lunedì 30 novembre 2009

Patchwork






Proseguendo imperterrito con la politica dei Cinquini a coppie, che sembra oramai essere The last frontier del TB, sono lieto di presentarvi oggi una delle più riposte, segrete stradine di Firenze. Siamo in una frazione della città tra le più appartate, dove però, per un motivo che non starò a dire, mi devo recare più o meno tutti i giorni; e poiché la strada principale che mena a codesta frazione è un budello a doppio senso di circolazione con tanto di autobus di linea (di dimensioni ridotte, certo, ma pur sempre un autobus), da buon fissato professionale mi sono ingegnato di cercare una strada alternativa. E l'ho trovata, con tanto di autentico guado a pelo di strada di un torrentello: forse l'unico caso del genere rimasto nel territorio comunale fiorentino.

La stradina in questione, oltre ad essere assai amena e simpatica, si è rivelata essere poi un'autentico ammasso di vecchie Cinquecento: ve ne sono ben quattro parcheggiate fisse. Ma le due che trovate qui raffigurate appartengono senz'altro all'eccezionalità di questo mezzo, che pure, oramai, sta "facendo blog a sé", o "blog nel blog". Ce ne sono di tutti i tipi, ma un vero e proprio patchwork di questo genere è perlomeno inimmaginabile.

Sembra che il proprietario (ché, senz'altro, di proprietario unico deve trattarsi) si stia dedicando a raccogliere in giro pezzi di Cinquecento e di montarli, forse come più che simpatico hobby, su dei telai già in suo possesso. E così, con i due Cinquini (uno dei quali in condizioni di carcassa, senza dubbio, ma non ho dubbi che prima o poi, con pazienza, lo vedrò perfettamente in sesto), si sta divertendo a fare un caleidoscopio di colori: gli sportelli blu montati sul resto della carrozzeria arancione, e viceversa; ma i due cofani anteriori sono entrambi blu. Il work in progress è testimoniato dalle stuccature sulla parte anteriore del "modello 79", mentre il "modello 62" ancora dev'essere in fase di studio. Ma so bene di che cosa sia capace un pensionato fiorentino quando si mette in testa una cosa: altro che 500, sarebbe in grado di farsi da solo un rioplano da turismo o una locomotiva a vapore. Sottraendosi così, tra le altre cose, dalla stronzata della caccia che tanti suoi coetanei distoglie dal restauro delle Tregge.

Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi: un giorno, magari, verrò a sapere che i due Cinquini "Patchwork" sono di due proprietari diversi, un trentenne artista olandese che ha trovato il suo "buen retiro" da queste parti e una macellaia di Rifredi che abita in quella strada. Resta il fatto che vederle sempre là, appiccicate l'una all'altra, quasi indissolubili, mi ha suggerito questa storia. Chissà che, un giorno, non partano assieme ad esplorare il mondo oltre il Terzolle!

venerdì 27 novembre 2009

No TAV, Sì TAV





Ero in procinto di partire per le quotidiane tonnellate di servizi sociali (no, non temete, non vi sono stato affidato dalla magistratura, almeno per il momento...), quando Ettore il Radiologo mi chiama e mi dice: Venturi! Corri sul piazzale, che c'è roba per te...

E, in effetti, Ettore aveva proprio ragione. Solo che questa qui non è roba soltanto "per me": è, ad esempio, anche per la proprietaria della Mitica, la prima R4 di questo blog e una delle Tregge del Primo Giorno (absit ogni misticismo: mi sto riferendo soltanto alle vetture inserite nel primo giorno del TB, il 1° giugno 2009). Una vera e propria sorella, in tutto e per tutto, e nonostante il colore diverso.

Le condizioni da vera Treggia militante di questa R4 non lasciano adito a dubbi: al pari della Mitica, qui siamo nel pieno della lotta anti-TAV. Con una targa torinese che riporta immediatamente alla Val di Susa, e uno stato della vettura che lascia immaginare trasporti di montanari incazzati neri, di striscioni, di bandieroni, di megafoni e anche di congrue dosi di Barbera per riscaldare gli oppositori allo scempio dell'alta velocità. E anche qui in Toscana ne sappiamo qualcosa, con le belle prodezze combinate nell'alta valle del Santerno e nel Mugello. Verrebbe quasi da pensare che si tratti di una delegazione di irriducibili valsusini venuti a protestare da queste parti, o almeno così mi piace immaginare ora che tutto sembra irrimediabilmente perduto.

No TAV? Certo, ma anche Sì TAV. Nel senso, ovviamente, di Treggia Automobilistica Venaus!

giovedì 26 novembre 2009

Tregge & Gutturnio




Questo bell'esemplare di Autobianchi A112 Abarth (ritargato?) pone qui un problema non lieve di attribuzione. Come è noto a chiunque frequenti questo blog, ho verso la città di Piacenza (e soprattutto verso una certa sua abitante) una predilezione che rasenta lo smaccato; tant'è vero che, proprio grazie a quella certa sua abitante di cui sopra, esiste pure una speciale categoria "Tregge Piacentine".

