Quelle poche volte che torno alle Cave di Maiano, è difficile che non mi torni a mente quel che successe là un giorno molto lontano. Era il 24 giugno 1973, per la precisione. Trentanove anni fa.
Successe che, essendo un giorno di festa, mio padre aveva portato a fare una giratina nei dintorni tutta la famiglia. Sulla 850 Special beige (targata FI 449929) che avevamo allora. Io, mia madre e mio fratello maggiore. Erano più delle otto la sera, c'era ancora il sole (sono, quelle, le giornate più lunghe dell'anno) e stavamo tornando a casa, a Coverciano, quando a mio fratello venne all'improvviso in mente di non essere mai stato alle cave di Maiano. Mio padre, che allora non ci stava a pensare su tanto, disse: "Vabbè, ti ci porto"; e si andò tutti là.
Si scese, e s'andò sul prato proprio davanti alle cave. C'era una persona. Mio padre cominciò a guardarla insistentemente, come se la conoscesse; poi si avvicinò e le disse: "Ma lei è il Rossi!"; e quello: "No". Mio padre: "No...il Grassi!". Era sí il Grassi; un suo vecchio collega d'ufficio che non vedeva da vent'anni. Cominciarono a parlare e si vedeva che mio padre era contento d'aver ritrovato per puro caso uno che conosceva; quello, però, non sembrava tanto preso dalla cosa. Io ero rimasto indietro; c'erano le vespe che ronzavano sul prato, e allora ne avevo una paura folle. Potevo però sentire la conversazione; il tipo là, il Grassi, sembrava essere stranamente interessato a dei lavori che si svolgevano nell'area. A un certo punto chiese: "Ma qui ci saranno dei lavori?"; e mio fratello gli rispose: "Sí, di sicuro, laggiù c'è una ruspa..."
E fu così. Poco dopo quello andò via, si salutò con mio padre e ce ne tornammo a casa.
Due giorni dopo, il 26 giugno, mio padre tornò a casa per pranzo, verso le due del pomeriggio (usciva alle una e mezzo dall'ufficio dove lavorava), terreo in volto. Aveva una copia della "Nazione" in mano. Mia madre si preoccupò subito, e lui mise sul tavolo il giornale. Nella cronaca di Firenze, ma anche in quella nazionale, c'era la notizia di un gravissimo fatto di sangue. Proprio a Firenze, un uomo aveva prima ucciso la moglie, poi aveva preso il figlio di 10 anni e lo aveva portato via con sé. In Secchieta aveva ammazzato anche il bambino (aveva la mia stessa età di allora) e due operai che lavoravano, che avevano avuto la sfortuna di trovarsi in mezzo alla strage familiare. Infine si era suicidato. C'era la foto del tizio e mia madre cacciò un urlo e si mise a piangere. Il nome: Grassi e qualcosa. Esattamente la persona che due sere prima avevamo incontrato per caso alle Cave di Maiano. Il vecchio collega di mio padre che era stato tanto contento di avere rivisto.
Evidentemente era alle cave di Maiano perché cercava un posto per fare quel che aveva in mente. Le domande sui lavori le faceva perché voleva sapere se ci potevano essere estranei presenti, come purtroppo successe con quei due poveri operai in Secchieta. In pratica, stava cercando il posto adatto per ammazzare suo figlio. La risposta di mio fratello sulla ruspa lo spostò in Secchieta. C'è da chiedersi cosa sarebbe successo se mio fratello fosse stato zitto. Forse due operai sarebbero sopravvissuti, e forse quello lì avrebbe sparato a tutti quanti noi. E' una questione che ogni tanto continuiamo a chiederci io, mia madre e mio fratello; per questo, tuttora, non vado molto volentieri alle Cave di Maiano. Ci sono stato, in quasi quarant'anni, sí e no cinque altre volte. L'ultima poche settimane fa, con la Piasintëina, la Dora e INSCO. La classica passeggiata della domenica pomeriggio che facciamo spesso tutti assieme. E siccome a me le tregge mi vengono incontro, ecco questo bel camper Fiat 242 targato Siena, con tanto di ferro di cavallo. Un portafortuna. La Dora sicuramente apprezzerà per un motivo tutto suo e ben chiaro, ma che non posso dire qui.
