martedì 20 settembre 2011

Uno sguardo dal ponte




Che di 500, nel TB, ce ne siano di tutte le salse è oramai diventato quasi un tormentone; però i Mezzisacchi, va detto, non finiscono mai di stupire. Qui ne vediamo uno in officina, sul suo bravo ponte di sollevamento e con le ruote posteriori smontate; e si noti anche la targa (le 500, essendo le tregge in assoluto più frequenti, sono come noto portatrici della maggior parte delle superstiti targhe degne di nota). Quando vedo una macchina sul ponte, debbo dire che ho costantemente in testa un fatto che, magari, da qualche parte sarà anche successo davvero: il ponte che si guasta e che continua a salire stiacciàndo ignominiosamente la vettura contro il soffitto. Iddìo non voglia che questa scena, decisamente fantozziana, abbia avuto a frapper questo onesto Cinquino!

Centotrenta





Della Fiat 130 si diceva che fosse stata chiamata così perché faceva centotrenta metri con un litro di benzina; e, in effetti, la storia di questa vettura è quella di un'intempestività clamorosa e di una morte commerciale annunciata.

La berlina, che per qualche anno fu l'ammiraglia della Fiat e che fu una delle principali auto matrimoniali dell'epoca, non aveva suscitato entusiasmi nell'ingegner Giacosa; si cominciò a produrla nel 1969 per fare concorrenza in un segmento dove le auto tedesche (Mercedes e BMW) imperavano. Ma tale "risposta italiana", pur essendo dotata di una meccanica raffinata e di interni sontuosi, non incontrò il favore del pubblico (ovviamente, di quello che poteva permettersela). La linea era pesantissima, da limousine sovietica; e, a proposito di peso, i suoi 1570 kg di peso non la rendevano certo un fulmine di guerra nonostante i quasi 2900 cc di cilindrata. Oltre che auto matrimoniale, era anche la più classica delle auto blu dei potenti; quando, il 16 marzo 1978, Aldo Moro venne rapito dalla Brigate Rosse, si trovava a bordo di una 130 berlina. L'affermazione che ho fatto all'inizio sarà stata forse esagerata; ma la 130 incocciò quasi subito nella terribile crisi petrolifera dei primi anni '70, e non ci fu più nulla da fare. Le autovetture di quel segmento continuarono ad essere tedesche; di 130 ne furono vendute soltanto 15.000 (da qui l'estrema rarità d'incontrarne una).

Nel 1971, della 130 fu fatta anche una versione coupé, carrozzata da Pininfarina; è quella che vedete nelle foto, dotata di una targa di Reggio Emilia assolutamente degna di nota (di cui però non posso oggi dirvi l'anno per un improvviso blackout di targheitaliane.com; ma quasi certamente è del 1972). La 130 coupé era, senz'altro, una bella macchina; la meccanica era la stessa della berlina, ma la cilindrata era salita a oltre 3200 cc. Nel 1973, con la crisi petrolifera di cui sopra, chi la possiedeva si ritrovava a fare i conti con un consumo di un litro di benzina ogni 4 km. Non potendo fungere da "auto blu", divenne una specie di araba fenice: chi ancora si poteva permettere una vettura del genere restava fedele alle tedesche, e chi la aveva già acquistata non sapeva letteralmente più che farsene. In pratica, con la 130 la lungimirantissima Fiat compì un autentico suicidio commerciale, tanto grave da determinare il definitivo abbandono del cosiddetto "segmento F" (che tuttora perdura). Nonostante tutto, la coupé restò in produzione fino al 1977, vendendo in tutto 4491 esemplari. Trovarne una è ancora più raro della berlina, insomma; per fortuna che ci pensa il vostro Treggista Preferito®, scorrazzando con l'ambulanza...

lunedì 19 settembre 2011

Genuenses Centoventottae (2)




Qui, invece, il gioco si fa duro e Genova cala un asso. Una 128 di prima generazione è una gran cosa da vedere (e il qui presente Treggista non ne ha finora mai viste in giro a Firenze), e questa sicuramente lo è. Siamo nel 1973, periodo in cui questa vettura era il sogno e l'aspirazione dell'italiano medio che ancora si barcamenava con le utilitarie in vista della prima, vera crisi petrolifera (quella dell'austerity e del terrificante aumento della benzina a 130 lire il litro, chissà se qualcuno se ne ricorda...)