Il problema posto da questa bella vettura è però che non è stata affatto trovata a Piacenza, bensì in un dato quartiere di Firenze che, peraltro, per certe sue caratteristiche di reconditezza e scarsa circolazione (condizioni privilegiate per il parcheggio di tregge), sta rivelandosi come una delle principali fonti di sostentamento per questo blog. Nonostante la sua targa, quindi, non può essere inserito nelle Tregge Piacentine, che debbono provenire rigorosamente da Piacenza e dintorni.

Naturalmente sto già sentendo volteggiare attorno a me, nell'aria, dei roboanti ...e chissenefregaaaa! Ma, perdio, almeno un post di questioni procedurali mi sarà pur concesso; tanto più che, lo avrete capito tutti, è soltanto una scusa per parlare di Piacenza. E, a pensarci bene, l'A112 Abarth qui ripresa in tutta la sua sfolgorante lucidità, è decisamente color Gutturnio, o Barbera dei Colli Piacentini. Due bei vinotti che fa sempre piacere nominare, ed ancor più sgargarozzare in abbondanza. Ma ne riparleremo quando troverò una treggia color pissarèi e fasö, anche se non sarà semplice. Ma qui si amano le mìscion impòssibol.

martedì 24 novembre 2009

...E gli a'rà fatto la guerra...!






Ed eccoci di nuovo nell'oramai celebre Carrozzeria della 1100, tra ingorghi, parcheggini fantasiosi e lavoratori che si occupano anche di rimettere in sesto prodigiose Tregge del tempo che fu. Ero giusto giusto là dentro a vedere se putacaso mi tiravan fuori la targa di Potenza della 1100 del '50, quando un collega del (finora mancato) trovatarghe mi ha urlato: Ma come! State lì a cercà' la targa e 'un gli fahe fotografà' la Uìllisse d'i' quarantuno? Quando ho percepito quelle due parole, Willys e Quarantuno, mi sono fiondato. Da non credere. In un angolo dell'officina, già quasi pronta, c'era davvero una Willys del 1941. Ancora in fase di ritocco e con accanto una bicicletta fatta con pezzi di risulta che, se non sarà stata del '41 anche lei, risaliva comunque al tempo di guerra.

"...E gli a'rà fatto la guerra...!". Quante volte lo si dice quando, per strada, s'incontra una vettura vecchia e malandata; una Treggia, insomma. Anch'io me lo sono detto tante di quelle volte. Però, in quel momento, ero davanti ad un automezzo che la guerra la aveva fatta sul serio. Una Willys, vale a dire la jeep per antonomasia, quella da cui lo stesso nome di jeep ha avuto origine (GP, abbreviazione di General Purpose, "uso generale"). Mi sono scorsi davanti, nell'ordine: lo sbarco in Normandia, la spiaggia di Omaha, l'operazione Overlord, la battaglia di Cassino, Mindanao, Iwo Jima e il ponte di Remagen. E, invece, ero a due passi dal Ponte alla Vittoria. Chiedendomi come fosse capitata a Firenze, e senz'altro in tempi non recenti (la targa riporta a un'immatricolazione avvenuta nel 1976).

E così, mentre il Capofficina mi raccontava delle bestemmie che c'eran volute per rimetterla a posto (le stesse, oso immaginare, che ci vorranno per lavorare sulla 1100...), cercavo di immaginare la storia della Willys capitatami davanti agli occhi una qualsiasi sera di novembre. Sarebbe la cosa più bella, riuscire a ricostruire la storia vera di ogni macchina che sta qua dentro, perché è la storia di tutti noi.

lunedì 23 novembre 2009

Dŭsafla






Se vi chiedete che cosa mai significhi il titolo di questo post, e se ancora non vi siete accorti che è, più o meno, Alfasud al contrario, occorrerà comunque che vi spieghi qualcosa che, credo, non potete sapere.

Sono nato alla vita come linguista, e linguista morirò. Anche se, poi, come ad esempio ora, mi ritrovo a volte a far cose molto, molto differenti per campare. Ma le lingue, i linguaggi e la linguistica sono, per me, come le Tregge: semplicemente una cosa che va al di là di tutto. Il tutto dalla mia solita posizione sotterranea, defilata, nascosta: come il mio buon fratellino Pessoa, sono convinto dell'insita volgarità e bruttezza della fama, della gloria, di una pur limitata notorietà settoriale. Sono cose, quelle due, fatte per le persone dappoco; e io, che peraltro sono tutt'altro che modesto, non sono una persona dappoco.

Dŭsafla vuol dire "automobile" in Kelartico. Cerchereste invano notizie su questa lingua, per il semplicissimo motivo che l'ho creata io stesso, fin da quando avevo otto anni. La mia lingua personale, che parlo e scrivo con me stesso. Ha una sua evoluzione storica e una sua non difficile grammatica; il lessico è composto perlopiù di storpiature di parole greche, e di termini inventati di sana pianta.

