mercoledì 31 ottobre 2012

Boja dé: Arrivano le Tregge livornesi (1)



All'inizio del mese d'ottobre che proprio oggi finisce, mi son dovuto recare un paio di giorni a Livorno per fare non vi dico cosa. Il fatto è che questo "non vi dico cosa" era proprio nel quartiere labronico dove ho abitato per quasi cinque anni; e dove ancora c'è qualcuno che si ricorda di me e mi saluta. Un posto che, senza tema d'essere facilmente retorico, ho nel cuore; e ci rimarrà. Un posto che, manco a dirlo, ha voluto darmi a modo suo un "bentornato" proponendomi le sue belle tregge, tutte concentrate in pochi metri, che vanno a formare il nucleo iniziale della nuova categoria delle Tregge Livornesi. Sì, perché a Livorno, anche se non ci abito più oramai da più di dieci anni, mi sentirò sempre di casa e ci tornerò; e quando ci tornerò, potete stare certi che non mancherò di andare a scrutare bene per le sue strade. Sono convinto che, come ogni città di mare, Livorno nasconda tesori treggistici di prim'ordine.

Prendiamo ad esempio questo qua. Un T2 cassonato che, di per sé, è un treggione di prim'ordine, e anche in condizioni da treggia inveterata (cliccare sulle foto per apprezzarlo meglio). Quasi incredibile poi la targa di Ascoli Piceno del 1971; a parte una vecchia foto dell'alluvione di Firenze, in cui si vedeva un vecchio Maggiolino distrutto e infangato targato AP (AP 40000 e qualcosa, per la precisione; allora quasi nuovo, visto che era del '63 o '64), non ricordo d'aver mai visto da nessuna parte vecchie targhe ascolane. Ci ha pensato Livorno, con questa primo esemplare di una categoria che spero diverrà gloriosa!

martedì 30 ottobre 2012

Falsa ma bella



La Morgan Plus One è e rimane una delle più riuscite (e costose) prese per il culo automobilistiche della storia. Chiunque ne veda a giro un esemplare pensa infatti che si tratti di un'auto d'epoca, intendendo con questo un modello degli anni '30 o giù di lì; la sua produzione, invece, iniziò nel 1968 ed è terminata addirittura nel 2004. Una cosiddetta "replica", insomma, nell'attesa (probabilmente vana) di beccare da qualche parte una Sbarro (mai vista una neppure nei miei tre anni di Svizzera, tanto per essere chiaro). Ad ogni modo, in presenza di una Morgan tanto di cappello; falsa sì, ma pur sempre bella e pienamente treggia, specialmente se ci si imbatte in un esemplare, come questo, del 1975. Con tanto di baule. Da notare, comunque, che di Morgan se ne potrebbero trovare anche di veramente antiche; la Morgan Motor Company fu infatti fondata nel 1909 a Malvern, nel Worcestershire (dove ha tuttora sede). La Plus One è basata su un suo modello del 1936.

La macchina di Frau Merkel?


In Germania le targhe non sono liberamente personalizzabili; comportano, ad esempio, la sigla del distretto automobilistico di appartenenza. Il distretto automobilistico è quella cosa che, credo, in Italia farebbe furore al posto delle targhe alfanumeriche nazionali attualmente in uso; in pratica, permetterebbe di rimescolare e eliminare province a piacimento mantenendo l'identità locale (che è, ammettiamolo francamente, la vera e propria libidine del targaiolo). In Germania si targano anche le cittadine e i paeselli: le sigle sono oltre 400. Questa, ad esempio, proviene dal circondario di Euskirchen, cittadina di 55.000 abitanti nella Renania-Westfalia; basta aggiungere un "RO" e si ha quella che sembra la targa di frau Merkel, anche se per accentuare la sua diabolicità sarebbe stata meglio EURO 666. Sicuramente, con tutto quel popo' di bendiddio di sigle, le combinazioni curiose nelle targhe tedesche sono frequenti (curiose sia in lingua tedesca che in altre lingue; quando abitavo a Friburgo, quella Svizzera, mi ricordo d'aver visto una vecchia Mercedes assai "treggiabile" se il blog fosse esistito già allora, targata KU LO 69 (KU è la sigla di Kulmbach, in Baviera). Ad ogni modo, un'automobile tedesca targata "EURO" è alquanto carina di questi tempi, almeno da giustificare un post sul TB pur essendo attaccata a una vettura tutt'altro che treggesca...

domenica 28 ottobre 2012

Chianti per tutti!





