giovedì 31 gennaio 2013

Μεταθιγγανεύσις




Ancora una Mercedes W123 (200), e ancora a due passi dallo Stadio di Firenze. Ma questa ha una storia del tutto particolare. 

Innanzitutto, a rigore andrebbe messa tra le "Tregge NO TAV", anche se non siamo di certo in Valsusa. Il fatto è che appartiene a una militante NO TAV fiorentina, e che le foto sono state fatte esattamente lo scorso mese di aprile, durante un presidio contro il Tunnel TAV in "costruzione" a partire dalla stazione del Campo di Marte. Come poi è andata a finire, è roba di questi giorni, con il "non cantiere" e la "talpa Monnalisa" sequestrati dalla magistratura per tutta una serie di irregolarità, smaltimenti illeciti di scorie, affaracci loschi e chi più ne ha, più ne metta. 

Poi, stavo per comprarla. Addirittura già fissato il prezzo d'acquisto. Non ne ho fatto niente anche se, va detto, il treggione ha l'impianto a gas (altrimenti sarebbe impossibile sostenere i costi della benzina, questa qui deve fare otto centimetri con un litro o roba del genere. Ma non è detto che, prima o poi, non mi decida (magari quando avrò rimpinzato un po' le mie finanze, che sono costantemente scarse).

Infine, si tratta di un esemplare di Mercedes che illustra perfettamente il concetto di inzingarimento (o balcanizzazione). E' l'ultima fase dell'evoluzione delle Mercedes e, dal punto di vista treggistico, la più ambita. Il punto di arrivo. La metatinganeusi (μεταθιγγανεύσις) del titolo. Quando, dopo uno svariato numero di anni, una Mercedes si inzigarisce, vuol dire che è arrivata, finalmente, al sublime. E' pronta per tutta una serie di cose, da un film di Emir Kusturica o Tony Gatlif a una sparatoria al confine tra Bosnia e Montenegro, da una scorribanda notturna in Bulgaria a, appunto, un presidio NO-TAV a Firenze. Adorabile. 

Il mezzo, in sé, è del 1988. Non avrebbe nemmeno tanti anni in sé, anche se comunque sono un bel po'; esistono Mercedes di 50 anni e rotti, ovviamente scure, che hanno fatto il percorso inverso trasformandosi in vetture assolutamente cardinalizie. Ha la targa bianca, anche se in questo caso è stata fatta, ovviamente, un'eccezione. Però come non restare commossi di fronte al laterale con il corriportiere mezzo tirato via e il perfetto spuntone di ruggine che si nota dall'altro lato (vedasi anche la seconda foto in alto)?



E le sbollature della vernice? E tutto l'insieme? Se l'avessi comprata, non avrei cambiato una virgola. L'inzingarimento allo stato puro. Il ritorno alle origini, dato che mia madre mi ha sempre detto, fin da quando ero piccolo, che dovevo essere figliolo d'uno zingaro; e ne vado, credetemi, parecchio fiero.

mercoledì 30 gennaio 2013

La ricompensa del Treggia's River




Direbbe il saggio: Non c'è niente che il fiume prenda che il fiume non renda. Sa tremendamente di grande capo indiano, augh, tipo Gran Corno Rotto o Piccolo Preservativo Bucato, roba del genere; fatto sta che, una volta evitata la piena del Terzolle (vedasi il post precedente), a poca distanza ecco la ricompensa per la gran rottura di coglioni dovuta alla consueta scorciatoja impraticabile. Il Maggiolino verde smeraldo, davvero bellissimo, se ne stava addossato proprio al muraglione del posto dove devo andare per lavoro e non lo avevo mai visto prima; e non l'ho più rivisto dopo. Segno inequivocabile che il Dio de' Bivi è sempre all'opera (e protegge anche dalle piene, altro che padrepio!). Immatricolato a Roma nel 1970 e parcheggiato a Serpiolle; vattelappesca te. Però inutile starsi a fare tante domande, lo si prende come ricompensa del Treggia's River che, nel frattempo, continuava a scorrere impetuoso facendo sentire il suo rumore fin lassù.