Per esempio quello per "automobile". Non desideravo il solito "auto" e derivati. Ci voleva qualcosa di più particolare. L'Alfasud al contrario mi dovette suonare particolarmente bene, aggiungendoci poi la ŭ, un fonema peculiare ripreso dalle lingue slave (il russo ы), o dal rumeno â. Si pronuncia come qualcosa a metà fra la "i" e la "u", stringendo le labbra. L'accento potete metterlo dove volete, perché il Kelartico è una lingua decisamente anarcoide.

Non che abbia, poi, mai nutrito un particolare amore per l'Alfasud, anche se trovarne una a Mantignano non è cosa da poco. Perdipiù una Treggia che mi era già sfilata sotto il naso almeno tre volte senza che avessi mai potuto fotografarla; c'è voluto un sano grondino serale alla casa del popolo di Ugnano per farmela ritrovare lì, bella parcheggiata (anzi incastrata, con tanto di tubo innocenti di un'impalcatura) e con la targa di Siena che oramai comincia a diventare consueta in questo blog; sarà forse che in provincia di Siena ho vissuto per un po', possedendo persino una Giulietta che oggi come oggi finirebbe diritta qui dentro. Il passato chiama anche con queste cose.

E, insomma, oggi avete imparato un'importante parola di Kelartico. Esiste anche il termine per "Treggia": si direbbe
kadabur, che poi è una deformazione di cadavere. Un po' di black humour, insomma. Tanto, poi, di Pomigliano d'Arco ho già parlato e l'Alfasud, pur con l'onore fonetico che le feci a suo tempo trasformandola nell' "automobile" per antonomasia, rimane comunque, e sinceramente, uno dei più emeriti cessi semoventi che siano stati sfornati dall'Alfa Romeo. Battuta soltanto dall'Arna.

domenica 22 novembre 2009

Sincamìlle. (2) Storia di una Sincamìlle e della sua risposta sbagliata.




Tanti e tanti anni fa, per un motivo che non sto a spiegare e che forse non mi rammento nemmeno più, provai la necessità d'andarmene via da casa. Per "casa" s'intende quella in cui, quasi trentenne, abitavo ancora con la mia famiglia; non che non l'avessi già, per periodi più o meno brevi, lasciata; ma quello fu uno spartiacque. La mia vita, grosso modo, si divide in quel che c'è stato prima di quel 1993, ed in quel che c'è stato dopo; e, davvero, non contano più le ragioni che ne sono alla base. Questo a mo' di breve preambolo; ciò che invece interessa a questa storia di Sincamìlle, è il luogo che mi ospitò da gennaio a luglio di quell'anno, e più che altro il singolare e irripetibile padrone di casa con cui ebbi e che fare.

Non potendo permettermi altro, mi ero infatti lasciato tentare da una stanza ammobiliata ad un prezzo più che ragionevole. In un'antica casa d'angolo sistemata tra la ferrovia ed il primo tratto di una lunga e trafficatissima strada, con addosso un enorme tabernacolo d'una madonna che, per espletare ai suoi famosi compiti, avrebbe dovuto proteggermi; e non che in quel periodo non ne avessi di bisogno. Il risultato è che mi toccò barcamenarmi, per mesi e mesi, tra una serie di episodi che mi hanno segnato per sempre. Non ultimo il contatto con questo padrone di casa, del quale ovviamente non farò in nessun modo il nome. Non so minimamente che cosa ne sia stato, dal giorno in cui rimballai tutte le mie cose e me ne tornai a casa dei miei; ma il ricordo di quella persona non mi abbandonerà mai.

Era pazzo. Conclamatamente pazzo. Del tutto matto. E, come sempre in questi casi, di un'intelligenza assolutamente superiore. La sua mente, quand'era ancora un ragazzo, gli aveva giocato uno scherzo terrificante; viveva da solo in quella casa, in una camera della quale mi ero sistemato. E furono notti di chiacchiere, di vino, di racconti, di purissime follie; in un periodo, peraltro, in cui la mia testa vacillò fino a portarmi alla cancellazione totale di alcuni giorni. Alternava, quell'uomo, momenti di lucidità (e di umanità) estrema ad altri in cui, forse, ciò che mi salvò fu proprio opporgli la mia, di follia. Quasi una neutralizzazione. E, del resto, ad un certo punto presi a non starci più molto, là dentro. Quella primavera e quell'estate del '93.

Nel post precedente dicevo che, in un certo senso, il TB esiste da sempre; e le macchine vecchie, pur in quel marasma umano che ero diventato, senza più orari né logiche, e spinto soltanto da una càgna di voglia di vivere che riusciva non si sa come a non cedere a niente, riuscirono ad affiorare anche allora. Una notte, a chissà che cazzo di ora, gliene parlai a quel padron di casa folle e dai lineamenti molto belli. Era un bell'uomo, che aveva allora l'età che ho io adesso; lineamenti che, all'improvviso, si contraevano e s'immergevano in un buio dal quale riuscivo, non so come, a percepire qualche bagliore.

