Arrivi all'isola d'Elba, in un cosiddetto fuori stagione che, invece, è la sua stagione vera. Ma, forse, della cosa è più agevole rendersi conto da un altro post foto-asociale pubblicato sul blog della nostra amica Pampalea. Un altro luogo e un altro tempo, anche atmosferico; il regno della luce. Vento forte, colori violenti, l'autunno che è una gloria sfavillante. Mentre il continente annega nei suoi grigiami malumoranti, l'Isola splende; e, all'improvviso, torno a ritenermi un uomo fortunato. Prendere un automezzo e andare, senza nessuna meta. Lentamente. Slow life, come mi diceva opportunamente, al telefono, la Piasintëina; e questo post vorrebbe anche essere un trasporto, in tutte le accezioni di questo termine.
Ed è proprio in questo novembre elbano che le tregge si rivelano nel loro fulgore; ancor di più che nella bella stagione. Era un po' di tempo, sacripant'iddìo, che la categoria delle Tregge elbane non andava avanti; quest'estate non ci sono andato, mi è toccato di lavorare in mezzo alle ernie cervicali, e quando finalmente ho potuto rimetterci piede, me ne sono come riappropriato. Nella solitudine, nel vento, nella luce, sì; e anche in diverse tregge libere finalmente dalle masse vocianti del turismo balneare estivo. Tregge native. Tregge elbane per davvero, stanziali.
E come non cominciare (con due dediche speciali: una a Dora e l'altra a Cristina la Meharista) proprio con questa Meharina vivogialla, in livrea invernale con la capote tirata su e, perdipiù, con una targa da applauso che la rende anche un po' auto di Paperino? Siamo all'ultimo chilometro dell'Anello Occidentale, in quel di Procchio; una Signorina degli Anelli, insomma. La Mehari, porca miseria, incute giovinezza. Ultimamente, debbo dirlo, mi stanno pigliando addosso un po' di lampacci d'età avanzata; un'elbata inghiottita al giusto momento contribuisce a fugare quei lampi. E anche la Meharina gialla, e i salti da ragazzino quando l'ho vista, e un giorno di novembre che spedisce in un'altra dimensione.
Ed è proprio in questo novembre elbano che le tregge si rivelano nel loro fulgore; ancor di più che nella bella stagione. Era un po' di tempo, sacripant'iddìo, che la categoria delle Tregge elbane non andava avanti; quest'estate non ci sono andato, mi è toccato di lavorare in mezzo alle ernie cervicali, e quando finalmente ho potuto rimetterci piede, me ne sono come riappropriato. Nella solitudine, nel vento, nella luce, sì; e anche in diverse tregge libere finalmente dalle masse vocianti del turismo balneare estivo. Tregge native. Tregge elbane per davvero, stanziali.
E come non cominciare (con due dediche speciali: una a Dora e l'altra a Cristina la Meharista) proprio con questa Meharina vivogialla, in livrea invernale con la capote tirata su e, perdipiù, con una targa da applauso che la rende anche un po' auto di Paperino? Siamo all'ultimo chilometro dell'Anello Occidentale, in quel di Procchio; una Signorina degli Anelli, insomma. La Mehari, porca miseria, incute giovinezza. Ultimamente, debbo dirlo, mi stanno pigliando addosso un po' di lampacci d'età avanzata; un'elbata inghiottita al giusto momento contribuisce a fugare quei lampi. E anche la Meharina gialla, e i salti da ragazzino quando l'ho vista, e un giorno di novembre che spedisce in un'altra dimensione.