La vendetta del Treggia's River




Se c'è, a Firenze, un corso d'acqua che potrebbe definirsi la treggia de' fiumi, questo è senz'altro il Terzolle, o Rio Freddo (è lui che ha dato nome al quartiere di Rifredi). Un po' perché, come fiume a regime torrentizio, è veramente un nonsoccosa e d'estate praticamente scompare; a quanto mi risulta, prima di affluire nel Mugnone, è l'unico torrente (ricordo che il latino torrens significa alla lettera "che si secca", ed è parente stretto di torrefazione, torrido eccetera) che fa una cascatella davanti a un obitorio e poi attraversa un policlinico intero. Un po', però, anche perché più a monte, nella piccola gola di Serpiolle, passa letteralmente sopra una stradina, via del Mulino, che è una delle più famose treggiaje di Firenze (specializzata in Cinquini). Di via del Mulino (e dell'attigua e impervia Via Nuova del Mulino) ho parlato parecchie volte: posti quasi dimenticati da Dio, da dove passo quindi più che volentieri anche perché si trovano su un "percorso di lavoro" che faccio praticamente ogni giorno. 

Ogni tanto, però, il Terzolle si risveglia; in particolare, lo scorso 1° dicembre, dopo un furibondo nubifragio che ha allagato mezza Firenze, era nelle condizioni che si vedono nella foto sopra. E non c'è da scherzare, perché nella sua complicata storia (prima sfociava in Arno, poi il corso fu deviato nel Mugnone), il Terzolle è andato di fuori parecchie volte, come ogni fiume che si rispetti a Firenze. E non crediate che siano cose lontane: l'ultima volta è successo a fine ottobre del 1992, la cosiddetta "Alluvione di Rifredi". E il primo dicembre 2012 la cosa ha rischiato di ripetersi a vent'anni esatti di distanza. Naturalmente, con un ottimo tempismo, io mi trovavo da quelle parti; e ho rischiato letteralmente di essere portato via dalla piena. La vendetta del Treggia's River si stava materializzando.




Certo, che per un Treggista Militante® sarebbe stata veramente una sorta di "fine sul campo di battaglia": portato via con tutto un furgone dalla piena del Terzolle. Mica il Rio delle Amazzoni e nemmeno l'Arno; una fine nelle amate periferie dimenticate, cercando di guadare via del Mulino (cosa che, peraltro, ho fatto parecchie volte). Sì, perché in via del Mulino non c'è mica nessun ponte; quando il Terzolle le passa sopra, si tira a diritto con l'acqua a mezze ruote. Quel giorno là, mi sono fermato in tempo e ho voltato il culo, sennò addio Treggista. Una cosa davvero mai vista, almeno da me. E dire che i luoghi sono a brevissima distanza da quelli dei famosi Caporniani, e che sarei stato depositato dal fiume direttamente all'obitorio: dal produttore al consumatore!

La brianzola




Ancora vicino allo Stadio di Firenze, ma qualche mesetto fa (come si potrà intuire dal sole splendente). Il più classico esempio di Mercedes W123 (200) intreggita a dovere, e con un "color vino" che fa tanto spigatone di Fantozzi. Certo, in origine (data anche la targa varesotta del 1981) sarà stato il classico maghinùn del sciùr brianzolo, e s'immaginano tutta una serie di cose come la fabbrichèètta, l'amante polacca (sposata e col marito consenziente) e forniture di laterizi vari; ma le Mercedes hanno, come si è detto tante e tante volte in questo blog, bisogno di parecchio tempo per cominciare a suscitare simpatia prima dell'ultima e auspicata fase, quella dell'inzingarimento (o balcanizzazione). Su quest'ultima cosa ci si tornerà quasi subito, però; intanto si goda questo esemplare dal quale, quasi incredibilmente, nessuno ha ancora tirato via il tondone Mercedes sul cofano anteriore. Mi sono sempre chiesto che cosa ci facciano quelli che li staccano, ma probabilmente si tratta di un impulso ancestrale dell'essere umano.