Gli parlai della mia passione per le vecchie automobili, e lui si mise a parlarmi di quelle che aveva avuto prima che, per decreto, gli levassero la patente. Allora si spostava su un vecchio motorino che parcheggiava ostentatamente addosso al tabernacolone, verso la cui madonna nutriva un odio particolare e talmente forte da imbrattarla di spazzatura ogni volta che poteva. La rabbia di comprendere la sua vita di uomo onesto, di lavoratore con interessi e capacità infinitamente superiori alla sua condizione, massacrata da una malattia carogna. E mi parlava di quelle vecchie macchine come si parla d'una parte di sé; ma anche in modo distaccato, ironico, quasi a voler essere l'osservatore -e lo era in modo incredibile- della sua stessa malattia mentale. Aveva avuto, anni prima, una Simca 1000. Rossa, mi sembra. E la Simca 1000 parlava.

Lui guidava, andando al lavoro, e ogni suo rumore gli diceva qualcosa. S'interrogavano e stabilivano, come diceva lui, un contatto; ed erano andati avanti così per mesi, forse per anni. Si ricordava tutto di quella macchina, la sua targa, la sua tappezzeria, il suo odore; ché ogni macchina ha, o meglio aveva, un suo odore particolare, fin da quand'era nuova. Mi ricordo ad esempio benissimo l'odore che aveva la 128 special di mio padre non appena la portò la prima volta a casa; odore che non la lasciò mai, finché non terminò la sua esistenza in una scarpata vicino a Colle Val d'Elsa -procurando di lasciare del tutto incolumi i suoi occupanti. Finché un giorno, il mio padrone di casa non pose alla Simca 1000 qualche domanda che doveva essere troppo difficile o delicata.

Non osai chiedergli quale fosse questa domanda. Posso solo ipotizzare che si trattasse di un perché, di uno di quei suoi perché che, a volte, rivolgeva anche a me. E vi posso garantire che sono di quei perché che spezzano un'esistenza. Vedere un essere umano con la testa tra le mani e un portacenere pieno di cicche, in una notte, chiedere il perché di una morte che si sconta vivendo. Doveva averglielo chiesto pure alla sua povera Simca 1000 rossa, e lei non gli seppe rispondere. O gli diede la risposta sbagliata. Cominciò, così raccontava, a dare colpetti di claxon; ed il claxon sembrò prenderlo in giro, deriderlo, beffarlo. Non si è disposti alla derisione in certi frangenti, mai. E gliela fece pagare.

Scese dalla macchina, vicino all'Arno, in un punto dove c'è una scarpata abbastanza ripida. Scese e mise la Simca 1000 di culo, in folle e senza freno a mano. Poi le diede un calcio sul davanti; e la macchina prese il via e volò nel fiume, affondando rapidamente. Toccò recuperarla ai pompieri, mentre lui se n'era andato via, a piedi, con passi strani e con le mani in tasca. Finita di raccontare questa cosa, se ne andò a dormire, o a vegliare all'infinito, nella sua stanza che sembrava una camera a gas, con la foto d'una bella e famosa donna sul comodino, coi suoi libri che leggeva scrivendo sui bordi, con la matita, tutto quel che gli passava per il capo. E non erano mai cose da poco. Sui bordi di Petrolio, il libro incompiuto di Pier Paolo Pasolini, aveva scritto cose che avrebbero dato, e non poco, di che pensare anche a Pasolini stesso. Le critiche più feroci a quel bel tomo di Giovanni Sartori e ai suoi sproloqui sulla Democrazia le ho lette sui bordi della copia acquistata da quella persona. Critiche che sarebbero bastate a relegare il Sartori dove ho sempre ritenuto giusto che stesse bene, vale a dire nei cestoni delle boiate negli Autogrill.

La Simca 1000 rossa, credo, fu mandata allo sfascio. Un bagno in Arno non fa mai troppo bene ad una macchina. Per questo, vedere una Simca 1000 mi fa venire in mente un sacco di cose, e tutte sono una parte non lieve della mia vita. Se ne trovano poche, pochissime. Strano per una vettura che, ai suoi tempi, fu molto diffusa. O forse no; è soltanto il tempo che decide, sovrano, per suo conto.

Sincamìlle. (1) I segni premonitori.




Inutile dirlo: assieme alla Prinz, la Simca 1000 era una delle macchine più "concupite" dal TB; e, stavolta, per motivi che andavano persino ben al di là delle sue semplici caratteristiche di Treggia-simbolo. La prodigiosa vetturetta francese, innanzitutto, ha, per il sottoscritto, delle precise "valenze familiari" che mi riportano ad un mio zio, chiamato Dino, che per tutta la sua vita rimase fedele a due cose: le corse automobilistiche (con annesso ed eterno abbonamento a "Autosprint", rivista alla quale tentò inutilmente di appassionarmi perché, fin da piccolo, il mio orizzonte automobilistico non ha mai contemplato i circuiti e le rombanti monoposto miliardarie -senza contare che lo zio Dino era un Ferrarista e che a me la "rossa di Maranello" è sempre stata notevolmente sui coglioni assieme al suo inventore), e la Simca Mille. Ebbe sempre e solo Simca fino alla sua morte: due "Mille" (tra le quali la prima, blu notte, era soprannominata "La Poldina") e, quando smisero di farla, una 1100; logico che, rivederne una, mi fa rivedere anche lui. Vestito da bigliettaio dell'ATAF quando ancora non esistevano le obliteratrici automatiche, nella gabbietta col sedile striminzito, a dare i vecchi biglietti staccati uno ad uno dai blocchetti.

