sabato 22 marzo 2014

Sudate, o fochi, a preparar metalli



Il famoso verso del sonetto del poeta seicentesco Claudio Achillini (la cui fama è dovuta più che altro all'essere stato nominato da Alemanzo Sandroni nei Prospòsi Messi), sembra adattarsi particolarmente a questa specie di transatlantico fotografato dal noster Simone B. nella storica e antica piazza principale del suo paese natale, San Casciano in Val di Pesa. Transatlantici e metalli che sudano: nulla di più acconcio a questa magnificente e solenne autovettura, dato che si tratta di una rarissima Ansaldo 4CS con targa torinese emessa il 1° luglio 1938, ma il cui pataccone ASI indica come data di costruzione il 1926.


Ansaldo: già il nome fa venire in mente costruzioni meccaniche pesanti, locomotive, vagoni ferroviari, corazzate, acciaierie. E' un'azienda antichissima: fu fondata nel 1853 da Giovanni Ansaldo a Genova per diretto interessamento dello stato Sabaudo, che intendeva iniziare una politica industriale. E tuttora i settori dell'Ansaldo di questo si occupano. Ma, per un certo periodo, l'Ansaldo ha prodotto anche mastodontiche autovetture simili, appunto, a corazzate. Ne sono rimaste pochissime in circolazione, da contarsi sulle dita di una mano; facile immaginare il valore che abbiano. Nella foto sopra si può notare come viaggiare a bordo di un'Ansaldo 4CS significasse sistemarsi tranquillamente in poltrona.


È un'immagine di siderurgia quella che si riceve di fronte a una vettura del genere; in effetti, però, la S.A. Ansaldo Automobili era una branca sorta nel 1919 in seguito alla riconversione civile dell'Ansaldo originaria, che lavorava principalmente nell'ambito dell'industria pesante a scopo militare (anche, ovviamente, con la produzione di cannoni; altro aspetto per il quale il sonetto dell'Achillini ci sta a pennello). La Ansaldo Automobili, tra crisi varie, andò avanti fino al 1932, quando fu assorbita prima dalla OM e poi dalle Officine Viberti; a partire da quella data, di automobili Ansaldo non si parla più.


La 4CS,  a sei posti, era la versione torpedo della berlina, la 4C. Rispetto a automobili coeve e di dimensioni simili, aveva una cilindrata abbastanza limitata: "soli" 1981 cc3, che erogavano una potenza di 35,8 kW per una velocità massima di 106 kmh. In pratica, in queste foto si può vedere un'autentica torpedo blu, come quella cantata da Giorgio Gaber. Esisteva anche una versione sportiva della 4CS, che fu guidata da un giovane pilota che avrebbe fatto un po' di carriera, tale Tazio Nuvolari.

venerdì 21 marzo 2014

Piazzale superstar



Il Piazzale Michelangelo, inutile minimizzarlo, è la vera superstar della Treggia a Firenze. Qualunque treggia più o meno storica (e non solo fiorentina, ma di mezzo mondo) è passata di lì. Oggi, sempre per festeggiare l'arrivo della primavera, a cura del nostro Mark B. il piazzale ci offre questo stupendo esemplare di paleocinquino (o archeomezzosacco) immatricolato nientepopodimeno che il 5 giugno 1962


Andandosi quindi a posizionare tra i Cinquini più vecchi del TB, rinfocola anche la "Saga del 17", una delle categorie più sentite del blog. Si noti, naturalmente, che le foto sono state prese durante un raduno (proprio di 500); a differenza del sottoscritto, Mark B. è infatti un frequentatore assiduo di autoraduni. Differenze di impostazioni; ciò non toglie che, a Mark B., le foto le pubblico sempre. E' un dovere, oltre che un piacere.

È primavera, gào!