Millenovecentosessantuno



Almeno una volta all'anno è giocoforza incocciare in un raduno di Vespisti; l'ultima volta mi è successo il secondo giorno dell'anno, a pochissima distanza dallo Stadio di Firenze (l'ex "Giovanni Berta", poi Comunale e ora Artemio Franchi). Il raduno era, a dire il vero, già terminato e le Vespe stavano smobilitando; a rigore, quindi, anche il famoso criterio del TB (niente raduni) è stato pienamente rispettato senza dover rinunciare, ad esempio a questa meraviglia con tanto di copriruota di scorta leopardato (il kitsch allo stato puro, verrebbe da dire). Non c'è nemmeno da scomodarsi per stabilire il link con le tabelle delle immatricolazioni: la Vespa ci dice già da sola, nell'ovale, che è del 1961. E, ancora una volta, si noti che cinquantadue anni fa le targhe motociclistiche erano ancora pressoché alla pari con quelle automobilistiche.

lunedì 28 gennaio 2013

Il periodico tributo


Certamente non muta e non muterà mai il mio giudizio sulle orripilanti targhe italiane attuali (copiate pedissequamente anche dai francesi e, recentemente, dagli albanesi), e su ogni combinazione "alfanumerica" del cavolo; ogni tanto, però, c'è da pagare un tributo a qualche targa che si eleva un po' al di sopra della media. Sicuramente questa meritava una foto e un piccolo omaggio, senza starci tanto a pensare. La classica eccezione che conferma la regola. Ovviamente, ma vorrei comunque ribadirlo, si tratta soltanto di rarissimi post dedicati esclusivamente a qualche targa alfanumerica un po' particolare, e non all'esecrabile automezzo moderno che la reca. Di quello, ostentatamente, non parlo neanche.

venerdì 25 gennaio 2013

Come nuovo!


Il 2013 sarà senz'altro l'anno delle ripetizioni; non perché sto andando male a scuola (mi piacerebbe parecchio, tra l'altro, dato che significherebbe avere un bel po' d'annetti in meno e sarei tranquillamente disposto a tornare la schiappa che ero nelle materie scientifiche...), ma perché dopo anni di Treggia's Blog è giocoforza rivedere in giro tante e tante tregge già inserite ed è giusto darne un po' conto. Questa qua, debbo dirlo, è una di quelle che mi fa maggiormente piacere di ribeccare; ve la ricordate? Se ve ne siete dimenticati, oppure se quando l'ho messa ancora non conoscevate il TB, eccovela qui.




Era il 5 febbraio 2010 quando si faceva conoscenza di questo che è, con tutta probabilità, uno dei Typ 2 T1 più antichi rimasti in circolazione a Firenze; è, infatti, del 1962 e lo scorso anno ha compiuto quindi cinquant'anni esatti. Tre anni fa non era nelle sue migliori condizioni: doveva, infatti, aver subito un incidente (le tregge, ohimé, non ne sono certo immuni). Tre anni dopo ce lo ritroviamo invece come nuovo, come si può vedere dalle foto: bello restaurato, riparato e davvero splendente nella sua livrea bianca e rossa che è una delle più classiche per i vecchi T1. Si scopre così che è pure debitamente registrato come Classic Veteran Volkswagen presso il "Club Maggiolino Italia":


Insomma, avendo cominciato alla grande i suoi secondi cinquant'anni, non resta che augurargli tanti altri e proficui chilometri. Sicuramente non ne deve aver fatti pochi guidato dal suo interno spartanissimo e inconfondibile:


Tutto questo a dispetto della sua targa, che oltre ad essere sicuramente assai particolare, farebbe letteralmente scappare via chiunque sia in preda alle superstizioni. Un diciassette seguito da due morti che parlano non è mica roba di tutti i giorni!


sabato 19 gennaio 2013

Ciofecaglia franco-pisana



Verso gli anni '80 (e qui siamo nel 1985, proprio sul limitare pisano tra le targhe aranciobianconere e quelle bianche e nere), in Francia furono punti da una strana mosca: quella delle berline "di classe media" anonimamente squadrate; ne vennero fuori, ovviamente, delle autovetture che più di classe media erano di classe mediocre. La quintessenza della mediocrità, verrebbe da dire; il tempo ne ha fatta per fortuna giustizia, e vederne a giro ancora qualcuna è diventato quindi raro. Il Treggista Militante®, con la diligenza che lo contraddistingue (no, tranquilli, non viaggia a cassetta sulla Wells Fargo frustando i cavalli mentre è inseguito dagli Apaches...), se ne trova una si ferma ed esegue -seppur a malincuore- dei sommari ritratti, magari confortato dalla targa pisese che gli fa venire pensieri sicuramente perfidi ma sostanzialmente esatti. E così eccovi la Peugeot 305; quel che non si sa generalmente, è che per disegnare una schifezza del genere fu scomodato nientepopodimeno che Pininfarina. A tutti i poeti gli manca un verso, sicuramente; o, forse, il vecchio Pinin decise di far esercitare il nipotino Astianatte, di anni otto, che poi -data la sua performance con la casa transalpina- sarebbe stato avviato ad una promettente carriera di macellajo al mercato centrale di Vercelli. La produzione, si legge, sarebbe andata avanti fino al 1990: dato che era iniziata nel 1977, ben tredici anni in cui la Francia e mezz'Europa sarebbero state riempite di queste ciofecaglie qui. Gli anni ne hanno fatto opportuno scempio.