Ma c'è dell'altro, ed è qualcosa che ha più direttamente a che vedere col Treggia's Blog e con la sua nascita; ed anche, proprio, con questa macchina che qui vedete raffigurata, vale a dire con la Simca 1000 lillà la cui targa pisana è stata convenientemente neutralizzata, dal proprietario, con svariati adesivi della Fiorentina. Ve lo vo a raccontare.

Il Treggia's Blog è nato, come sanno tutti coloro che lo frequentano, il 1° giugno 2009; ma, in un certo senso, esiste da sempre. Perlomeno fin da quando, e non è giusto ieri, mi è cominciato a battere il cuoricino per le macchine vecchie, strane, scassate, lucide, puzzolenti, mai standardizzate. Certo, se ripenso a quante me ne son passate davanti agli occhi, di Tregge, e che non rivedrò senz'altro mai più, mi viene da mordermi le mani e da dirmi, invariabilmente: "Se ci avessi pensato prima". Finché, diciamo, verso gli ultimi di aprile di quest'anno l'idea ha cominciato sempre più decisamente a farsi strada; con tanto di segni premonitori.

Il primo, in ordine di tempo, è stata un'Alfa Romeo 1750 del 1973, parcheggiata fuori dalla stazione Centrale, un venerdì sera che aspettavo la piasintëina, con tanto di (gentilissimo) proprietario al seguito. Persino con una lunga chiacchierata, con vita e miracoli della vettura e con promessa di rivederci da qualche parte; ma, ancora, non viaggiavo con la Kodak fissa al seguito. E, così, l'Alfa 1750 è entrata a far parte delle Tregge perdute, perché non l'ho più rivista in giro. Proprio quella sera mi son detto: "No, basta, bisogna che faccia qualcosa".

Il secondo segno è stato, circa a metà maggio, una stupefacente Citroën Ami 6 targata Padova (PD 28... e qualcosa), parcheggiata di fronte al Discount dove vado sempre a fare la spesa, vicino a casa mia. Mi ci son fermato per un quarto d'ora, a rimirarla, senza nemmeno scaricare il carrello coi sacchetti. Anche quella, mai più rivista. Scomparsa nel nulla. Ma da quel giorno mi sono messo a ricercarla, e nel ricercarla sono capitato in un certo parcheggio di un'antica stradina suburbana delle mie parti, tra giardini, casermoni moderni e terratetto sei o settecenteschi. Non c'era, no, l'Ami 6; però c'era una Simca 1000 lillà, targata Pisa, che è stata forse la "molla" decisiva per farmi mettere su il TB. Sono passati pochi giorni e ho cominciato a fotografare le Tregge ed a metterle tutte in Rete. Ma della Sincamìlle (qualcuno faceva il plurale Sinchemìlle e qualcun altro addirittura un Rückeinzahl, Sincamìlla) targata Pisa, nemmeno di lei, più nessuna traccia.

Una volta messo in rete il TB c'ero tornato non so quante volte, in quel parcheggio, con la speranza di ritrovarla. Nulla da fare. E così poche sere fa, già a buio, di ritorno dal lavoro. Così, un tentativo per non saper cosa fare, e perché non si sa mai. Non c'era, no, la Sinca; ma si vede che il Dio dei Bivi, dopo avermi fatto pagare il giusto fio per non averla fotografata subito quando me l'aveva servita davanti, aveva deciso che la pena era stata scontata. Mandandomi intanto, come assaggino, la Fiat 128 3P. Esattamente in quel parcheggio. Ma non solo.

Mentre fotografavo la 128 3P, davanti al suo muso c'era, parcheggiata, una vettura moderna con un tipo che armeggiava nel bagagliaio, per i fatti suoi. Siccome mi copriva tutta la parte anteriore della 128, con estrema cortesia e spiegandogli che cosa stavo facendo, gli ho chiesto se poteva spostarsi un metro avanti per lasciarmi espletare il mio compito di Treggista; costui, con altrettanta cortesia, lo ha fatto; e poi ci siamo messi a chiacchierare un po'. Essendo entrati nel discorso, gli ho raccontato anche della Simca 1000 che avevo visto mesi prima nello stesso parcheggio, e che stavo cercando proprio lei. Questo mi ha fatto un sorriso:

"Guardi che c'è sempre, è di uno che sta qui dietro e che credo sia il padrone anche della 128, è un appassionato. La mette quasi sempre fuori a sera, se ci torna di sicuro la trova..."