A rigore, per quest'anno 2014 la primavera sarebbe entrata ieri; però, per tradizione consolidata, la primavera comincia il ventuno di marzo, e oggi è appunto il ventuno di marzo. E anche una bella giornata primaverile sul serio; che c'è di meglio di trovare in giro, dalle parti di piazza d'Azeglio, una BMW su du' ròte, immatricolata giusto giusto trent'anni fa: il 30 maggio 1983. Immatricolata, d'accordo, a Pisa: la perfezione non è di questo mondo!


lunedì 17 marzo 2014

Le quattro cifre



Questo 17 marzo 2014 rischia di essere una data storica per il Treggia's Blog. Come si sa, una delle più annose ricerche non solo di questo blog, ma di chiunque a Firenze si occupi di queste cose, è la targa FI a quattro cifre. Forse la Ricerca con la R maiuscola, perché al giorno d'oggi sembra che non siano più presenti in circolazione, o comunque ancora immatricolate, autovetture con una targa FI a quattro cifre; vale a dire, immatricolate prima del 30 aprile 1930, data in cui fu emessa la targa FI 10000. Esiste la mitica FI 2, la Lancia Lambda immatricolata il 21 marzo 1927, e poi il vuoto. E' forse possibile che, in qualche sperduto magazzino o garage delle campagne, si nasconda qualcosa che non vuol venire fuori; ma il tutto rassomiglia parecchio all'Araba Fenice, tenendo conto che si tratterebbe (e nel caso della Lambda, si tratta) si vetture che avrebbero tra gli 84 e gli 87 anni.

Ma se trovare una "QC" circolante o ancora immatricolata è praticamente impossibile, quantomeno arduo è pure trovarne testimonianze iconografiche chiare. Ci ha pensato, con mossa abilissima, Simone B. di San Casciano, che mi scrive:

L'ho trovata !!!!! 

Finalmente ho trovato una targa fiorentina a 4 cifre senza possibilità di contestazioni o dubbi. Nella foto appare chiara, netta e limpida.

La foto è tratta dal volume "Cavalli e Motori" edito da Alinari e vi appare un furgoncino a me ignoto ( forse un Fiat 507 F o un Lancia Esajota) che ha fatto un bel frontale con un filobus della linea 1 (Logge del Mercato Nuovo-Rione Cure); nel libro la foto è datata 1936.

La targa è FI 2619 e dovrebbe risalire al 27-28 settembre 1927.
Non è purtroppo possibile individuare con sicurezza il punto di Firenze dove si verificò l'incidente raffigurato nella foto; è possibile, però, ricostruirne la data approssimativa. Sul tram della Linea 1 si nota infatti l'annuncio di un match di calcio tra la Fiorentina e il Torino. Il match del campionato 1936-37 si svolse a Firenze esattamente il 18 ottobre 1936 (è da escludere quello del campionato precedente, 1935-36, dato che si svolse il 3 maggio e l'abbigliamento delle persone non sembra corrispondere affatto alla stagione), e, per la cronaca, vide la vittoria della Fiorentina per 1-0. 

La foto deve precedere di pochi giorni quel match; dovremmo essere attorno al 15 ottobre 1936; tra l'altro, il tram della Linea 1, recandosi nel "Rione Cure", andava esattamente verso lo Stadio Comunale (che allora si chiamava "Giovanni Berta").

domenica 16 marzo 2014

Il Diavolo venuto dall'Islanda



Questo è un post decisamente anomalo, come anomala è tutta la situazione. Figuriamoci se mi avrebbe attirato un normalissimo furgone seminuovo che era parcheggiato vicino a casa mia, in via Canova (che, per le sue dimensioni, tutti chiamano erroneamente "viale Canova"). Quel che mi ha attirato immediatamente, e parecchio, è la sua targa:


Ci sono occasioni in cui il Dio de' Bivi la fa veramente grossa; questa, infatti, è una targa islandese. E islandese personalizzata. L'ho riconosciuto subito, di dov'era; e, infatti, il suddetto Dio de' Bivi va a mettere, una mattina qualsiasi, un furgone islandese proprio sulla strada del Treggista Militante® che, tra le sue svariate & curiose cosine, è anche l'autore di uno dei pochi corsi di lingua islandese in italiano, il famoso (o famigerato) Kennslubók í nútíma íslensku handa ítölum che ho scritto in ventidue anni di lavoro e che da oltre una decina gira in rete liberamente, perché quando dico di essere contro ogni forma di "copyright", lo sono per davvero. Così imparate a conoscere un po' meglio il vs. Treggista Preferito® e tutte le sue non poche mattane; in pratica, se putacaso vi pungesse vaghezza d'imparare l'islandese e cercaste qualcosa in Rete, andreste a sbattere immediatamente nel sottoscritto.