L'ultima 600 che avete visto sul TB era una 600 da ricchi; con questa qui torniamo invece all'utilitaria che ha motorizzato l'Italia, con tutto il bene e tutto il male che la cosa ha comportato. Dalle atmosfere marine a un comunissimo parcheggio d'un paese nei dintorni di Firenze, in pieno Chianti: ambientazione decisamente più familiare per questa 600 senese del 1967, vale a dire del "periodo tardo" (ricordiamo che la produzione della 600 cessò nel 1969 in Italia; ma in vari altri paesi del mondo andò avanti per molti anni ancora, specialmente in Sudamerica). Il "periodo tardo" della 600 ha una caratteristica che salta immediatamente agli occhi e che è visibile anche in questo modello: le portiere sono disposte con apertura antivento, così come era stato reso obbligatorio per tutte le autovetture quando ci si era accorti che le portiere con apertura controvento (montate originariamente sia sulla 600 che sulla Nuova 500) si aprivano durante la marcia. Eppure non è che ci fosse voluto molto per capirlo...forse, chissà, i progettisti avevano esagerato col Chianti!

Canne al vento




E proseguiamo pure col rimbalzino tra Mark B. e Fabrizio con le sue strabilianti tregge genovesi. E qui non c'entrano nulla né il premio Nobel Grazia Deledda, né le droghe leggere: la vera e propria droga di Fabrizio, per la quale batte giornalmente le campagne, sono le TNC (tregge ne' campi). Le TNC genovesi trovate da Fabrizio sono tra gli esemplari più belli del genere: qui, ad esempio, vedete un vecchio furgone Fiat 850T (parecchio vecchio, a giudicare dal frontale) che ha concluso la sua vita come deposito di cannicci vicino alla stazione di Granara, nell'entroterra di Pegli. La cosa più bella delle TNC è che, quale che sia l'uso ultimo cui vengono adibite, sembra che sia stato fatto appositamente per loro; in tal modo, assurgono spesso alla qualifica di vere e proprie opere d'arte povera. Si arriva a pensare, alla fin fine, che un Fiat 850T cassonato non poteva far altro che trasportare canne...

sabato 27 ottobre 2012

Ràlla tu che ràllo io


Oggi m'è presa coi collaboratori, e quindi torniamo al noster semper noster Mark B. e a una delle sue infinite trovaglie da novanta: nientemeno che una Fiat 128 Rally che, a giudicare dalle tabelle delle immatricolazioni, dovrebbe stare a cavallo tra gli ultimissimi giorni del 1971 e i primissimi del 1972. Nel post precedente sulla 126 genovese era stato fatto un piccolo ragionamento sui colorini delle Fiat anni '70; qui ne abbiamo un altro fulgido esempio. Apparentemente sembrerebbe una specie di celestino acquoso, ma in realtà la sua denominazione ufficiale era quella di grigio artico. Verrebbe da dire che artico lo era sicuramente, ma nel senso di agghiacciante; la "berlina sportiva" derivata dalla 128 però, va detto, aveva altri tre colori un po' più consoni alle sue prestazioni (giallo vivo, rosso-arancio e bianco). 

La 128 Rally, peraltro senza che ne avesse nessuna colpa diretta, rappresenta per me il ricordo di un episodio non bellissimo della mia vita, avvenuto nell'estate del 1981 in Sardegna; ma non ho, stavolta, nessuna voglia di raccontarlo. Su una 128 Rally rossa targata Sassari mi capitò di passare una quarantina di minuti che ve li raccomando; ma lasciamo stare: Spero soltanto che il suo proprietario, tale M.C. da Olbia, nei trentun anni che son passati da allora abbia provato ben poche gioie.

Tornando opportunamente alla 128 Rally, va detto che i rallies li faceva per davvero; era anche, da quel che mi ricordo, parecchio grintosa. Quando però la si vedeva normalmente su strada, non bardata da competizione, era una normalissima 128 che si distingueva più che altro per i doppi fari rotondi posteriori. Mark B., da Treggista esperto, è andato diritto a questa caratteristica saliente.