Glab. E la sera dopo ci sono tornato, a sera. E c'era. Un'altra delle mie consuete danze di ringraziamento: stavolta, sì, l'avevo ritrovata. Un pezzo non indifferente del TB e della sua storia, anzi della sua preistoria, che va finalmente al suo posto. E ho preso talmente tante foto, della Sincamìlle targata Pisa, che me ne avanzano per fare una seconda parte con la storia d'un'altra Simca 1000, e d'un mio vecchio padron di casa.

(1. continua)

venerdì 20 novembre 2009

Estati






Estati. Ad esempio, e per me non può esistere altro esempio, certi anni settanti all'Elba, fra canottiere, acqua corrente che non c'era, ghiaccioli, spiaggiate a Fetovaia, concorsi settimanali della Settimana Enigmistica, insalate di riso, giornate che cominciavano prestissimo e finivano tardissimo, casini, infanzie, adolescenze, seghe, portici.

E macchine. Le macchine non potevo guidarle perché ero un ragazzino. La macchina ce l'aveva il babbo, l'ottocentocinquanta special che spirerei a trovare, beige. Non ce l'aveva nemmeno mio fratello, la macchina. Non era maggiorenne neanche lui.

La Centoventotto Treppì. Una specie di sogno, o qualcosa del genere. La si vedeva e era qualcosa di normale e di irraggiungibile al tempo stesso. Normale perché era la coupé della 128, non una Aston Martin o una Jaguar. Irraggiungibile perché esulava dalla normalità piccolo-borghese. L'impiegato con l'850 poteva anche comprarsi la 128 berlina, ma la coupé o la 3P erano fuori della portata che non consisteva nel prezzo, ma nella mentalità. La 128 3P era una delle prime coppie che poteva non volere figli. Era una famiglia che non c'entrava. Era assenza di bagagliaio. Era quei sei fari posteriori che facevano scuotere il capo.

Era estati che non finivano mai. Era strade sterrate. Era casino. Era una sgangherata giovinezza. Era anche scrivere il nome dell'Olivia, che non si sa se fosse la cugina che te la dava o la fidanzata di Popeye. Era giocarsela relativamente a buon mercato. Era un sacco di cose, e il sole picchiava. Senza l'estate non si vive, e non vive chi è senza estate, e l'estate è una baracca di ricordi che nel passar degli anni ti si mitragliano addosso.

Una sera di novembre nel buio di un parcheggio ricavato da una vecchissima strada suburbana. Eccola. E l'estate inonda. Cara vecchia 128 3P, rarissima. Non se ne vede più una a giro. Ma, girando e rigirando, l'estate trionfa sempre; e con lei chi non c'è più e chi c'era, e con lei tutta una tribù di fantasmi che recano l'arancione immenso della vita.

giovedì 19 novembre 2009

Der gottgesandte Mechaniker - Atto II




Atto secondo, come gli Amici Miei, e primo caso del genere nel TB: ma la Fiat 1100 "colta" ieri al volo, che poi è del 1950 e non del 1949 come erroneamente scritto, giustifica appieno quest'unatàntumme. Anche perché, stavolta, non c'è stato nessun Verkehrsstau: anzi, il Dio dei Bivi m'ha fatto persino trovare un comodo parcheggino, permettendomi così di scendere bardato da Treggista Reporter e di prendere altre foto della scarcassata e vetustissima vettura (tra le quali una dell'interno: capirete che non ho dovuto proprio faticare ad aprire gli sportelli).

Atto secondo, e probabilmente non sarà nemmeno l'ultimo. La 1100 è infatti in restauro, e passando spesso da quelle parti non mancherò certo di seguirne l'evoluzione. Intanto, penetrando con mille salamelecchi ed ossequi nella carrozzeria che sta curando il tutto, sono riuscito a sapere che la targa originale è di Potenza (PZ), e che è depositata da qualche parte nell'officina. Un gentilissimo meccanico me l'ha anche cercata nel magazzino, ma essendo stata sistemata "in qualche scatolone", non è riuscito purtroppo a trovarla. Ma con la promessa che me la farà vedere e fotografare non appena l'avrà trovata.

E non è finita qui, come vedrete fra breve. Nel frattempo, diversi onesti lavoratori alle prese con Tregge fenomenali si stanno abituando a vedersi piombare sul luogo di lavoro uno strano tipo con la coda di cavallo, vestito di verde e giallo....

E fa pure la rima!

martedì 17 novembre 2009

Der gottgesandte Verkehrsstau





Devo aver già parlato, una volta, del cosiddetto Dio dei Bivi che assiste il Treggista e gli fa pigliare sempre la giusta direzione (die richtige Richtung). E non vi stupite del titolo e delle diciture teutoniche: il Dio dei Bivi (Gabelungsgott) si esprime, come è comprensibile, nella lingua di Franz Kafka -lingua che fortunatamente conosco più che a sufficienza-, e si vocifera anche di un perduto racconto del praghese con protagonista il Treggista Josef K.