Der gelbe Bozner





Peccato, a suo tempo, averlo trovato sul limitar della fonda notte; se, certamente, i Typ 2 (assieme ai Maggiolini/oni e alle Cinquecento) sono tra i protagonisti storici e assoluti del TB, trovarne uno di questo colore qui è più unico che raro e, senz'altro, ci avrebbe guadagnato parecchio dalla luce del sole. Ma poiché il Dio de' Bivi decide lui quando farti incocciar nella treggia, s'ha ben poco da fare; e, così, der gelbe Bozner (che poi vorrebbe dire "il bolzanino giallo" nel teutonico idioma che è "semi-ufficiale" nel Treggia's Blog; il motivo è, forse, da ricercare nella pratica di tale lingua che hanno i ben noti Caporniani e che mi ha spinto ad utilizzarla molto spesso qua dentro) eccolo qua a mandar lampi nelle tenebre di un colore che, diciamocelo francamente, è giallo-maionese. L'automezzo, che è anche e chiaramente il più tipico camperino montato su T2, è del 1976; si notino, tra le altre cose, le tendine che fanno tanto chalet alpino. Beh, se lo fanno, sicuramente è sull'automezzo giusto...

martedì 15 gennaio 2013

La pizzaiuola pistojese





L'altra sera me n'ero andato a mangiare una pizza, e per le pizze non ho che l'imbarazzo della scelta, a portata di piede. Una pizzeria, intanto, ce l'ho immediatamente sopra casa mia (abito in un sottosuolo con tanto di cortile & gatti); un'altra ce l'ho a cento metri da casa. Venerdì scorso ero andato a quest'ultima, un simpatico posto con ben due pizzaiuoli al posto di uno (sono fratelli) e dove bisogna fare gli autocamerieri (nel senso che la tavola bisogna apparecchiarsela da sé); però la pizza è ottima e non costa una mazza, cosa che in questi tempi di crisi ha la sua grande attrattiva. Insomma, tutta roba di quartiere. Storie di periferia.

L'Isolotto, però, è un quartiere treggistico di prim'ordine; anche per questo, mi sarebbe impossibile separarmene (pur non essendoci nato, mi considero ormai un Isolottino "DOC"); e venerdì sera me lo ha confermato nel modo più clamoroso. Ero uscito cinque minuti dalla pizzeria per fumarmi un sigaro, quand'ecco che, come una visione, mi si para davanti la vettura che vedete nelle foto. Ancora una Centoventotto, sì. Lo si potrebbe già chiamare l' Annus Centumvigintioctanus, questo 2013; quando dico che "non passa giorno", ora potete constatare che non così tanto per dire.




Eh sì. Ancora una 128 di prima generazione, ma stavolta con la sua targa originale (del 1972 e non del '71 come avevo ipotizzato in un primo momento); subito ribattezzata, in onore alle circostanze della sua trovaglia, la Pizzaiuola Pistojese. Mai vista prima nel quartiere, e parcheggiata bel bella dall'altro lato della strada, davanti all'ingresso del campo sportivo i berci provenienti dal quale mi svegliano regolarmente alle sette e mezzo la domenica mattina. Data l'ora e la strada completamente deserta, si sarebbe potuto ipotizzare che anche il pistojese titolare dell'avita vettura fosse in pizzeria; ma ci eravamo soltanto io e la Piasintëina (che, oramai, non si stupisce più dei miei bofonchi trogloditici quando vedo una treggia). Chissà che ci faceva lì, a quell'ora; ma l'importante è che qualcosa ci stessi a fare io!