Ad usum fori de Centum Viginti Sex cognominati


In questo mese d'ottobre sembra che il TB sia stato segnalato, e abbia avuto alcuni accessi, dal Forum delle Fiat 126. Al posto di un convenzionale saluto agli amici Centoventiseisti, preferisco ovviamente inserire un'altra 126 ricorrrendo al Fabricianus Thesaurus proveniente da Genova; questo anche perché, ultimamente, a Firenze e in Toscana di 126 non ne ho beccate più (anche se ce n'è una che gira in zona Policlinico che, prima o poi, cederà). La 126 genovese che qui si vede è un purissimo esemplare di prima serie, di quelle ancora non polacche per intenderci; è della fine del 1972 e ostenta il famoso color begìno Fiat. Per un certo periodo negli anni '70 i coloristi di Corso Marconi devono aver mangiato parecchio pesante, e esagerato con le merende sinoire; il risultato dei loro incubi notturni è palese.

Il missile


E, a proposito di Mark B., eccolo tornare su questi schermi con un esemplare da par suo. Qualche giorno fa mi ha recapitato una mail intitolata "Matta" (sic), ma nonostante la palese presa al volo dell'automezzo, mi sono subito reso conto di essere di fronte, nientepopodimeno, che a una Matra M530Capisco quindi bene che Mark B. non vi si sia lanciato all'inseguimento; ignoro di quale mezzo fosse a bordo (spesso mi sembra d'intuire che sia in moto), ma andare dietro a un missile del genere non sarebbe stato semplice. Tant'è vero che la stessa matricola "530" gli era derivata da un vero e proprio missile aria-aria prodotto dalla sezione armamenti della stessa MATRA. Senza scordare che, proprio in quegli anni, la MATRA era protagonista anche in Formula 1.

La storia della MATRA è complicata. La Mécanique Aviation Traction (di cui MATRA è l'acronimo) era nata nel 1941 in ambito riservato prettamente alla meccanica militare, prendendo il posto di un'altra azienda dal nome che era tutto un programma: si chiamava infatti CAPRA (acronimo di Compagnie Anonyme de Production et de Réalisations Aéronautiques). La MATRA operava nella cosiddetta "Zona Libera" della Francia (quella, cioè, non soggetta all'occupazione nazista) e, a Liberazione avvenuta, ebbe un grande sviluppo sia nella meccanica originaria (armamenti e mezzi aeronautici) che, a partire dal 1962, anche nei campi della ricerca spaziale e dell'automobile. In campo automobilistico collaborò prima con Renault; la M530 che si vede nella foto ha in grandi linee una meccanica Ford; infine, la storica collaborazione con SIMCA. Tornò in seguito a collaborare con Renault, producendo una vettura davvero storica: la Espace, considerata il primo monovolume "cosciente". La collaborazione si interruppe però nel 2003 con il clamoroso fiasco della Renault Avantime, macchina talmente avanti tempo che, nel presente, nessuno la comprò. 

Un missile, dicevamo; la MATRA M530 era una di quelle tipiche macchine che "o la si ama, o la si odia", senza mezze misure. Dotata di un motore V4 Ford da 1700 cc, aveva una velocità massima dichiarata di 179 kmh ma, in realtà, toccava i 200. Se non fosse stato per Mark B., dubito che ne avrei mai vista una per la strada; e, infatti, non mi è mai capitato. L'esemplare "catturato" da Mark è del 1973, che è anche il suo ultimo anno di produzione (era iniziata sei anni prima, nel 1967).

Sfide a distanza



"Sfide a distanza"? In realtà, tra i Treggisti Militanti® non v'è, usualmente, alcuna sorta di rivalità. Tutt'altro; il Treggismo Militante® affratella, non divide. Fatto sta, però, che a volte accadono fatti curiosi; tipo Mark B. che mi manda un paio di fotografie di un bel Maggiolino in zona Campo di Marte proprio nello stesso giorno in cui, passando, il sottoscritto becca la stessa macchina. Ed eccola qui, in tutto il suo splendore ed anche con un ben preciso sospetto (anzi, una certezza): quella di trovarsi di fronte a un Maggiolino molto, molto più vecchio della sua targa. La quale si trova giusto al limitare delle targhe quadrate fiorentine, e quindi nel 1975; ma l'aspetto del Maggiolino fa pensare a una vettura di almeno una decina d'anni prima (e, quindi, di un autentico Typ 1 "pre-Käfer"). Nulla di strano; allora, al passaggio di proprietà tra provincie diverse, si doveva provvedere obbligatoriamente ad una nuova immatricolazione.