Genuenses Centoventottae (1)


Mentre a Firenze sembra oramai piuttosto raro incontrare una 128, a Genova l'amico Fabrizio ne trova a bizzeffe. Chissà, forse il genovese -data la sua ben nota fama, giusta o leggendaria che sia- non si priva facilmente di un automezzo che si è dimostrato affidabile, o forse la 128, con le sue famose "dimensioni medie", si adattava particolarmente bene alla conformazione del territorio genovese. Fatto sta che, se uno vuole vedere 128 in tutte le salse, mi sa che deve andare a Genova e dintorni. Qui ne abbiamo una di "ultima generazione", una Special verde del 1977.

venerdì 16 settembre 2011

Una Guzzi in diagonale



All'interno del locale dell'officina, lo spazio era talmente ristretto per le supertregge che vi erano stipate, che sono stato costretto a cimentarmi con un'autentica novità per il TB: la foto in diagonale. Posizione da campione di biliardo che fa l'ottavina reale, clic clic ed ecco (anche normalmente da dietro, però) questa rossa Moto Guzzi del 1953. Per fotografare una moto del genere, lo giuro, mi sarei messo in ben'altra posizione; ma fortunatamente non ce n'è stato bisogno...

mercoledì 14 settembre 2011

His car!



Io ve l'avevo detto che, stamani, ho trovato un'officina delle meraviglie; ma di quelle da fà 'nvidia al paese di Alice, proprio. Ad esempio, accanto alla 600 Savio Jungla del post precedente, c'era questa cosa qua. Beh, vi direte sicuramente: E capirai. Una Cinquecento col muso un po' differente; e, in effetti, torto non avreste. Ci proviene direttamente, questo Mezzosacco diversamente musato, da un'epoca in cui una miriade di piccoli carrozzieri sparsi per tutta Italia si divertivano a pigliare i modelli di autovetture più comuni e a modificarli come più aggradava loro; tra di essi, il vercellese Carlo Francesco Lombardi, più noto come Francis Lombardi.

Si potrebbe dire: una vita italiana del '900. Genovese di nascita ma vercellese di adozione, fu uno degli assi dell'aviazione durante la Grande Guerra per sposare poi il dannunzianesimo, l'impresa fiumana e il fascismo. Compì dei raid memorabili, come il primo volo diretto Roma-Muqdisho tra il 12 e il 18 febbraio 1930; nel 1938 fondò l'AVIA (Azienda Vercellese Industria Aeronautica), per la produzione di aeroplani. Inizialmente compromesso pesantemente col fascismo (tanto da essere nominato nel 1939, direttamente da Achille Starace membro della Federazione Provinciale dei Fasci), al momento dell'instaurazione della Repubblica Sociale Italiana (o Repubblica di Salò) cambiò radicalmente direzione: nell'autunno del 1943 istituì il Comitato interpartitico vercellese per la lotta contro i tedeschi e i fascisti e arrivò persino a essere membro del CLN vercellese come rappresentante degli industriali. Da notare che tale Comitato aveva sede presso la stessa AVIA, e che si potrebbe ipotizzare che aveva capito dove stava tirando il vento; però tutto, naturalmente, è possibile. Persino che fosse diventato sinceramente antifascista. E sicuramente assai italiano, nonostante il soprannome britannico.