Più anni '70 di questa 128, sinceramente, non si può. Non soltanto il tipico colorino da Centoventotto di famiglia, il famoso verde acqua del tutto simile a quello di parecchi prodotti per la pulizia del bagno (che, chissà perché, non sono mai marroni...) per cui è detto a volte "verde WC-Net". E, poi, le cacate del più classico dei piccioni diarroici (in un primo momento le avevo prese per sbollature di ruggine; qualche sbollatura, però, c'è comunque). Poteva per caso mancare il portabagagli sul tetto? Quando mio padre comprò la 128 Special, nel '74 (targa: FI 750688), la prima cosa che fece fu di piazzarci sopra il portabagagli dell'850 Special (targa: FI 449929), che era stata passata a mio fratello allora neopatentato. Non so perché, ma anche il particolare dei fazzoletti di carta sembra dirmi qualcosa. Il legame indissolubile tra la treggia e il pacchetto di fazzolettini è antico; in macchina servono a ogni cosa (da pulirsi il naso a pulire i vetri quando si appannano, dato che se aspetti lo sbrinatore fai in tempo a andare a sbattere contro il padre di tutti i platani). Insomma, qualcosa calata dalle viscere del tempo, e che si è materializzata di fronte al "Pizza Mania" (si chiama così, e gli faccio anche un po' di pubblicità: si trova in via Pio Fedi, traversa tra via dell'Argingrosso e il viale Canova. E il fatto che la via accanto a dove abita il qui presente, noto ateo mangiadèi, si chiami "Pio Fedi" è abbastanza singolare, quasi una nemesi).  

lunedì 14 gennaio 2013

Time before Suvvization





I meccanismi che hanno portato all'affermazione e alla grande diffusione dei SUV andrebbero studiati a fondo, a mio parere; non hanno a che fare soltanto con la storia dell'automobile, ma anche e soprattutto con quella del costume e con la sociologia. Che cos'è che ha portato un mezzo "settoriale", nato e prodotto per tutt'altri scopi, ad imporsi presso una clientela prevalentemente cittadina nonostante le sue dimensioni ingombranti, la sua scomodità nel traffico e nel parcheggio, i suoi consumi elevati e il suo prezzo? Bisognerebbe appunto essere un sociologo, per capirlo appieno; uno specialista che sappia spiegare bene i meccanismi della creazione del cosiddetto Status symbol, uno "status" che ha come target soprattutto tutti coloro che sono disposti a indebitarsi fino all'osso del collo per sembrare ciò che non sono. 

Eppure basta girare per una qualsiasi città: i SUV, oramai, sono una fetta consistente del parco circolante. Il Treggista Militante®, pur ferocemente avverso a tali automezzi (e per una caterva di validissimi motivi, ivi comprese le bieche e numerose "mammine col SUV" e tutti coloro che, già incapaci a guidare una Panda, si ritrovano sotto le chiappe un autentico carrarmato senza cingoli), ne prende atto; e, non essendo un sociologo, si limita a cercare, se possibile, di tracciare una storia. Gliene dà occasione questa Range Rover con targa bolognese del 1981.

1981. Primissimi anni '80, e forse non è un caso. La Suvvizzazione dev'essere cominciata proprio allora. La trasformazione di un mezzo "da campagna" in auto percepita "di lusso", quindi indice di un certo stato sociale superiore alla media. L'abbandono progressivo del termine "fuoristrada" per qualcos'altro, dato che oramai quei mezzi cominciavano ad essere usati per ogni cosa tranne che per il fuoristrada. Ancora non era diffuso il termine "SUV", e quindi si chiamavano quei mezzi col nome del loro modello: una "Range Rover" era sufficiente. Perché una Range Rover dei primi anni '80, come questa, non era già più un "fuoristrada"; e sospetto fortemente che la Suvvizzazione sia dovuta, in buona parte, proprio a questo automezzo con cui è iniziata l'idea che un bestione del genere dovesse diventare l'auto da città per chi voleva ostentare ricchezza vera o presunta.

Il resto è storia. Proprio oggi, mentre tornavo a casa, mi son ritrovato dietro all'ennesima "montagna": era una Range Rover "Evoque". Si va dai circa 35.000 euro del "modello base" fino ai 50.500 euro della "2.0 Si4 3p Prestige". Duecentoquaranta CV. Sia ben chiaro che una Range Rover non costava poco nemmeno nel 1981, ma se ne vedeva ancora una ogni tanto, in giro. 