venerdì 26 ottobre 2012

Resti della Storia


L'amico Fabrizio, di Genova, in questi ultimi tempi ha ancora intensificato la sua spedizione di tesori. Oramai non si serve più nemmeno dell'arcaica e-mail: mi spedice CD interi stracolmi di ogni bendiddìo, in aggiunta a quelli che mi ha già mandato da due anni a questa parte. Risultato: negli archivi del TB giacciono, letteralmente, centinaia di meraviglie provenienti dalla città della Lanterna e dai suoi environs. La tentazione di farne un blog apposito, una "succursale" (ma che succursale!) genovese del Treggia's Blog, è sempre stata molto forte data la quantità enorme di fotografie che sono in mio possesso grazie a Fabrizio; ma non ce la farei. E' la natura stessa del TB, probabilmente, che lo impedisce; se mi limitassi ad inserire le fotografie degli autoveicoli sarebbe molto più semplice, ma il TB è "fatto" anche e soprattutto dai suoi commenti. Sono la sua caratteristica, che lo rendono un blog vero e proprio e che danno modo, non di rado, di dire cose parecchio diverse dalla nuda esposizione di fotografie di vecchie macchine. E trovare qualcosa da dire per ogni macchina è difficile. Da qui l'infinitesima parte di Tregge genovesi contenute nel TB, una cosa che francamente mi ribolle vista la consistenza delle cose speditemi da Fabrizio (lo stesso vale, chiaramente, per Mark B. e per tutti gli altri collaboratori fissi o saltuari). Chiaramente c'è anche da salvaguardare un po' il "topic", sebbene sia molto largo: il blog si chiama "vecchie auto a Firenze", e Firenze è e rimarrà il punto di partenza. Si andrà avanti quindi così, magari cercando di dare maggior risalto alle tregge provenienti da Genova. Perché lo meritano, e lo merita il lavoro incredibile di Fabrizio che ha deciso di farmene dono. Lo merita, ad esempio, la vettura che vedete in queste foto, nonostante le sue condizioni di rudere.



Quelli che vedete, ripresi nel quartiere genovese di Borzoli, sono i resti di una delle automobili più importanti nella storia della motorizzazione francese, e probabilmente anche europea: la Citroën Traction Avant.


A vederla così nel suo splendore, uno dei primi esemplari prodotti nel 1934, verrebbe da prendere chi ne ha ridotta una nelle condizioni di quella genovese trovata da Fabrizio, e comminargli una quindicina di tratti di corda nel groppone gnùdo; però la storia che c'è dietro non la si può sapere, e sarà meglio quindi limitarsi alle immagini. 


La Traction Avant aveva, come caratteristica meccanica saliente, la trazione anteriore. Talmente saliente all'epoca, dove ogni vettura in circolazione era a trazione posteriore, da farla declinare completamente nella denominazione commerciale. Potenza della lingua francese: se ci pensate bene, dire tracsionavòn è diverso da "trazione anteriore", suona differentemente. Nell'articolo linkato potete leggere tutte le altre innovazioni meccaniche e stilistiche che tale vettura, prodotta in varie versioni dal 1934 al 1957, comportò facendone, come detto, un'automobile storica nel senso pieno del termine; qui sotto, il retro di una versione del 1954.


Innovazioni che, va detto, in buona parte "trasmigrarono" nella vettura che prese il suo posto; e la vettura che prese il suo posto si chiama Citroën DS.  Una Dea non poteva che essere generata da un'altra dea.

Quel che poco si sà, generalmente, è che la carrozzeria della Traction Avant fu concepita da un italiano: Flaminio Bertoni.  Unanimemente considerato tra i maggiori stilisti d'automobili della storia, e autore anche della successiva DS (e della 2CV, e della AMI 6...insomma, tutti i principali modelli Citroën sono passati dalle sue mani). Flaminio Bertoni era sì un designer; ma, come formazione e attività artistica, era uno scultore. Avete capito: uno scultore. I suoi modelli non li "disegnava", ma li realizzava in plastilina (così accadde anche per la Traction Avant). Vale la pena, qui, riportare un piccolo estratto dall'articolo Wikipedia:

" Nel frattempo, occorreva cominciare a schizzare i primi disegni relativi alla nuova vettura. Ma i primi disegni non convinsero molto il patron della Casa francese. Ci pensò Flaminio Bertoni, più abile a scolpire che a disegnare: in una notte realizzò un modellino tridimensionale in plastilina in scala 1:5, che praticamente rispecchiava la vettura definitiva. Il giorno dopo, domenica, si recò nientemeno che a casa dello stesso André Citroën e della moglie Giorgina. Quando mostrò il modellino ai coniugi Citroën, questi rimase colpito sia dal modellino in se', sia dalla tecnica utilizzata per realizzarlo. Si trattava infatti della prima volta nella storia dell'automobile che un progetto di carrozzeria non veniva disegnato ma scolpito. Si decise che le forme della vettura sarebbero state quelle proposte da Bertoni. "

Insomma, qui siamo davanti veramente ai resti della Storia automobilistica.

Blitz autostradale (con dedica a Marchionne)




L'autostrada non è, e non può essere, un campo d'azione tipico del Treggista Militante® (sebbene di tregge in autostrada se ne vedano, e parecchie). Come dire: sarebbe un po' difficile fermarsi a fotografare, e anche la "presa al volo" risulta quasi impossibile sopra una certa velocità. In autostrada, bisogna avere la fortuna di beccare qualcosa in un'area di servizio, o ai caselli; e qui siamo proprio appena fuori della barriera di Firenze Ovest della A11, nel classico spiazzo. Poiché la Fiat 124 Sport Spider che vedete (del 1972) sembrava star lì ferma proprio per farsi ammirare, e lo spazio era più che sufficiente per non correre alcun rischio, ecco questo blitz autostradale che permette di apprezzare questa autovettura (carrozzata Pininfarina, e dico poco) ed anche di spedire una sentita dedica a Sergio Marchionne, il fulgido manager nato a Chieti ma cresciuto in Canada (come dire: da Chieti a San Benedetto del Toronto). Sapete, quello che poco tempo fa ha dichiarato che Firenze sarebbe una città "piccola e povera". Insomma, qualche anno fa la Fiat faceva macchine come questa, mentre ora fa la Palio e la Grande Punto. Davvero un'ottima performance. Che aspettano a levarsi finalmente dalle scatole?

mercoledì 24 ottobre 2012

Il torpedone svizzero




Il TB, per natura, si occupa di veicoli adesso non comuni; a rigore, quindi, qui dentro si hanno tutti "pezzi rari" (a parte, forse, le Cinquecento). In mezzo ai pezzi rari, ce ne sono alcuni addirittura unici; e mi sentirei di spendere questo aggettivo per l'autobus che vedete nelle foto. Autobus? Forse sarebbe meglio, in questo caso, rispolverare l'antica denominazione di torpedone; ci sta, credo, particolarmente bene. Siamo al piazzale Michelangelo in uno dei rari giorni di pioggia di questo ottobre quasi estivo; ma, per fotografare una cosa del genere, me la sono beccata più che volentieri sul groppone.

Il torpedone che vedete ha una storia tutta sua. La sigla FBW che si legge sul frontale sta per Franz Brozincevic Wetzikon, e mi scuserete se, in questo caso, ho dovuto mettere il link all'edizione inglese di Wikipedia. Esiste anche un articolo in italiano, ma è ben poca cosa. Il signor Franz Brozincevic si chiamava in realtà Franjo Brozinčević, era croato di nascita (ma suddito dell'Impero Austroungarico; era nato comunque a Brinje, non lontano da Segna, il 21 maggio 1874) e, nel 1892, era emigrato in Svizzera. Ognuno ha una passione nella vita; quella del bravo signor Brozincevic (che, nel frattempo, si era tedeschizzato il nome), era costruire camion e torpedoni. Il suo primo camion lo costruì, in un'officina artigianale che aveva nel frattempo fondato, nel 1910; lo chiamò, del tutto casualmente, Franz. Era nata, a Wetzikon nel Canton Zurigo, la FBW.


Ben presto, accanto ai camion, la FBW cominciò a produrre autobus. La Svizzera è terreno assai fertile per gli autobus; a parte gli efficientissimi servizi urbani, è il paese dei celeberrimi Postali, gli autobus extraurbani gestiti dalle leggendarie Poste Svizzere che assicurano, tutt'oggi, i collegamenti anche nelle località di montagna più impervie (che non mancano di certo, da quelle parti) e, naturalmente, il trasporto della corrispondenza. La FBW cominciò infatti quasi immediatamente a produrre autobus postali.