Nel dopoguerra, ed esattamente nel 1947, convertì la sua AVIA nella Carrozzeria Francis Lombardi, che dal 1950 si occupò esclusivamente nella conversione di modelli di autovetture già esistenti. Tra giardinette rifinite in legno (su base Fiat 1100) e la conversione in limousine di alcune vetture di fascia alta, allungando il passo di modelli come la Fiat 1400 e la Fiat 1800, trovò il tempo (nel 1966) di produrre la prima, vera Papamobile: una Fiat 2300 114B dotata di tetto in cristallo asportabile, commissionatagli direttamente dal Vaticano e adibita agli spostamenti di Paolo VI. Vedete che roba c'è dietro la vetrina di un'officina!


La Fiat 2300 144B "papamobilizzata" da Francis Lombardi nel 1966.

Contemporaneamente al "segmento di lusso", però, Francis Lombardi non disdegnava intervenire sulle utilitarie; fu così che, dal 1968 al 1971, produsse il suo maggiore successo commerciale: la Fiat 500 Francis Lombardi "My Car". Insomma, quella specie di 500 in vetrina che ho trovato stamani; tra l'altro, se qualcuno se la vuol comprare, è in vendita (è un esemplare del 1969). Dagli aeroplani alle 500 trasformate, il passo fu (forse!) breve. La "My Car" (che gli italiani pronunziavano sicuramente micàr, maicàrre eccetera) fondò il suo successo su due caratteristiche principali: la diversa conformazione del tetto, che permetteva una migliore abitabilità dell'angusta utilitaria (ne avete mai vista ora una accanto a un SUV...?), e i rapidissimi tempi di consegna nonostante il prezzo leggermente superiore a quello di una 500 base. Le 500 venivano consegnate dalla Fiat a Francis Lombardi prive di tutte le parti specifiche (come il tetto), che venivano assemblate a Vercelli: pratica diffusa anche presso la più famosa Abarth.

La Carrozzeria Francis Lombardi chiuse nel 1976; l'8 marzo 1983 Francis Lombardi morì a quasi novant'anni. "His Car" continua, come si vede, a circolare; e in quelle quattro ruote c'è tutta un'epoca che non c'è più. Ora siamo in quella dei "marchi"; allora, dietro al marchio c'era il lavoro di tutta una vita. Comunque la si voglia pensare sul suo percorso.



Il libro della Jungla




Ed eccoci arrivati, anche per questo torrido settembre (e speriamo che duri!), al termine dell'oramai consueta pausa mensile. Corrispondendo casualmente con l'inizio delle scuole (almeno in Toscana), che cosa c'è di meglio che di una bella treggiotta reperita proprio stamani vicino ad un liceo, mentre i ragazzi e le ragazze sciamavano felicissimi (anzi, estasiati) di confrontarsi con lo sfacelo della Gelmini?

Vicino a cotal liceo, però, stamani ho scoperto la vetrina delle meraviglie. La classica officina tenuta dal meccanico anziano, di quelli che continuerà a mettere le mani nei motori e a rimettere a punto vetture fino a novantacinqu'anni; ed ecco il primo assaggio di quel che stava stipato dentro un locale laterale, dove il meccanico tiene evidentemente le macchine da lui rimesse con le sue sante manine in attesa che qualche volonteroso le compri (ovviamente, le ha offerte anche a me quando sono andato sfacciatamente a chiedergli, sceso da un'ambulanza, di aprirmi il locale per fotografare 'gnihosa.

Pigiata come una scatola di sardine, ecco questo piccolo θαῦμα pigiato come una sardina; una vetturetta di un produttore di cui avevamo già fatto conoscenza tempo fa, grazie ai celebri Caporniani di cui purtroppo non s'ha notizia oramai da troppo tempo (se ci siete, Simone e Giulio, battete un colpo!). Proprio lei: una Fiat Savio 126 Jungla, stavolta in condizioni perfette, rossa fiammante e pure con una targa niente male "a scarto di 20" (del 1976). E con tanto di pataccone ASI, o Registro Fiat, o chissà cosa, a sciupare come al solito ogni cosa; ma ci si passerà sopra, esattamente come ho rischiato di doverci davvero passare sopra per fotografarla (ma, forse, il meccanico non sarebbe stato contento).