Ignoro naturalmente che cosa ci facesse un furgone islandese una mattina qualunque in via Canova, all'Isolotto; però la cosa ha meritato un'inchiodata. Il fatto è che, lo avrete capito, ho con l'Islanda un legame antico e profondo; tanto più che, sulla fiancata del furgone, c'è addirittura il dio Thor (che in islandese si dice Þórr; il segno "þ" equivale al "th" inglese). Tornando alla targa personalizzata (possibilità che, in Islanda, è del tutto reale e non puramente teorica come in Italia), contrasta un poco con il Dio de' Bivi; il furgone è infatti targato "Il Diavolo". Questo è il significato dell'islandese Púkinn, che è la parola che compare nella targa (senza l'accento, che poi accento non è ma un segno che da alla "u" pronuncia piena, come in italiano; in pratica, nella non semplice pronuncia islandese si legge ['p(h)ukidn]).


Perché "Il Diavolo" e non "Diavolo" e basta? Semplice: in islandese, come in tutte le lingue nordiche, l'articolo determinato si attacca in fondo alla parola, come suffisso. Quindi, il sostantivo maschile púki "diavolo", col suo articolo -(i)nn diventa, appunto, púkinn. Eccovelo qua, in una targa. E anche sulla fiancata del furgone, come si vede nella relativa fotografia.

Naturalmente, a casa, mi è presa la legittima curiosità di vedere che diavolo -eh- giustamente fosse 'sto diavolo islandese che stazionava in via Canova; curiosità soddisfatta in due secondi. Si tratta di una catena di negozi islandese che vende ogni sorta di articoli e accessori per motociclette e motociclisti, in particolare da cross e enduro e ancor più in particolare per la famosa casa produttrice svedese Husqvarna, specializzata in moto da cross e in macchine per cucire (con la speranza che non produca una macchina per cucire da cross). La Husqvarna, come avrete potuto notare nella prima foto, è presente anche sul cofano anteriore del furgone. E così, come si evince dalla homepage Púkinn, abbiamo fatnaður (abbigliamento), Enduro, töskur (borse), TCX Skór (scarpe TCX) e anche gönguskór (scarpe per camminare). Dalla homepage si evince che Púkinn ha ben due punti vendita a Reykjavík, la capitale islandese; casomai vi trovaste lassù e aveste impellente bisogno di accessori motociclistici, andate o nella Grensásvegur al numero 14 o nella centralissima Laugavegur, il corso principale ("via delle Sorgenti") di Reykjavík.

E così il nostro Diavolo motociclistico islandese si è fatto pure fare il furgone con la targa personalizzata; il quale, una certa mattina, è venuto a farsi una giratina a sud; cose da Treggisti!

Metti in un Piazzale una mattina...



Da un certo Piazzale panoramico, donde si gode un'incomparabile visione di Firenze celebrata nel mondo intero, ci passo più che spesso. Diciamo praticamente tutti i giorni che Manitù mette in terra, e va da sé che ha fornito al TB parecchia e bella roba (almeno per compensare un po' le malefatte dell'attiguo viale de' Colli, detto anche il Viale delle Tregge Perdute per la quantità impressionante di meravigliose autovetture che mi son passate davanti sfilandomi -imprendibili- sotto il naso). Detto Piazzale, come ben sanno i frequentatori e le frequentatrici del TB, è uno dei luoghi prediletti per gli autoraduni di qualsivoglia dimensione e portata; manifestazioni che il sottoscritto frequenta più che raramente, fedele al principio fondante del Treggismo Militante®: le tregge gli hann'a èsse' trovahe pe' la strada.


Metti, però, che una bella matina d'un dì di festa si passi proprio da quel Piazzale, e che vi si vedano raunate alcune vetture, diciamo, non propriamente nuove di pacca; beh, un'eccezione la si pòle fare, anche perché sembra una cosa fatta alla buona, fra amici o conoscenti, e senza pompe magne. Poi, se c'è di mezzo una Bianchina come questa, verde pisello, arriva immediatamente Mr Oscar Wilde a ricordarti che l'unico modo per resistere alle tentazioni, è cedervi.


