Il Treggista Militante dev'essere abituato anche ai luoghi un po' insoliti. Ad esempio, una bella mattina di primavera accompagna la mamma e la zia all'Isola (quale isola sia, ve lo lascio immaginare...) e, all'inizio della supestrada (senza una "r" assai cacofonica e decisamente inutile), si ferma a un bar per la colazione. L'ora è assai presta, la strada è abbastanza lunga e c'è bisogno d'un corroborante. La stazione di servizio è semideserta, c'è odore di caffè e di briosce, i giornali son talmente freschi di stampa che nemmeno mi viene l'idea di acquistare le loro quotidiane idiozie, e il barrista (che recupera la "r" lasciata dalla supestrada) è da un lato assonnato, e dall'altro prono alle chiacchiere elevatamente oziose. Con la coda dell'occhio, il Treggista si accorge che, nel màrchet attiguo al bar, c'è qualcosa; ed è qualcosa che sembra star lì a fare da soprammobile, da ornamento, da nonsisaccosa. Ne chiede ragguagli al barrista, il quale gli comunica gongolante (ilare che qualcuno se ne sia finalmente accorto) che nella sua stazione è presente nientepopodimento che un protomotorino, un Benelli del 1959. Millenovecentocinquantanove: allora, probabilmente, una cosa del genere era ancora definita motocicletta, senza nemmeno passare dal ciclomotore; i quattordicenni sospiravano al massimo per una bicicletta, i sedicenni si tiravano tonnellate di seghe perché le coetanee aspettavano il principe azzurro, i diciottenni generalmente pure, i ventenni potevan sì pigliare la patente ma tanto non la pigliavano e al massimo andavano in autobus o a piedi, e lui, il Benelli, sotto il culo di chissacchì già andava. Ora fa da decorazione in uno store annesso a una stazione di servizio, si prende l'odore dei cappuccini e forse s'imbrioscia di sfogliatelle, di budini di riso, di paste. Vabbè. Però prima o poi il Treggista passa. Peraltro, la mattina presto non mangia praticamente mai; piglia il caffè e va. Ma ha l'occhio dimolto vigile.