Ad esempio, il Dio dei Bivi è intervenuto qualche sera fa. Dovete sapere che, dopo la pedonalizzazione di Piazza del Duomo voluta dal sindaco di Firenze, Lord Matthew Rents, i viali di circonvallazione -che già erano normalmente una bolgia- sono diventati una cosa semplicemente improponibile a certe ore, con tanto di tornei di scacchi organizzati tra gli automobilisti ingorgati da ore. Per tornare a casa dal mio posto di lavoro ho dovuto quindi escogitare un percorso notevolmente fantasioso tra stradine dimenticate (e bellissime), pigliandomela comoda e cantando tutto quel che mi va di cantare perché io le autoradio e gli stereo in macchina non li sopporto e preferisco farmela da solo, la musica. Quella sera, però, al bivio viale Ariosto/viale Aleardi ho deciso di fare la strada "canonica" verso il ponte alla Vittoria, invece di tirare su per Bellosguardo; ero stato ingannato da mezzo viale Aleardi vuoto. Mal me n'è incolto; l'ingorgo mi ha intrappolato subito dopo, e non c'era più niente da fare. Mesto e rassegnato, mi sono ritrovato ingabbiato nei tremendi duecento metri di via del Ponte Sospeso, detti familiarmente i duecento metri del destino prima di arrivare alla zuppa di piazza Taddeo Gaddi.

Proprio in via del Ponte Sospeso, uno squarcio dal cielo buio di novembre. Il Dio dei Bivi c'è. Ferma tra macchine strombazzanti, una visione. Una Fiat 1100 del 1949, in condizioni di carcassa, senza targa, ma lei. Probabilmente, e sperabilmente, in via di amorevole restauro. E io lì in coda, a frugare affannosamente nello zaino per cavarne la Kodak, gentil madonne per impostare la funzione "notturna", motorini che passavano, ed uno stavolta provvidenziale SUV che ha bloccato tutto permettendomi di sporgermi dal finestrino e scattare le quattro foto che vedete.

Avessi imboccato il consueto percorso (via San Francesco di Paola, via di Bellosguardo, via San Carlo, via di Soffiano nella sua parte collinare...) mi sarei senz'altro risparmiato l'ingorgo; quella sera non l'ho fatto, e tra boccate di benzene e di altri idrocarburi vari mi sono ritrovato davanti a quell'antica Signora a quattro ruote. Es kann nicht immer Winter sein.

Il Palio de' Cinquini



Tutti si saranno accorti che, oramai, coi Cinquini si va a gruppi etnici: qualche giorno fa è toccato a quelli siciliani, poi a quelli romani; ora tocca a quelli senesi. Giocoforza tirare in ballo quella loro famosa corsettina di cavalli che tengono nella loro piazzetta principale due volte all'anno, in luglio e agosto; e debbo dire che, di gran lunga, preferirei che il Palio (ma guai a chiamarlo così da quelle parti: si chiama Drappellone, così come non bisogna dire "corsa", ma carriera; ma del resto non bisognerebbe dire nemmeno "senesi", ma fave) fosse fatto correre a delle Fiat 500 invece che a dei poveri cavalli che più di una volta ci hanno rimesso le penne e la salute. Ma, naturalmente, io non posso capire, dato che un destino assai benigno m'ha fatto nascere 56 km a nord. Come diceva sempre uno che conoscevo, quando si nominavano le differenze tra Firenze e Siena: a Firenze la piazza principale si chiama della Signoria, a Siena del Campo (senza contare lo stadio del Rastrello e il Monte dei Paschi, cioè dei pascoli).

Ovviamente so bene che, con questo post, mi sarò giocato tutte le eventuali simpatie dei Treggisti senesi (per di più prendendo avidamente per i fondelli quella loro corsetta di quattro o cinque poveri castroni maltrattati); ma, del resto, quando una macchina è stata chiamata Palio ne è venuto fuori l'immenso capolavoro che segue (della serie: "Quasi meglio la Duna", di cui del resto è considerata l'erede):


Come se non bastasse, e per ribadire come l'immagine della città del panforte e del Monte de' Paschi sia stata diffusa nel mondo, andate pure in deliquio dinanzi alla Fiat Siena:


Insomma, come dire, qui sto invadendo il campo agli amici di Autodimerda. Meglio, senz'altro, i Cinquini; qualsiasi targa rechino.

Post Scriptum Pallonaro: E' vu' siete ULTIMI! Patire e retrocedere,
succursale dei gobbi! Inchinarsi eternamente di fronte alla VIOLA!

sabato 14 novembre 2009

L'inglese (Versione TB)