Quindici secondi di felicità




Il 2011 è stato l'anno delle Lance Fulvie berline; il 2013 sembra essere cominciato sotto l'egida della 128. Rimasta a lungo in ombra a Firenze, in questo inverno ha deciso di "sbocciare" come un bucaneve; non passa giorno che non ne incontri una. Come se, all'improvviso, le superstiti 128 rimaste a Firenze si fossero date convegno dopo essersi fatte negare a lungo. Misteri del Treggismo Militante® e del Dio de' Bivi, senz'altro; e, infatti, questo è proprio un bivio in piena regola, e dei più trafficati di Firenze. Sito nientepopodimeno che su una linea di confine comunale; ma la vettura si trova interamente sul "lato Firenze".

Questa non è soltanto un'autentica 128 di prima generazione, e pure di quel colore "ocra Fiat" che a me è sempre piaciuto da morire; ha anche un'altra caratteristica, bella e simpatica, di cui andrò a parlare fra un istante. Prima ci son da dire due cose. La prima è che le foto sopra, seppur scattate pirsonalmente di persona dal sottoscritto, sono dovute al ritorno in grande stile di una delle figure mitiche del TB: parlo della Dora. La quale si trovava casualmente assieme al di lei findanzato, alla Piasintëina ed al sottoscritto per un semplice caffè al bar dell'angolo (dopo lunga ricerca perché era una domenica pomeriggio, e i caffè la domenica pomeriggio bisogna guadagnarseli). E' stata proprio la Dora, a un certo punto, ad accorgersi della merveille che stava sopraggiungendo, e a berciarmelo addosso; al che mi sono, con notevole sprezzo del pericolo, precipitato in mezzo all'incrocio. La seconda cosa è che la 128, ayayày, è ritargata. Reinmatriculación, seppure piuttosto antica (la targa è del 1979). Essendo palesemente una 128 di prima generazione, si deve però tornare indietro ai primi anni '70 o, forse, addirittura alla fine degli anni '60 (si ricordi che fu lanciata sul mercato, con diciotto morti e ventidue feriti notevole successo, nel maggio 1969). Unico cruccio per una trovaglia sesquipedale: avesse avuto pure la targa originale... (chissà di dove).

Ma parliamo ora della sua caratteristica più notevole, che mi fa amare oltremodo questa vettura. Chissà, forse i lettori e le lettrici del TB avranno notato che il vs. Treggista Preferito®, sotto una dura scorza di anarchicaccio, mangiapreti e senzadio, nemico giurato de' matrimoni e dell'istituzione della famiglia, avanzo di questura e quant'altro, è fondamentalmente un sentimentale, e tale rimane. Se non fossi un sentimentale di tre cotte, del resto, il Treggia's Blog non esisterebbe. Ora, vedere a bordo di una 128 che potrebbe avere una quarantina d'anni buoni una famigliuola di ventenni con una bimba piccola (e deliziosa) mi ha, non lo nego affatto, commosso. Sicuramente hanno meno anni anche della targa della macchina su cui erano, belli allegri, a bordo. Invece della macchinina fighetta acquistata svenandosi di debiti, preferiscono girare sulla Centoventotto passata loro, chissà, dal babbo o dal nonno. Straordinari. Applausi. Treggisti Preferiti ad honorem, bambina compresa!

Anche per questo, stavolta, non le la sono sentita di "oscurarli". Se per caso, girando per la grande Rete, trovassero 'sta cosa e si riconoscessero assieme alla loro macchina, non mi denuncino o mi chiedano di togliere il post e le foto, perché sono un tributo di amore autentico, a loro, alla 128 ocra, a questo mondaccio cane e a una vita stracàgna che però, a un incrocio qualsiasi una domenica qualsiasi, riserva ancora un'immagine che corrisponde a quindici secondi di felicità, o perlomeno alla sua percezione. Questo e null'altro.

domenica 13 gennaio 2013

Le tregge NO TAV della Valsusa: (9 - fine) RDJ (Raggio Di Jo)



E così, finalmente, eccoci arrivati all'ultimo capitolo (per ora) delle Tregge NO TAV della Valsusa. Curioso che, cronologicamente, l'ultima treggia che qui presente sia stata in realtà la prima in assoluto di quella giornata del 25 febbraio 2012, che sembrava già estate o, quantomeno, primavera inoltrata. Cose strane e meravigliose che la Valsusa sa evidentemente regalare anche in pieno inverno; eppure, dopo un febbraio terribile come quello dello scorso anno, lassù ci siamo ritrovati a marciare in maglietta a maniche corte. Roba da non credere; e la Valle resisterà. 'A sarà düra!

