luogo dove vorrebbe evidentemente andare invece di doversi recare ogni mattina a lavorare a Praato!). Insomma, comunque sia un caso veramente unico: la stessa treggia fotografata in date diverse, in luoghi distanti 250 km l'uno dall'altro, e a perfetta insaputa reciproca. Un episodio che merita di essere immortalato dal TB, anche a costo di...proporre un doppione!

mercoledì 21 aprile 2010

Appendice medieval-treggistica



E, insomma, ripartiti da Pontenure, io e la piasintëina siamo approdati (dopo una mia epica dormita in macchina, ché quando mi addormento lo fo sul serio) in un posto insolitamente bello. Si chiama Vigoleno, sembra che ci abbiano girato il film Ladyhawke con Rutger Hauer, ed è un borgo medievale veramente di tutto rispetto. Mi veniva da dire: la Monteriggioni piacentina (dato che vicino a Monteriggioni ho abitato per un po' di tempo, ed è un posto che conosco bene).

La cosa ha anche una ben precisa valenza treggistica. Pareva proprio che, dopo l'officina Marcotti, quel sabato miracoloso non volesse finire mai. Una ben precisa valenza, ed anche assai curiosa: vedendo infatti la targa della Porsche 911 Carrera (del 1972), si potrebbe ragionevolmente pensare d'essere più a Monteriggioni che a Vigoleno. Ma dev'essere una specie di solidarietà, di fratellanza treggistica tra pittoreschi borghi medievali: la Carrera senese è finita a Vigoleno. Dove fanno peraltro un Gutturnio veramente da applausi.

Ciò pone anche una curiosa questione: una "treggia piacentina" targata Siena? Ma, del resto, a Firenze stessa ho reperito almeno un paio di tregge targate Piacenza, e quindi si impone il principio della localizzazione, dell'avvistamento. Quanto alla Porsche in sé, debbo dire che -pur riconoscendo il suo valore intrinseco come vettura- non gode da parte mia di eccessive simpatie. È una macchina storicamente e organicamente nazista. Negli anni '70 era la classica fuoriserie da fasci ricchi. Non per niente Jean-Paul Sartre, alla fine dei Sequestrati di Altona, opera capitale sul mancato saldo storico nei confronti del nazismo da parte della Repubblica Federale di Germania, fa suicidare i due protagonisti a bordo di una Porsche. Un simbolo che non mi è mai piaciuto, e che continua a non piacermi.

Ciononostante, treggia è; e treggia di non poco conto. Col tempo, però, persiste nel non assumere nessuna connotazione simpatica.

La saga di Pontenure (8/fine): Il Grande Sonno




Le foto che vedete sono sicuramente tra le peggiori del TB, e al tempo stesso tra le più emozionanti. Con l'America era iniziata la saga di Pontenure, il paese di Cavanna tra la via Emilia e il West, e con l'America si conclude.

Tra le peggiori foto, certo. Per farne di migliori, sarei dovuto o salire sul carro funebre (che si vede nella foto in basso), o essere un provetto contorsionista; la vettura è incastrata in un modo tale nel retroofficina del signor Marcotti, che altro non era proprio possibile fare. È un peccato, lo so. Mi sarebbe piaciuto documentare in modo degno questa macchina che sta dormendo ancora il suo Grande Sonno in attesa che le magiche mani del signor Marcotti la restituiscano al suo splendore e, me lo si lasci dire per una volta, al suo rango.

Si tratta di una Studebaker del 1954. Un nome che è letteratura (e cinema, ovviamente). Di quei nomi di automobili che chiunque abbia letto, ad esempio, i romanzi di Raymond Chandler con protagonista il detective Philip Marlowe, ha ben presenti; solo che ha ben presenti i nomi, appunto; parafrasando Umberto Eco, qui si potrebbe ben dire stat autocinetum pristinum nomine, nomina nuda tenemus. Nudi nomi, finché un sabato d'aprile, a Pontenure, uno non si trova davanti ad una cosa del genere. In condizioni di relitto, certo; ma in quel momento tutto cessa comunque di essere soltanto un nome, un'immaginazione, un fotogramma. Se la Studebaker di Marlowe, o comunque di qualcuno che interviene nei suoi romanzi, è stata fino a quel momento un'entità astratta, riacquista qui la sua concretezza.