sabato 3 settembre 2011

Ubik






"Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io ero."
(Philip K. Dick, Ubik)

La vettura che vedete, una Mercedes 350 SL spider del 1973, sappiatelo, è ovunque. Ubiqua. Sussistono pochi subbi sul fatto che, per il suo più inquietante capolavoro, Philip K. Dick abbia ripreso il nome della "cosa" dall'aggettivo ubiquo (latino ubiquus); e poiché, prima della dichiarazione finale, l'entità si manifesta attraverso apparenti messaggi pubblicitari, si può benissimo credere che la Mercedes che vedete nelle foto non ne sia che una delle infinite emanazioni. Tutto è Ubik, tutto e ovunque.

Un giorno dello scorso agosto, spinti da una banale quanto costosa necessità (la sostituzione di un intero parabrezza), io e la Piasintëina ci siamo dovuti recare in una certa e importante strada di mezza periferia, dedicata a uno di quei famosi assi dell'aviazione che tanto son sempre piaciuti alla fascisteria di casa nostra. Me ne stavo fumando una sigaretta all'esterno dell'officina, quand'ecco che mi passa davanti la vettura che vedete; allargo le braccia, l'ennesima treggia perduta. Nel passato mese d'agosto, fra l'altro, le tregge perdute sono state, purtroppo, non poche; sono circa le 10 del mattino.

Verso le 11,30, terminata la spiacevole bisogna (spiacevole soprattutto per il portafoglio), ce ne torniamo a casa; non molto distante, o cosa ti vedo? La stessa vettura placidamente parcheggiata sotto il sole implacabile. Ogni tanto ci vuole anche una botta di fortuna; treggia perduta e ritrovata in un battibaleno. Scendo, e clic; finalmente una che va bene.

La cosa sarebbe potuta finire qui; senonché verso il tramonto, in una zona stavolta assai distante da quella del mattino, e perdipiù alla stessa rotonda della DeLorean (il che aggiunge inquietanza per ovvi motivi, visto il ritorno al futuro), chi mi sfila davanti? La stessa Mercedes spider targata Roma. Comincio a provare dei sudorini freddi: due volte d'accordo, ma tre volte la stessa treggia nello stesso giorno non può essere, forse, un caso. Mi sento colpito da dinamiche soprannaturali fin dentro al pancreas; controllo la bomboletta spray di antizanzare che tengo in macchina per vedere se abbia un'aria strana.


Calano le tenebre della notte; circa un'ora dopo, in una zona ancora diversa della città, siamo fermi ad un semaforo. Si affianca una macchina, della quale vedo prima il cofano, poi il parabrezza; mi accorgo che è una vettura scoperta. Mi supera; la stessa Mercedes targata Roma. Ancora lei. Per la quarta volta nella medesima giornata. E' troppo; con l'892424 cerco di farmi passare Philip Dick per scoprire cos'abbia in mente nei miei confronti, e se per caso, visto che per un tipo del genere non può significare nulla il volgare e banale fatto che sia morto, non abbia intenzione di scrivere il suo prossimo romanzo sul Treggia's Blog. Beh, come veicolo pubblicitario non sarebbe poi malaccio; però, forse, preferisco rimanere un blogghino di periferia. Credo che tutti mi capiscano!


Sfizzera? No, Pescia! (3)






Quando si dicono le passioni brucianti; sí, perché di AR 59 ce n'era un'altra. Dalla strada non si vedeva, e per "catturare" certe tregge bisogna prima aver stabilito un certo grado di familiarità con chi la possiede. Una familiarità che può durare anche un solo quarto d'ora, ma sufficiente a far sí che una persona, praticamente, apra le porte di casa ad un perfetto sconosciuto che si era fermato a pisciargli davanti all'uscio. Fra le cosiddette "persone normali" può darsi che scatterebbero gli insulti, le labbrate o addirittura di peggio; fra appassionati di tregge, fotografiche e/o reali, è tutta un'altra cosa. Si condivide una passione. Non è certamente detto che si divenga amici e neanche conoscenti; anzi, nel 99% dei casi non ci si rivedrà mai più; però, per un quarto d'ora siamo fratelli o roba del genere.