La FBW era un'azienda artigianale nel senso più alto del termine. Ogni camion e ogni autobus che produceva era un pezzo a sé stante, spesso adattato precisamente alle esigenze e alle indicazioni del cliente che lo commissionava. La costruzione avveniva rigorosamente a mano, e, logicamente, la produzione si limitava a poche centinaia di esemplari all'anno. La conduzione dell'azienda rimase strettamente familiare: morto Franz nel 1933, passò al figlio (il quale, manco a dirlo, si chiamava Franz junior). La qualità dei prodotti FBW era considerata eccelsa.


L'attività produttiva della FBW durò dal 1922 al 1985; alla produzione di camion e autobus si era affiancata quella dei filobus (e filosnodati). Nelle principali città svizzere, Zurigo compresa, i servizi urbani erano effettuati quasi interamente su mezzi FBW, che oramai erano esportati anche all'estero (fino in Sudamerica: ad esempio, a Valparaíso in Cile tuttora si vedono in servizio filosnodati FBW). I prodotti della casa di Wetzikon erano giustamente celebri per la loro affidabilità e per la lunghissima durata; insomma, roba veramente svizzera. Ignoro se, da noi in Italia, se ne sia mai visto qualcuno in servizio da qualche parte; ma penso proprio di no. Anche perché erano, ovviamente, costosissimi. Nel 1982 la FBW fu fatta fondere con una sua diretta concorrente nazionale, la Saurer (Adolph Saurer AG), con sede a Arbon sul Lago di Costanza (che, in tedesco, si chiama però Bodensee). Le due case artigianali producevano mezzi praticamente uguali (particolarmente il famosissimo autobus " a muso lungo"), e diedero vita ad un'azienda dal nome impossibile, la Nutzfahrzeuggesellschaft Arbon & Wetzikon ("Società di Veicoli Utilitari Arbon & Wetzikon"), fortunatamente più nota come NAW. Gli autobus, però, continuarono ad essere commercializzati col marchio FBW. Per poco ancora; tutto fu assorbito dalla Daimler-Benz, e l'ultimo FBW uscì di fabbrica nel 1985 facendo entrare tutto nel mito, nei musei (una passione tutta svizzera: a Wetzikon esiste ovviamente il FBW-Museum) e nei club di appassionati (come questo, cui intendo peraltro segnalare la mia "trovaglia"; consiglio una visitina a chi fosse interessato, dato che contiene svariate foto di veicoli FBW).



Sospetto infatti che ad un club di appassionati, o roba del genere, appartenga il torpedone del piazzale Michelangelo. Mentre mi stavo chiedendo di che diavolo di anno fosse (dato che le targhe svizzere, pur essendo tra le poche rimaste con sigla cantonale e numero progressivo -beati loro!- sono strettamente personali, hanno funzione di carta di circolazione e possono essere passate liberamente da una macchina all'altra; non è possibile quindi risalire all'anno di immatricolazione), mi sono accorto che, con precisione assolutamente elvetica, ogni dato possibile e immaginabile era addirittura dichiarato in una placca apposta sulla fiancata del mezzo:


Si tratta quindi di un modello FBW C-50-U del 1964. Insomma, ci ha quasi cinquant'anni e. giuro, mi sarebbe piaciuto salire sopra non solo per fare qualche foto all'interno, ma per dare anche una sbirciatina al contachilometri. Sospetto che di giratine ne debba aver fatte parecchie, ivi compresa una a Firenze nel 2012 per farsi beccare dal Treggista® in un giorno di pioggia.

Arezz' Halfsack Art (2)


La più pura Arezz' Halfsack Art non si fa notare subito. Anche in questo caso, infatti, all'inizio sembra la solita, normalissima 500 blé scura; certo, qualche indizio che potrebbe trattarsi di AHA è riconoscibile dall'occhio esperto; i fendinebbia gialli di stile francese fanno venire qualche sospetto, anche se si deve dire che la parte pianeggiante del Valdarno compresa nella provincia di Arezzo (Montevarchi, S. Giovanni eccetera) rivaleggia, in quanto a nebbia, con la Val Padana (lo sanno tutti coloro che percorrono in inverno la tratta Firenze-Roma della A1). Ad ogni modo, se incontrate una 500 blé targata Arezzo, ipotizzate subito un caso di Arezz' Halfsack Art; tale forma d'arte figurativa vive costantemente in un periodo blu, e sono tutte gran macchine del picasso. L'arte, comunque, non tarda a svelarsi:


Come sempre, basta girare attorno alla vettura; ecco che appare la AHA in tutta la sua magnificenza. Cangiature della verniciaccia blé, scrostature millenarie, stuccature alla Dieu Bourreau (God Executioner, Henkergott eccetera). Come sottolinea il prof. Manfred von Soderetz nel suo fondamentale studio Einführung in die wissenschaftliche Forschung der Aretz-Halbsackkunst (Halle an der Saale, 1978), per apprezzare al meglio la AHA in ogni suo aspetto è necessario avvicinarsi ancora:


Avvicinandosi, infatti, si nota questo autentico paradigma della AHA: le stuccature da mesticheria dell'angolo, oramai già pienamente scrostate anch'esse, gli spunti di ruggine che rifanno capolino, la profonda crepa sul montante che termina con un altro spunto di ruggine. Tutta la AHA è contenuta in questo pur minuto particolare. Ma proseguiamo il giro attorno alla vetturetta:


L'esemplare sarebbe già an sich rimarchevole: è del novembre 1970, presenta la più tipica "targa bombata da 500" (le targhe quadrate in plastica, come ognuno sa, se applicate alle 500 dopo un po' si deformavano irrimediabilmente assumendo la caratteristica bombatura e, in alcuni casi, spezzandosi). Ma, sul lato destro, si intravede già il trionfo della AHA: una specie di "blob", un'indistinta massa di materia che sembra cresciuta sulla carrozzeria:


Qui non sappiamo nemmeno di che cosa si tratti realmente: forse un misto di carrozzeria corrosa, rimasugli di stucco trovato nel porcile, resti di melassa o di Marmite, mezza cacata della mucca Fiorella...tutto potrebbe aver contribuito a creare questo capolavoro. Il quale, va detto, funziona, plasmandosi alla perfezione e riuscendo sia a sostenere il fanale che a creare un parafango (anche se c'è da chiedersi a cosa serva, su un mezzo del genere, parare il fango). Finita qui? No di certo!


Terminando il giro di questo superbo esemplare di Arezz' Halfsack Art, ci si accorge che, sul cofano anteriore della 500, è presente qualcosa. La prima impressione sarebbe alquanto sgradevole e farebbe pensare a una deiezione di qualche volatile diarroico (e che aveva mangiato pesante), oppure addirittura umana. Non è così; si tratta, invece, di un autentico fico spiaccicato risalente probabilmente al triassico o al devoniano. Oramai talmente incrostato sulla carrozzeria, da farne parte integrante; insomma, un vero e proprio fossile del tutto simile ai famosi insetti preistorici intrappolati per l'eternità nell'ambra.

Termino qui questo mio primo, piccolo trattatello sulla Arezz' Halfsack Art, che sarà seguita da vicino nei prossimi tempi e che merita sin da oggi una categoria a sé stante (non retroattiva). In margine, però, è necessaria un'annotazione. Al lettore più attento del TB non sarà sfuggito che questo esemplare mirabile di AHA è stato reperito nella celeberrima isola pedonale presente nel TB fin dal suo primo giorno. Una delle treggiaje storiche della città di Firenze, la quale ha "colpito ancora".

Arezz' Halfsack Art (1)



Ebbene sì: ricominiciamo! Quante volte l'avrò detta 'sta parola sul TB, ma è giocoforza farlo dopo una così lunga serie monografica che, per due mesi, mi ha tenuto occupato lontano da Firenze. Torniamoci finalmente, a Firenze, e nel più classico dei modi per riprendere il discorso: con un Cinquino. Anzi, con un paio di Cinquini che sono fra i più puri esemplari della Arezz' Halfsack Art e di cui questo rappresenta il primo.