Il Grande Sonno, un giorno, avrà a terminare. Si rivedrà anche la Studebaker, capitata chissà come a Pontenure, rombare per la via Emilia; non credo che le dispiacerà. Assieme a quel pezzo di vecchia Aurelia che va da Grosseto a Livorno, è la strada più americana d'Italia. Guccini, la Gilera, la California, il Sorpasso...tutto davvero quadra. A volte mi viene seriamente da pensare che i nomi sui libri non siano altro che un presagio, che un anticipo della sorte. Un sabato pomeriggio assolato, il cerchio si chiude e non importa se è un bizzarro cerchietto costellato di vecchie autovetture; le quali vi ho volentieri offerto in immagine, piacendomi pensare che non soltanto le abbiate gradite e ammirate, ma anche che vi abbiano -nel modo più acconcio alla vostra vita e ai vostri ricordi- movimentato quella mistura di sogni e di realtà che è l'essenza più autentica del dirsi essere umano.

martedì 20 aprile 2010

La saga di Pontenure (7): Il Caro Estinto




Pensavate che la Saga del paese di Cavanna fosse terminata? Lo pensavo anch'io, ebbene sì, dopo aver fotografato le motociclette. Sarebbe già stata una cosa eccezionale, anche se fosse finita lì. E, invece, il signor Marcotti, che oramai evidentemente si era convinto di poter rivelarmi tutti i suoi segreti, mi ha fatto accomodare nel retroofficina.

Ogni officina ha il suo retro; di solito vi sono stipati pezzi, attrezzi, gomme e quant'altro. In quello del signor Marcotti, invece, sono stati infilati, in un modo che mi sembra sfidare qualche legge della fisica, due altri automezzi. E questo che vi sto facendo vedere ora rischia seriamente di far diventare quello che sto scrivendo un cult-post; anche perché, quando l'ho visto, non ci volevo davvero credere.

Nel TB, oramai, c'è veramente di tutto; ma questo non me lo sarei mai aspettato. Un autentico carro funebre (del 1969), con tanto di paramenti tutti belli ammodino per accogliere degnamente le mortali spoglie del Caro Estinto. E, a questo punto, ho avuto pensieri contrastanti. Fermo restando lo stupore per trovarmi di fronte a questa Treggia del tutto insolita, da un lato provavo un ovvio rispetto ripensando a nebbiosi funerali sulla via Emilia, mentre le campane suonano a morto nella triste domenica pomeriggio; mentre, dall'altro, mi rivedevo la scena di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere, di Woody Allen, in cui c'è un sorpasso tra funerali. E siccome quel film lo vidi (assieme a mio fratello) tanti anni fa all'Universale, potete ben capire quali e quante contrastanti immagini mi si affollavano in testa.

Un Treggiafunebre, peraltro, è automezzo rarissimo di per sé. Per forza di cose, e per la sua particolare funzione, un carro funebre dev'essere sempre nuovissimo, impeccabile, tirato a lucido: sia mai che la salma avesse a lamentarsi! Del resto, quello è il suo ultimo viaggio... È quindi ben difficile vedere in giro un autofunebre che abbia più di due o tre anni. Sono, è vero, automezzi dai costi enormi: prima di tutto devono essere allestiti su vetture di un certo livello e di grosse dimensioni, senza ricorrere a furgoni che casomai hanno la ben più prosaica funzione di fare da carri-salma per gli obitori. Indi di poi, lo stesso allestimento e la manutenzione sono costosissimi. Ma, comunque sia, quella è un'attività che non conosce crisi e che non manca mai di clienti. Un carro funebre di oltre quarant'anni di età è assolutamente un pezzo unico, qualcosa che merita una categoria a sé nel TB anche se sarà improbabile che ne becchi mai un altro. Va detto anche che, non potendo fotografare la parte anteriore per palese incastramento, non ho bene individuato su quale autovettura sia stato allestito questo carro (anche se, in linea di massima, mi sembra una Ford Taunus).

In conclusione, deve essere specificato e sottolineato l'uso che ne viene fatto dalla famiglia Marcotti. Pare infatti che il figlio del signor Marcotti se ne serva per festeggiare degnamente la notte di Halloween. E non ho alcun dubbio che un Halloween cui partecipi il Marcotti junior sia una festa veramente indimenticabile. Altro che zucche americane. Gli fanno una beata sega, al carro funebre piacentino!

Termino esprimendo un desiderio. Siccome anche al vostro Treggista preferito, prima o poi, toccherà salutare, mi piacerebbe che in Galenzana mi ci portasse proprio 'sto coso qui. Senza nemmeno levare la polvere, senza preti e in tutta allegria. E siccome per andare in Galenzana non ci sono strade, che fosse provveduto senza ripensamenti a buttarmi in mare. Sarebbe davvero un degno funerale per un Treggista!

Nota importante: Il modello dell'autofunebre è stato poi da un intenditore, che ringrazio, riconosciuto come una Chevrolet Impala.