Premessa. - Il motivo per la specificazione "Versione TB" è l'omonimo post pubblicato qualche giorno fa su 'Εκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network, che poi sarebbe il "capo" e il capostipite di tutta la mia personalissima Rete Asociale . Che cosa sia questa "Rete Asociale"di cui anche il TB fa parte, è spiegato con dovizia di particolari in alcuni post del "blog principale"; quanto agli effetti, il più visibile è senz'altro l'assenza di commenti, del tutto intenzionale e caratteristica saliente di tutti i blog dell' "Asocial Network". Colgo l'occasione, però, per specificare anche qui che chiunque può commentare e mettersi in contatto con me in modo diretto, vale a dire bypassando tutte le forme di "comunicazione in rete", telefonandomi al n° 339-4723095 oppure venendomi a trovare a Firenze, in Via dell'Argingrosso 65/C. Dalle mie parti non si ragiona più in termini di bischerate telematiche (stile "Facebook", "Twitter", "MSN Messenger" o roba del genere), ma di contatto diretto e personale. Mettendosi magari a un tavolino con un par di bicchieri di vino a ragionare di ciò che si vuole; ad esempio, di Tregge.
Ciò detto, la storia di questa Treggia, la prima Rover ospitata da questo blog, appartiene alla più pura casualità indotta. Siamo infatti esattamente dall'altra parte del Mugnone, là dove m'ero recato a fotografare la Citroën GS turchese segnalata da Dora. È bastato passare il Ponte Rosso, un percorso pressoché obbligato, ed ecco che, ferma davanti al bar, c'era questa signorile beltade (tanto per fare un po' il verso al mitico Andrea Berti e alla sua vena poetica) con tanto di proprietario al seguito. Un gentilissimo signore di nome Umberto che si è reso protagonista di un episodio decisamente gustoso: non solo, infatti, mi ha permesso di fotografare la sua Rover 2002 del 1976 ma, alle mie manifestazioni di genuino entusiasmo, ha cercato di vendermela seduta stante.

Il prezzo proposto, a dire il vero, non era nemmeno malaccio per un'autovettura del genere; purtroppo, ultimamente, le mie magèrrime finanze non mi permetterebbero nemmeno di comprare una bicicletta scalcagnata e quindi ho dovuto, a malincuore, declinare la proposta. Peccato. Uno dei miei desideri proibiti è proprio quello di girare a bordo di un'autentica Treggia, con tanto di logo del TB sulle fiancate; e già un po' mi vedevo sulla Roverona con tanto di ruota di scorta sistemata, in a very British way, sul cofano posteriore. Ma verrà il giorno. Per l'intanto ho salutato (e anche fotografato) il signor Umberto e la sua gran vettura, ricevendo persino l'informazione che, a Firenze, ne girerebbe un'altra (stavolta verde), di proprietà di un non meglio precisato ragazzo. Terrò gli occhi aperti.

giovedì 12 novembre 2009

Sprazzi turchesi in riva al Mugnone





Debbo questo fantastico sprazzo turchese, ancora una volta, a Dora. È stata infatti lei, con un tipico SMS di avvistamento, a segnalarmi questa Citroën GS Spécial del 1973, parcheggiata in riva a uno dei corsi d'acqua minori di Firenze: il Mugnone.

Subito dopo la segnalazione, è cominciata la caccia; la quale è stata assai laboriosa, anche se Dora non lo sa (per la mia autentica idiosincrasia verso gli SMS di risposta); come quasi sempre accade nel caso di avvistamenti altrui, infatti, non appena ce l'ho fatta a andare in quella strada (a notte fonda e alla guida di un'autoambulanza, per la cronaca) mi sono beccato proprio il lavaggio strade e, quindi, della GS turchese non v'era traccia alcuna.

Ci sono tornato il pomeriggio seguente, e ancora niente: si vede che il proprietario ancora non l'aveva ripresa da uno degli assai fantasiosi posti dove i fiorentini vanno a mettere la macchina quando nel quartiere c'è lavaggio strade. E così è stato ancora due giorni dopo, tanto che mi ero oramai rassegnato ad aver perso il treno. Quando si riceve l'avvistamento di una treggia, bisognerebbe pigliare armi e bagagli e andare subito sul posto. Purtroppo non sempre è possibile.

Perdere una Citroën GS, una tipica vettura che un tempo era comune vedere per le strade e che ora è invece pressoché scomparsa, sarebbe stata una disdetta. Anche perché è una macchina che ha, come dire, dei bizzarri retrogusti "politici", decisamente contraddittori. È infatti stata la macchina sia del leader di Potere Operaio, Franco Piperno, sia di un ancora semisconosciuto senatùr chiamato Umberto Bossi, quando era l'unico parlamentare di un movimentino nordista che si proclamava anticonfessionale e ostile alla chiesa cattolica (e con la sua vecchia GS girava sagre e teatrini di paese per fare propaganda). Vi chiederete forse come faccio a saperlo: che ci crediate o no, è tutto frutto della mia memoria, elefantiaca e una delle due o tre cose di cui vado abbastanza fiero di me stesso. Mi ricordo semplicemente di due vecchie interviste a quei due personaggi, in cui si parlava anche della loro Citroën GS.

Insomma, ho voluto fare un ultimo tentativo, in una tarda mattinata (stavolta alla guida di un pulmino attrezzato): e zàc. C'era, stavolta. In tutto il suo smagliante turchese, e in pieno servizio da treggia (guardare il marasma di roba nel bagagliaio). E qualche ignaro passante si è ritrovato davanti alla consueta scena di un tizio vestito strano che fa gesti di vittoria mentre fotografa rapidamente una vecchia automobile parcheggiata in riva a un fiumiciattolo.