E così il signore del cane-orso, quasi con complicità, mi ha detto: Eh...e ancora non ha visto nulla! Ce ne ho un'altra...pensi la avevo presa dopo che avevo rimesso quell'altra, ma forse questa qui che lo fo vedere sarebbe ancora più bella...! Mi fa inoltrare nel suo giardino, davanti al panorama mozzafiato della Svizzera Pesciatina e delle Dieci Castella; si scendono delle scalette, ed eccola qui. Ancora mezza rudere, con le targhe raffazzonate alla bell'e meglio e gli interni alla porcopadrepìo. Capolavoro. Quasi verrebbe la voglia sí di rimetterla in sesto, ma non troppo; una Campagnola non è fatta certo per essere rileccata. Ma sono certo che quel signore là non abbia la benché minima intenzione di farne un mezzo da pottino.

giovedì 1 settembre 2011

Sfizzera? No, Pescia! (2)




Lasciato San Quirico in Valleriana, con la sua piazzetta nella quale i vecchi del paese, su alcune sèggiole, si divertivano a guardare cinque o sei ragazzini e ragazzine che giocavano al salto della corda (ve lo avevo detto che, lassù, il tempo non esiste...), io e la Piasintëina ci siamo inoltrati per altre stradine lupesche, decisi a vedere un po' d'altro di quei paraggi. Di paesi arroccati su per le pénte, ce ne sono parecchi; dieci, per la precisione. Li chiamano Le dieci Castella; e debbo dire che, al sottoscritto, quegli antichi plurali neutri in -a garbano parecchio. A San Quirico viveva la rumena, e almeno in una cosa il rumeno e il toscano sono identici da sempre: son le uniche lingue romanze che hanno mantenuto i plurali neutri latini (uova, ad esempio, in rumeno si dice ouă ; e se a Firenze esiste l'antichissima via delle Campora, ove campora è l'antico plurale neutro di campo, il rumeno risponde con câmpuri, che è il plurale di câmp).

Ad un certo punto, però, la Svizzera Pesciatina è diventata, almeno per il sottoscritto, la Svizzera Pisciatina; in estate bevo tre o quattro litri d'acqua al giorno, e il numero delle mie minzioni giornaliere è elevato. Insomma, mi son fermato a pisciare quando ho scorto il cancello d'una linda casetta protetta da un orso travestito (piuttosto male, per giunta) da cane. Dietro al cancello e all'orso, però, c'era quel che vedete nelle fotografie; e se non l'avete riconosciuta, vi dirò che il volgo la chiama "Campagnola", e il Treggista -invece- Fiat 1101 AR59. The original. Quella che serviva per davvero a andare per le campagne e per i monti. Senza compromessi: scoperta, senza portiere e verde militare. La targa lucchese (bonissima con quel suo 32 38 35) è del 1982, però non è quella primitiva; non si tratta di un mezzo degli anni '80. Da credere sicuramente che il proprietario possa averla acquisita in qualche svendita o asta di automezzi militari dismessi. L'aspetto è quello di un vecchio mezzo dell'Esercito Italiano, e si fa fatica a pensare a un caso; "AR" voleva dire "Autovettura di Ricognizione"...

A questo punto vi direte: ma com'è che il Treggista è riuscito a fotografarla? Vi dirò; caratteristica assolutamente necessaria per intraprendere questa carriera, è quella d'essere dotati di una sfacciataggine non indifferente. Arriva il proprietario che sente abbaiare il cane, due paroline magiche (tipica: sono un appassionato di auto d'epoca, posso fare due foto?, che è al tempo stesso di una estrema ma funzionale banalità ed estremamente sincera), il padrone tiene a bada l'orso (che poi si rivela buonissimo ma non si sa mai), fuori la Kodak, e clic.