Che cos'è la Arezz' Halfsack Art? Non è semplice definirla. A Firenze e nella sua provincia, che è confinante con quella di Arezzo, quest'ultima è fatta simpaticamente oggetto di appellativi che sottolineano elegantemente la propensione degli aretini alla conservazione caratteriale della più genuina e sentita tradizione millenaria; in pratica, gli si dà di contadini, di mànfani, di pièrcoli e così via, in ispecial modo quando si vede un'autovettura che reca la fatidica targa AR. La quale viene, sovente, interpretata in modi parecchio fantasiosi, del tipo: AR = Azienda Rurale, Agricoltura Rustica eccetera, senza contare l'epiteto di Agrezzo riservato al capoluogo. Nel definire la Arezz' Halfsack Art di tutto questo si deve tenere conto. Una 500 targata Arezzo è infatti, spesso, un autentico capolavoro di arte povera e  di inventiva campagnola, e vederne alcuni esempi trapiantati in città fa emettere al Treggista® gridolini di piacere. Specialmente quando, come in questo primo caso, siamo a pochi passi da casa sua, all'Isolotto (e, più precisamente, nel parcheggio del supermercato).

Certo, vi direte. Ma 'ndo sta tutta quest'arte? A noi ci sembra un Cinquino blé normalissimo, magari un po' giù di carrozzeria, ma comunque niente di che... Da un lato sì; ma guardate un po' cosa si ha quando si passa dall'altro lato:



Ecco, questa è la Arezz' Halfsack Art allo stato puro. Un esemplare da museo Guggenheim. La verniciaccia blé cangiante è andata? E ci si mette una bella mano di stucco! La portiera laterale, c'è andato contro un cignale? E se ne trova una gialla alla Pieve ar Toppo! Risultato: un capolavoro, appunto. Un patchwork di meraviglie. La Arezz' Halfsack Art ridicolizza in un millesimo di secondo qualsiasi vetturetta elegantina, qualsiasi Smart, qualsiasi cosa; questo è Treggismo nel senso più elevato del termine.


Il retro (dal quale, peraltro, si evince che la vettura è stata aretinamente reimmatricolata nel 1982; ma chissà di quand'è veramente) fa gridare pure al capolavoro. Come tutti sanno, la vernice blé scura delle Cinquecento tendeva a cangiare (e a smangiarsi), provocando curiose opalescenze che rappresentano una delle costanti più visibili di tali esemplari. Ma qui, la vernice sembra aver subito addirittura una mutazione genetica; è un retro da mutante quel che ci si presenta davanti agli occhi, oppure non si sa bene se la vernice scrostata, invece d'essere stata stuccata come sul fianco è stata riverniciata a colpi di pennarelli Carioca o di pastelli a cera. Ineguagliabile. Solo a Arezzo e dintorni si poteva far così!

Carrelba '12 (24/fine) - Tregge vecchie e nuove!


Prima di tornare a casa, di nuovo una puntatina in quel di Carrara; curiosa quest'estate vacanziera, con l'Isola racchiusa tra due Apuamatres, così tanto per rispettare l'esattezza delle declinazioni latine. E qui l'Apuamater ci sta particolarmente bene: in compagnia del suo fondatore e leader, Davide Giromini, siamo infatti tornati a casa di Micaela e Gabriele, che del medesimo gruppo "fluido" (ora si direbbe meglio: "progetto") fanno parte. Qualcuno forse se ne ricorderà: un paio d'anni fa, in alcuni post che parlavano di "anarcotregge carrarine" (e che, ora, finiranno nella categoria apposita), a casa di Micaela e Gabriele c'erano alcune Vespe in ristrutturazione: una, a dire il vero, già in piena efficienza e l'altra completamente smontata. Beh, non ci crederete, ma a distanza di due anni il buon Gabriele, che da valente musicista le Vespe se le ricostruisce da solo, si ricordava ancora di tutto e ci ha tenuto a farmi vedere come ha rimontato e rimesso in sesto la Vespa parmigiana, cambiandole persino colore mediante riverniciatura artigianale. Insomma, come dire: il TB segue anche l'evoluzione delle "Trespe" apuane, ben sorvegliate da un sanguinario molosso:


C'è però una novità ancor più eclatante. Gabriele e Micaela pare si siano dedicati, ultimamente, alla fabbricazione di una treggina di diversa natura, ancora priva di targa ma, al momento dello scatto della seguente foto, immatricolata da soli quatto giorni. Ohibò, vi direte, ma che combina il nostro Treggista Preferito®? Si dà a fotografare macchine nuove di pacca? Beh, capirete meglio quando vi farò vedere la treggina di cui parlo:


Ed è veramente la prima volta che il TB è immensamente felice di presentare qualcosa di tanto nuovo! E pensare che, sicuramente, alcuni di voi avranno pensato che stessi per inserire una Smart. Tsk tsk. Ragazzi...