mercoledì 5 marzo 2014

Il gatto, il Cerbiatto e il carbonajo



Messa così, sembrerebbe quasi una bella fiaba di quelle che le nonne d'una volta raccontavano a' fanciulli la sera, al lume di candela, per addormentarli; mentre il piccino mandava il suo ultimo Tweet della giornata, la nonnina raccontava non trascurando di dare un'occhiata al suo profilo Facebook (con scritto "situazione complicata"). Ah, bei tempi che furono! Però, a ripensarci, questa qui è veramente una specie di fiaba; il Treggista Militante®, per definizione, va alla ricerca di favole urbane negli angoli più riposti e impensati della città, raccontate da vecchi automezzi sovente disfatti; e così ve la dirò.

C'era una volta un gatto, che non aveva gli stivali però viveva nella carcassa di un OM Cerbiatto immatricolato il 27 marzo 1971, cilindrata 4561 cc, potenza 64 KW, peso 4300 kg e portata 1720 kg. 


Il gatto e il Cerbiatto, che doveva essere stato d'un bel colore celeste carico, abitavano in uno strano posto vicino al primo curvone della via Chiantigiana, o Strada Regia per Greve al Chianti; si trattava, infatti, di un Carbonajo. S'immaginerebbe con parecchia difficoltà che nelle moderne città d'oggigiorno esistano ancora de' carbonaj; e ancor meno delle carbonaje. Il luogo in quistione, a un superstite limitare di frammentata campagna, era infatti una rivendita di carbone, legna da ardere, rottami varij, pezzi di ricambio scrupolosamente arrugginiti e bombole d' i' gàsse. Lo mandava avanti una famiglia, composta dall'anziana mamma (che sollevava bombole piene con il magro braccino, con la massima indifferenza e facendo capire che sarebbe sempre stata capace di tirarti un manrovescio da buttarti per le terre) e da due figliuoli grossi come l'orco di Pollicino, che spaccavano legna, trituravano pezzi di ferro e maneggiavano poco rassicuranti seghe a nastro; il tutto nell'oscurità inquietante di quel luogo nella sera di gennajo, in maniche di camicia pur nonostante il freddo che faceva.


Il vecchio càmio era là, stipato per l'appunto di bombole di gas. Mi ero recato là, per l'appunto, per riportarne una vuota e pigliarne una piena, per la cucina del vicino CPA Firenze Sud. C'era da mettere a tavola una trentina di lavoratori, e era finita la bombola; e così m'ero offerto per la bisogna, scoprendo alle porte della città quel posto appartenente a tempi lontani.


Mentre, assieme alla carbonaja, riportavo la bombola vuota al camion, che serviva palesemente da deposito per le rese, mi ardii a chiederle con rispetto qualche cosa di quell'automezzo. " 'E gli era d'i' mi' pòero marito, ora ci si tiene le bombole e ci sta i' gatto", ella mi disse tenendo in mano una bombola piena che un òmo fatto avrebbe penato non dico a trasportare, ma semplicemente a sollevare. Il gatto, infatti, era saltato fuori a controllare che tutto andasse come doveva, si era fatto cerimoniosamente fotografare e, poi, se n'era tornato nel camion a farsi i fatti suoi (arte della quale i gatti sono maestri). Ciangottando nella fanghiglia, continuavo a sentire rumori di spaccalegna alla fioca luce d'una lampadina volante che diffondeva una luce vagamente d'averno.


Ma sarà stato tutto vero o avrò sognato tutto? Opto per la prima ipotesi, dato che la bombola piena mi fu effettivamente consegnata e infilata in macchina. Me ne andai via da quel posto non senza aver fatto un'ultima foto alla dilavata targa anteriore del Cerbiatto.


E il bambino s'addormentò, sognando che, da grande, non si sarebbe mai comprato la Smart, ma avrebbe messo su un blog che parlava di macchine vecchie e scassate e, sicuramente, anche di gatti.