Sfizzera? No, Pescia! (1)




Non si sa chi sia stato il primo ad avere avuto la pensata di paragonare la zona collinare e montana dietro la città di Pescia alla Svizzera; ritengo altamente scorretta la cosa, perché quel che c'è passata la città dei fiori (e del calciatore Pazzini) è molto più bello di tutta la Confederazione Elvetica. Ma vo' mètte'...?!? Un incanto senza fine. Fatto sta, che quella zona è nota da un bel po' di tempo come Svizzera Pesciatina; ma ritengo che, casomai, si dovrebbe parlare, lassù fra i cantoni, di Pescia Elvetica. Non per sminuire troppo le bellezze sfìzzere, che ben conosco; però dalle parti di Pescia c'è il non trascurabile vantaggio di non avere tra i coglioni banche (a parte qualche filiale della Cassa di Risparmio), orologi e, soprattutto, gli svizzeri. Niente cioccolato e formaggio? Pazienza, le specialità locali sono migliori e più variate. Quanto agli orologi, non servono a niente; lassù si è davvero fuori dal tempo e non occorre misurarlo.

La Svizzera Pesciatina l'ho conosciuta non molto tempo fa grazie, manco a dirlo, a un trasporto in ambulanza. Un'anziana signora doveva essere dimessa da Careggi e trasportata in quello che veniva presentato da Europ Assistance come un posto da lupi vicino a Pescia. Quando mi è stato detto il nome del paesino, mi è venuto immediatamente da pensare che si trattava di un posto assai tranquillo, chiamandosi San Quirico in Valleriana. D'accordo, c'è la doppia elle, però l'assonanza con la valeriana era troppo palese...


San Quirico in Valleriana.

Questa è un immagine del paesino, e ditemi voi se in Sfìzzera avete mai visto qualcosa del genere. Mi spiace, ma pur credendo fermamente che nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà, sono al contempo un ultranazionalista toscano. E pure i nomi sono decisamente più belli di Grossglöckner e Jungfrau. Jungfrau vuol dire "Madonna"; fossi Maria Vergine, avrei qualche problema nel sentirmi chiamare come un caporalmaggiore delle SS.

Passata Pescia, in effetti si entra in una stradina da ululati (ululì, ululà, come in Frankenstein Junior); quella prima volta, farsela con la 43 (vale a dire un'ambulanza Mercedes lunga sei metri e convenientemente larga) non è stata cosa da ragazzi. Peu importe; è stato amore a prima vista. Ivi compreso dover lasciare il mastodonte nella piazzettina del parcheggio, prima del paese, e procedere a rimettere a casa la signora a zampettoni, facendosi viuzze e scalette con la sedia da trasporto. Una faticata spaventosa, ma ne valeva la pena; accompagnava l'anziana una simpaticissima badante rumena di mezz'età, vagamente sorpresa che l'autista parlasse decentemente bene il rumeno. L'autista, invece, ragionava sul fatto che, nel 2011, una rumena fosse capitata a San Quirico in Valleriana; davvero il mondo è cambiato.

Inutile dire che mi ero subito ripromesso di portarci la Piasintëina, da quelle parti; il fatto gli è che, quando m'innamoro di un posto, lo devo condividere con chi amo. Non c'è nulla da fare. Non posso tenermelo "tutto per me". Venne il mese d'agosto, e approfittando di qualche giorno di pseudoferie, almeno per me, a San Quirico e nella Svizzera Pesciatina ci siamo tornati. Va da sé che, in mezzo alle bellezze paesaggistiche, l'occhiolino del Treggista stesse dimolto attento; quei posti là sono di per sé posti da tregge, e infatti l'aspettativa non è andata per nulla delusa. A cominciare dall'inizio; questa verdeggiante Citroën Dyane 6 del 1977 (toh..) si trova infatti proprio all'inizio del paese, dove qualche mese prima avevo lasciato l'ambulanza. Ci avrò mica lasciato uno zinzino di DNA...?