La Bianchina in questione, che meglio sarebbe definire Verdina, è stata immatricolata esattamente il 17 ottobre 1963. E qui devo fare, per forza, un excursus. Questa macchina è entrata in circolazione quando il vostro Treggista Preferito® aveva la bella età di 23 giorni, essendo nato il 25 settembre 1963. E' un bel po' che mi chiedo se troverò mai una macchina immatricolata proprio quel giorno, con la sua bella targa FI 22 e qualcosa (questo mi sembra appurato), anche in fotografia; chissà. Ma torniamo alla nostra Verdina:


Si avrà modo qui di apprezzare l'autentica perfezione da giojellino con cui è tenuta, anche all'interno, questa vetturetta. Forse troppa; ed è questo uno dei motivi per cui frequento malvolentieri gli autoraduni dei collezionisti e roba del genere (pur conoscendone non pochi, e anche di parecchio simpatici e alla mano). Io sono principalmente uno zìngano, come si dice a Firenze mantenendo la "n" etimologica del greco 'Αθίγγανος (che vuole dire "intoccabile"); mi piacciono sommamente le vere tregge mezze sfondate, piene di fitte, lézze dentro e piene di roba inverosimile; che dentro puzzano d'ogni cosa, di sigaro toscano, di carciofi fritti, d'acqua ragia, di segatura, d'ogni cosa e non di Arbre Magique. Mi piacciono le vetture in condizioni tali da sfidare la logica, per circolare. Son fatto così, che ci volete fare; ciononostante, figuriamoci se voglio dare addosso alla Verdina da collezione che ha la mia stessa età o quasi. Lunga, lunghissima vita!

lunedì 10 marzo 2014

Vespisti




Quando si becca anche un pur minimo raduno Vespistico, c'è da star sicuri che i partecipanti fanno a gara nel conciare i loro scooter nei modi più inverosimili. Questo esemplare nominalmente brianzolo beccato a suo tempo nel viale Malta, munito di una targa niente male e risalente al 1977. Borse, borsoni, baùli, càzzy, màzzy, ricchi premi e côtillons (du' par di cotijòn, come diceva i' mi' pòero prozio Aldo). Scherzo, naturalmente: i Vespisti organizzati sono certamente tra i più simpatici radunisti che si possano trovare.

domenica 9 marzo 2014

Cartolina da Firenze



È una delle più classiche cartoline da Firenze, quella mandatami da Mark B.; di quelle de' bei tempi che furono, in bianco e nero e con la didascalia redatta nei famosi "caratteri da cartolina", in uso in tutta Italia. "Firenze - Ponte Vecchio" recita la didascalia in questione; e, in effetti, il Ponte Vecchio c'è in tutto il suo splendore. Naturalmente, però, non penserete che due Treggisti Militanti® si scambino una cartolina del genere per il Ponte Vecchio, pur tributatogli il dovuto rispetto; quel che interessa è addirittura più in primo piano, vale a dire la veduta del Lungarno degli Archibusieri.

Innanzitutto, colpisce il fatto che il traffico fosse ancora così scarso da permettere la circolazione a doppio senso sul Lungarno (che in quel tratto, proprio davanti al piazzale degli Uffizi, è peraltro molto stretto). Circolazione a doppio senso che viene colta nel pieno del suo svolgimento: stanno infatti passando, nella cartolina, due autovetture una nel senso opposto a quello dell'altra. Vediamo una Fiat 600 che appare nuova di pacca e lucidissima, e la cui targa è di lettura un po' incerta. Sembrerebbe FI 93423; ma, ripeto, la lettura non è sicura al 100%.

La targa in questione sarebbe comunque del dicembre 1956, e la cosa potrebbe collimare con l'altra vettura, quella che viene incontro alla 600. E' una Fiat 1400, che qui si presenta un po' ingrandita (e, purtroppo, più sgranata):


Non è qui possibile leggere minimamente la targa; ma si sa che la Fiat 1400 fu prodotta dal 1950 al 1958. Considerato l'abbigliamento abbastanza leggero delle persone colte nell'immagine, non si dovrebbe essere lontani dal vero situando questa immagine nella primavera del 1957.

sabato 8 marzo 2014

Kakawasi



Quando, negli anni '70, si cominciarono a vedere anche a Firenze le motociclette giapponesi, ci si scatenò quasi subito. Icché si dihano du' moto giapponesi pe' mandassi in culo? La yamaha di to' màaee...; oppure: Icché gni dihano a una moto giapponese a i' mare? 'Un fa' l'honda..., e così via. Il fatto è che sì, erano belle e andavano bene; poi erano "esotiche" e c'era la moda (quella che ancora non aveva preso le macchine, perché quelle, anzi, venivano prese in giro per la loro incredibile bruttezza; diciamo che tra Italia e Giappone c'era una lieve discrepanza estetica). Poi, certo, c'erano i nomi; sembravano fatti apposta per ricamarci sopra. E fu così che la Kawasaki diventò, quasi all'istante, Kakawasi, con una semplice metàtesi sillabica. La metafora scatologica è connaturata nell'anima toscana, e fiorentina in particolare; non esiste pòpolo che più ami la merda al mondo (si pensi solo all'Inno del corpo sciolto di Benigni; ve la vedete venir fuori da un lombardo o da un molisano, una cosa del genere?...)