Per sottolineare tutto questo, anche il Fiat Iveco Daily cassonato della foto (siamo, qui, a Bussoleno), che è di un rispettabile 1984, aveva scelto la scritta giusta; solo che il tempo la deve avere un po' cancellata e, da "Raggio di Sole" qual era, si ritrova ora ad essere un misterioso "Raggio di Jo". Pare quasi uno di quei "raggi letali" o "della morte" dei filmacci di fantaincoscienza; menomale che c'è il bel sole sopra la scritta. E con il "raggio di Jo" la Valsusa saluta e, magari, dà appuntamento alla prossima volta. Perché ci sarà ancora, la Valle. Non scomparirà con le sue meraviglie, fossero anche delle vecchie autovetture di tempi che furono. Sarà sempre là, e noi assieme a lei.

sabato 12 gennaio 2013

La smazzée de gianviè




Ed eccoci arrivati alla smazzée de gianviè, la smazzatona di Cinquini che si fa usualmente all'inizio dell'anno quando se ne sono accumulati un bel po'; a dire il vero c'è stato già un "prodromo", ma si trattava di quei particolari Cinquini portatori di targhe strane; questi, invece, sono quelli con le targhe più ordinarie. E si tratta solamente, per ora, di quelli "personali"; poi ci sono da smazzare ancora quelli di Mark B., per i quali ci vorrebbe quasi un blog apposito.

Il "pezzo forte" di questa smazzata di gennaio è senz'altro questo Mezzosacco blé oltremare del 1967. Tra i tanti colorini agghiaccianti che proponeva per le sue vetture negli anni '60, l'Agnelleria ogni tanto azzeccava qualche colore degno di questo nome; e questo è senz'altro tra i più belli. La considerazione sul colore non è oziosa dal punto di vista treggistico; specialmente per quanto riguarda le 500, è legata strettamente al loro stato di conservazione. Non so se avete notato che i Cinquini più intreggiti, arrugginiti, scassati e sbollati sono generalmente bianchi oppure di "colorini-sega" (tipo l'inqualificabile e comunissimo begino, o "color caffellatte fatto con latte irrancidito"); quelli, invece, meglio tenuti e curati hanno colori vivi, ben definiti (rosso vivo, giallo canarino ecc.).


Ed eccone la controprova, con questo esemplare -appunto- rosso vivo munito di portavaligie (un accessorio che sempre più spesso si rivede sui vecchi Cinquini, probabilmente in molti casi non originale e con preciso sospetto di piccola "moda"). Le condizioni perfette del mezzo (del 1968) si notano nonostante le non ottimali circostanze (presa al volo di sera, un'autentica rarità).



Questo qui, invece, è il più classico esempio di White Halfsack che si possa immaginare: davvero la medietas fatta Cinquecento. Bianco, tenuto così e così, e degli anni '70 (è del 1972, per la precisione). Un peccato, però, non poter apprezzare meglio dalle foto il luogo dov'era stato parcheggiato il Cinquino calabrese; uno dei panorami meno conosciuti e più mozzafiato di Firenze.



Un altro Cinquino bianco, sì; ma stavolta è titolare di qualche piccolo record. Prima di tutto, proviene da una stradina semidimenticata che, da sempre, è come una specie di miracoloso "deposito" di 500; è la stessa, solo per fare un esempio, del celeberrimo Patchwork (e non è escluso, anzi probabile, che il proprietario sia il medesimo). Poi, visto che questa è una "smazzata", devo dire che sta in lista di attesa da un tempo che anch'io mi son dimenticato quanto sia esattamente. Eccola qui, infine; un "Cinquino d'uso" ancora pienamente sulla breccia (dev'essere dei primissimi giorni del 1974).


Dallo stesso 1974 proviene questo esemplare qui, con la quale comincia la "smazzata nella smazzata": quella dei Cinquini blé scuro. 



I Cinquini blé scuro, come tutti sanno, hanno una ben precisa tendenza: la vernice era spesso di pessima qualità e si cangiava con riflessi "da macchia di petrolio sull'acqua". Non è certamente il caso di questi esemplari tenuti alla perfezione e ancora lucidissimi; questo è del 1975.



Per chiudere, un altro Mezzosacco dalla lunga attesa; e qui si torna decisamente ai "colorini" Fiat per il quale la denominazione dev'essere creata. Per questo qui, del 1974, potrebbe andar bene "color senape scaduta"!