La saga di Pontenure (6): Bello col vestito della festa



Ditemi voi: potevano mancare delle motociclette, nell'officina del signor Marcotti Angelo? E visto che non potevano mancare, sarebbe stato possibile che almeno una non fosse stata una vecchia Gilera? Mi avrebbe stupito il contrario, anche tenendo presente che Pontenure è sulla Via Emilia, e che il West -tra furgoni International e Chevrolet Malibu- è lì a portata di mano. Fra la via Emilia e il West, insomma; e il buon vecchio Guccini è forzatamente assai presente in questo post. Con Piacenza ci ha una certa consuetudine, se sono state proprio le due vecchie ciminiere della centrale Enel a ispirargli l'immagine delle torri di fumo di "Un vecchio e un bambino"; quanto alla Gilera, beh, basterebbe ripensare a Bello, la canzone di apertura di Opera Buffa. Il bello col vestito della festa, che dopo aver troppo amato e risbattuto sulla panca la povera Sguazzinelli Argia (che sta lì in fondo alla via, al 123), risale al volo sulla sua Gilera. La quale, se fa i capricci, non può essere portata che da un signor Marcotti (sospetto fortemente che, lungo l'Emilia, ce ne debbano ancora essere diversi di meccanici del genere). Ed eccola qua, infatti. L'altra moto, lo confesso candidamente, non so cos'è. Sembra qualcosa a metà tra una Harley e un Betino a tre marce, ma non vorrei sembrare un iconoclasta all'appassionato che sicuramente la riconoscerà. E se la riconoscerà, mi scriva pure per dirmelo!

lunedì 19 aprile 2010

La saga di Pontenure (5): Mechanicus Præparator



All'interno della sua officina delle meraviglie, il signor Marcotti fa anche il preparatore. In quel particolare e sotto molti aspetti misterioso universo, il cosiddetto preparatore (mechanicus præparator secondo la classificazione linneiana) faceva spesso categoria a sé. È colui che, specialmente negli anni '60 e '70, prendeva una vettura qualsiasi (anche una Cinquecento, anche una A112) e la rendeva da corsa. Poi c'erano le gare settoriali tenute su mitici circuiti (chi si ricorda di Vallelunga, di Magione, di Pergusa...?), dove torme di sciùr Brambilla o di sor Projetti si misuravano all'ultimo sangue; per non parlare dei rallies (pronuncia: rèllis, ma è un sostantivo dalla flessione complessa in fiorentino. Al singolare si dice i' rèlli, plurale i rèlli, ma qualcuno dice i' rèllis pure al singolare. Ma ho sentito, seppure in rari casi, formare un singolare i' rèllo sul plurale i rèlli. Però c'è anche una variante i' rellì -con l'accento sull'ultima sillaba-, assai usata; plurale i rellì, sempre senza la "s"). Io stesso ho avuto un cugino, all'Elba, che correva nei rèllis e in particolare in quello dell'Elba, quando era abbastanza importante e quando la strada del Colle Reciso era una terribile mulattiera che rappresentava la principale prova speciale; ora, ohimè, è stata asfaltata e il rellì dell'Elba è stato declassato a una specie di malinconico raduno "storico"). Ci correva su una Fiat 124 Abarth ovviamente preparata da un meccanico locale, e arrivava fisso verso il 97° posto.

Insomma, tutta questa divagazione per invitarvi a ammirare questa Alfasud Sprint GTV preparata, e con una targa che ai suoi tempi non rimandava ancora automaticamente a feudi leghisti e raduni (rallies) "padani". Le terre del Po, allora, erano qualcosa di diverso. Producevano i signori Marcotti, partigiani e altra gente del genere; ora producono i Cota e i Calderoli, e persino un signor Marcotti -magari senza saperlo, e magari ancora senza che gliene importi granché- fa Resistenza.

domenica 18 aprile 2010

La saga di Pontenure (4): Malibù, Malibù, quante tregge ci stanno quaggiù




E così, io e la piasintëina siamo, dopo le meraviglie all'esterno, penetrati all'interno della Premiata Officina Marcotti Angelo; e quella che ci si è aperta davanti agli occhi, è stata la Reggia della Treggia. Ciò che si vede nelle foto è l'attuale balocco del signor Marcotti: una Chevrolet Malibu di qualche anno imprecisato tra il 1964 e il 1983 (gli anni di produzione del modello di prima generazione; dal 1997 esiste però una seconda generazione di Malibu): la reimmatricolazione rende purtroppo impossibile risalire all'anno esatto.

Come si può vedere dalle foto (specialmente da quella laterale), il signor Marcotti è in pieni lavori in corso: sarebbe impossibile per chiunque, ad esempio, chiedergli di mettersi a sedere un minuto in questa macchina che a me ricorda immediatamente Le strade di San Francisco, il famoso telefilm con Karl Malden (ma anche un bel po' di film dell'ispettore Callaghan, con il grande Clint Eastwood): questo per la semplicissima ragione che è priva di sedili. Certo che, è inutile negarlo, quando si vede una macchina americana si va immediatamente a film e telefilm: la mancata esportazione dei modelli americani in Italia li ha resi un oggetto da schermo, a parte qualche sparuta vettura fatta importare con difficoltà da qualche appassionato.

Ed è proprio nelle officine come quella del signor Marcotti che se ne incontra qualcuna, ogni tanto. Volenti o nolenti, per noi sono macchine del tutto particolari. Possono piacere o non piacere, con le loro dimensioni esagerate e la loro linea rispondente a criteri estetici molto differenti dai nostri, ma sono oggetti degni comunque di considerazione.