I' resurtaho gliè che, le volte che mi càpita di vedere una di quelle (oramai quarantenni e oltre) moto nipponiche, tornano ad essere Kakawasi e Kakawasi rimangono. A dire il vero, tutto si basa su di una squisita mispronounciation: il nome originale, infatti, andrebbe letto "cauasàchi". Ma tant'è, siamo il paese del Carefré salvaslippe e del dentifrico Colgàte, e anche quello dove un'intera casa produttrice di cosmetici ha dovuto essere trasformata in Testanera perché il nome originale, Schwarzkopf, avrebbe dato luogo a suicidi di massa (nonché alla rovina commerciale dell'azienda in questione). Ed eccovi servita una delle mie "famose" divagazioni; del resto, è uno dei vantaggi riconosciuti dell'Asocial Network. Quello di divagare quanto si vuole fregandosene altamente di eventuali "reazioni" e "commenti"!


Ciò di cui, invece, senz'altro vi importerà parecchio, se siete capitati qua dentro, è la Kakawasi in questione, colta dalle parti di piazza D'Azeglio in un assolato pomeriggio. È una Z400 (in realtà la cilindrata precisa è di 398 cc) immatricolata il 4 gennaio 1977. Le foto, purtroppo, non mettono molto in risalto la caratteristica che più colpisce nelle moto di quegli anni: le loro dimensioni veramente ridotte. Quella che allora era (ed è, perché va sicuramente ancora come le sassate) una potente moto giapponese, è più piccola di un normale scooter attuale (non parliamo degli scuteroni, che quarant'anni fa sarebbero passati per delle cose mostruose). Bassissima, soprattutto; uno come me ci sarebbe stato sopra a ginocchi piegati.



venerdì 7 marzo 2014

L'Avviluppata


Se vedete qualcuno che si aggira per i campi munito di macchina fotografica, non abbiate timore: ci sono ottime probabilità che possa essere un Treggista Militante®. Costui (o costei, anche se per ora -purtroppo!- contiamo su scarse "quote rosa") è un grande amante della campagna; essa, infatti, nasconde ne' suoi angoli più riposti un intero patrimonio di tregge, sovente ridotte a carcasse conquistate da Madre Natura o da Padre Ciarpame. Così dev'essere andata a uno dei Militanti Storici® del TB, vale a dire Simone il Caporniano; aggirandosi pe' fatti suoi tra le vicine campagne sulla Via Cassia, nel comune di San Casciano in Val di Pesa presso il Bargino (località che, pare, prende davvero il nome da un "Bar Gino" che vi si trovava in tempi antichi; primo e forse unico esempio al mondo di un'intera frazione che prende nome dal suo bar!), è stato infatti attirato da un "qualcosa" che s'intravedeva avviluppato in mezzo a un oceano di sterpaglie.


Il Treggista Militante®, quale Simone il Caporniano è senz'altro, è dotato di un occhio infallibile coniugato con un intuito formidabile. Ci aveva visto giusto: l'Avviluppata, infatti, era la carcassa di una Fiat 850 che non dev'essere lì da un paio di giorni. E dello stesso colore beige chiaro che aveva anche l'850 Special di mio padre (targata FI 449929); guardando queste foto, insomma, mi viene una specie di tuffo al "quore". L'Avviluppata conferma quanto vado dicendo da almeno un paio di secoli: le carcasse campagnole fanno oramai parte integrante del paesaggio e non c'è "ecologia" che tenga. Guai a rimuoverle in nome di presunti "smaltimenti" del cavolo! Sarebbe come, che so io, portar via la salma congelata di un alpinista morto sull'Everest nel 1904. Quello è il suo luogo, quello che il destino ha scelto.

mercoledì 5 marzo 2014

Il gatto, il Cerbiatto e il carbonajo



Messa così, sembrerebbe quasi una bella fiaba di quelle che le nonne d'una volta raccontavano a' fanciulli la sera, al lume di candela, per addormentarli; mentre il piccino mandava il suo ultimo Tweet della giornata, la nonnina raccontava non trascurando di dare un'occhiata al suo profilo Facebook (con scritto "situazione complicata"). Ah, bei tempi che furono! Però, a ripensarci, questa qui è veramente una specie di fiaba; il Treggista Militante®, per definizione, va alla ricerca di favole urbane negli angoli più riposti e impensati della città, raccontate da vecchi automezzi sovente disfatti; e così ve la dirò.

C'era una volta un gatto, che non aveva gli stivali però viveva nella carcassa di un OM Cerbiatto immatricolato il 27 marzo 1971, cilindrata 4561 cc, potenza 64 KW, peso 4300 kg e portata 1720 kg. 


Il gatto e il Cerbiatto, che doveva essere stato d'un bel colore celeste carico, abitavano in uno strano posto vicino al primo curvone della via Chiantigiana, o Strada Regia per Greve al Chianti; si trattava, infatti, di un Carbonajo. S'immaginerebbe con parecchia difficoltà che nelle moderne città d'oggigiorno esistano ancora de' carbonaj; e ancor meno delle carbonaje. Il luogo in quistione, a un superstite limitare di frammentata campagna, era infatti una rivendita di carbone, legna da ardere, rottami varij, pezzi di ricambio scrupolosamente arrugginiti e bombole d' i' gàsse. Lo mandava avanti una famiglia, composta dall'anziana mamma (che sollevava bombole piene con il magro braccino, con la massima indifferenza e facendo capire che sarebbe sempre stata capace di tirarti un manrovescio da buttarti per le terre) e da due figliuoli grossi come l'orco di Pollicino, che spaccavano legna, trituravano pezzi di ferro e maneggiavano poco rassicuranti seghe a nastro; il tutto nell'oscurità inquietante di quel luogo nella sera di gennajo, in maniche di camicia pur nonostante il freddo che faceva.


Il vecchio càmio era là, stipato per l'appunto di bombole di gas. Mi ero recato là, per l'appunto, per riportarne una vuota e pigliarne una piena, per la cucina del vicino CPA Firenze Sud. C'era da mettere a tavola una trentina di lavoratori, e era finita la bombola; e così m'ero offerto per la bisogna, scoprendo alle porte della città quel posto appartenente a tempi lontani.


Mentre, assieme alla carbonaja, riportavo la bombola vuota al camion, che serviva palesemente da deposito per le rese, mi ardii a chiederle con rispetto qualche cosa di quell'automezzo. " 'E gli era d'i' mi' pòero marito, ora ci si tiene le bombole e ci sta i' gatto", ella mi disse tenendo in mano una bombola piena che un òmo fatto avrebbe penato non dico a trasportare, ma semplicemente a sollevare. Il gatto, infatti, era saltato fuori a controllare che tutto andasse come doveva, si era fatto cerimoniosamente fotografare e, poi, se n'era tornato nel camion a farsi i fatti suoi (arte della quale i gatti sono maestri). Ciangottando nella fanghiglia, continuavo a sentire rumori di spaccalegna alla fioca luce d'una lampadina volante che diffondeva una luce vagamente d'averno.


Ma sarà stato tutto vero o avrò sognato tutto? Opto per la prima ipotesi, dato che la bombola piena mi fu effettivamente consegnata e infilata in macchina. Me ne andai via da quel posto non senza aver fatto un'ultima foto alla dilavata targa anteriore del Cerbiatto.


E il bambino s'addormentò, sognando che, da grande, non si sarebbe mai comprato la Smart, ma avrebbe messo su un blog che parlava di macchine vecchie e scassate e, sicuramente, anche di gatti.

Le sopravvissute



Il procedimento non è nuovo: era già stato sperimentato alle Ferriere in Val d'Aveto. Per la memoria si fa ogni cosa, ivi compreso fotografare una fotografia: è quel che m'è successo ai primi di quest'anno, in una delle non molte occasioni in cui vo in centro. In un bar tabacchi di via del Campidoglio c'era questa foto, che ritrae proprio la medesima via (nei pressi di piazza della Repubblica e di via Pellicceria) nei giorni immediatamente successivi all'alluvione del 4 novembre 1966; e al barrista ancora, a dire il vero, non era successo che qualcuno cavasse fuori la macchina fotografica per riprendere quella foto, che qua sopra ho ingrandito. Quella originale è qui sotto.


Dopo tante e tante immagini di macchine distrutte dalla furia delle acque (e del fango), qualche vettura superstite che si aggirava nella città dopo la catastrofe, tra le vie sconciate dalla mota e dalle cataste di masserizie alluvionate. Su tutte quante spicca, in primissimo piano, una Fiat 1100 del 1961. Che allora, sarà bene ricordarlo, aveva soltanto cinque anni; ma, accanto ad essa sulla destra, si vede spuntare il muso inconfondibile di una Fiat 850, mentre dall'altro lato della strada si riconoscono una Renault 4, una Fiat 1500 e un camion Fiat 642. Ma la cosa che, forse, colpisce più di tutte è il sole quasi abbagliante che si riflette nel fango...

domenica 2 marzo 2014

Il caso della ZARZ 747: e il Regista diventò Treggista!



Spero che parecchi, ieri, abbiano letto della Excellent Performance cinematografica della Plog, sotto la sapiente direzione del regista Andrea Tani. Un giorno o l'altro racconterò ammodino come sia andata tutta la storia (ed anche perché la mia macchina si chiami "Plog"); per il momento, però, sarà bene riprendere da dove ci si era lasciati, vale a dire proprio dal regista e realizzatore del videoclip dei Petralana di cui la Plog è stata protagonista. Oggi Andrea mi ha scritto per ringraziarmi, e lo ha fatto -da persona estremamente sensibile quale dev'essere- nel modo migliore: vale a dire, il regista è diventato treggista.


Ebbene sì: trovandosi nel parcheggio sotterraneo del Centro Commerciale S. Donato (non è quello milanese, ma in ogni città che si rispetti c'è un San Donato pronto a fungere da supporto per un megastore!), Andrea Tani si è ritrovata posteggiata, accanto alla sua macchina, questa Buick. E che cosa ha fatto? La ha immediatamente fotografata e me la ha spedita! Non posso che ringraziarlo pubblicandola immediatamente; migliore regalo, davvero, non poteva farmi e glielo voglio dire pubblicamente. Naturalmente, la Plog è a sua disposizione anche se, invece che di un videoclip musicale, dovesse girare uno spot per un formaggino. Qualsiasi cosa.



Diciamocelo francamente: trovare in Italia un "bestione" americano fa sempre sobbalzare. Mentre in altri paesi europei (penso ad esempio alla Svizzera, dove ho vissuto a lungo) è abbastanza comune trovarne (le grosse berline americane erano importate liberamente in quel paese), in Italia sono sempre state molto rare. Sporadiche. Questione sia di gusto estetico, sia di dimensioni: girare con una macchina del genere in Italia veniva percepito come impensabile, e infatti al giorno d'oggi si vedono intelligentemente girare dei SUV al cui confronto la Buick che si vede qui è un'utilitaria. I tempi cambiano; ciò non toglie che si tratti comunque di una vettura di dimensioni più che rispettabili. Un tempo sarebbe stata definita un aeroplano; e, infatti, il "747 del Boeing ha pensato bene di avercelo pure nella targa!


Sì, perché la Buick "taniana" ha un'altro singolare record: quello di proporre una targa alfanumerica parecchio carina, la ZARZ 747. Dovete sapere che nel magico e mysterioso mondo de' Treggisti, le targhe alfanumeriche non vengono mai nominate così come appaiono (tipo "ZA 747 RZ"), ma sempre enunciando prima le quattro lettere unite e poi le cifre: ZARZ 747, appunto. Così si vengono a volte a creare combinazioni interessanti e divertenti. 

A questo punto, non resta che augurarmi che Andrea non esaurisca qui la sua collaborazione col TB: lo invito quindi a star bene attento alle macchine che vede in giro, e a fotografarle se possibile. Il primo regista-treggista della storia è in vista! Senza contare che, un giorno, potrei anche dischiudergli il mondo dei Treggisti Militanti®; non immagina forse neppure con che razza di storie verrebbe a contatto. Raccontate tutte quante da vecchie autovetture alle quali si cerca di dar voce.