La Fortuna, appunto. Fortuna volle che, in quel giorno lontano, il Grassi non abbia tirato fuori l'arma e anticipato la strage. Non c'era assolutamente nessuno, e avrebbe potuto tranquillamentre ammazzarci tutti per poi fare tranquillamente anche quel che aveva nella sua testa di stronzo. Verso gli ometti di merda autori delle stragi familiari non ho alcuna forma di giustificazione e di "pietà", e nessuno mi venga a rompere i coglioni. Anche perché le loro vittime sono sempre le stesse: donne e bambini. E a volte qualche altro innocente che ha la sventura di incrociarli. Mi fa schifo l'indulgenza che i giornali e le televisioni hanno sempre nei confronti di questi assassini vigliacchi. E con questo ho detto tutto. Ci ho trovato la bella treggia, alle Cave; e, ancora una volta, ho raccontato questa storia a chi mi stava vicino. E il pensiero corre sempre a quel giorno lontanissimo, e a quella povera donna, a quel povero bambino, a quei poveri operai. E a tutte le migliaia di donne, di bambini e di altre persone che hanno perduto la vita a causa di merdosi per i quali io, ateo, spero che esista l'inferno.
Successe che, essendo un giorno di festa, mio padre aveva portato a fare una giratina nei dintorni tutta la famiglia. Sulla 850 Special beige (targata FI 449929) che avevamo allora. Io, mia madre e mio fratello maggiore. Erano più delle otto la sera, c'era ancora il sole (sono, quelle, le giornate più lunghe dell'anno) e stavamo tornando a casa, a Coverciano, quando a mio fratello venne all'improvviso in mente di non essere mai stato alle cave di Maiano. Mio padre, che allora non ci stava a pensare su tanto, disse: "Vabbè, ti ci porto"; e si andò tutti là.
Si scese, e s'andò sul prato proprio davanti alle cave. C'era una persona. Mio padre cominciò a guardarla insistentemente, come se la conoscesse; poi si avvicinò e le disse: "Ma lei è il Rossi!"; e quello: "No". Mio padre: "No...il Grassi!". Era sí il Grassi; un suo vecchio collega d'ufficio che non vedeva da vent'anni. Cominciarono a parlare e si vedeva che mio padre era contento d'aver ritrovato per puro caso uno che conosceva; quello, però, non sembrava tanto preso dalla cosa. Io ero rimasto indietro; c'erano le vespe che ronzavano sul prato, e allora ne avevo una paura folle. Potevo però sentire la conversazione; il tipo là, il Grassi, sembrava essere stranamente interessato a dei lavori che si svolgevano nell'area. A un certo punto chiese: "Ma qui ci saranno dei lavori?"; e mio fratello gli rispose: "Sí, di sicuro, laggiù c'è una ruspa..."
E fu così. Poco dopo quello andò via, si salutò con mio padre e ce ne tornammo a casa.
Due giorni dopo, il 26 giugno, mio padre tornò a casa per pranzo, verso le due del pomeriggio (usciva alle una e mezzo dall'ufficio dove lavorava), terreo in volto. Aveva una copia della "Nazione" in mano. Mia madre si preoccupò subito, e lui mise sul tavolo il giornale. Nella cronaca di Firenze, ma anche in quella nazionale, c'era la notizia di un gravissimo fatto di sangue. Proprio a Firenze, un uomo aveva prima ucciso la moglie, poi aveva preso il figlio di 10 anni e lo aveva portato via con sé. In Secchieta aveva ammazzato anche il bambino (aveva la mia stessa età di allora) e due operai che lavoravano, che avevano avuto la sfortuna di trovarsi in mezzo alla strage familiare. Infine si era suicidato. C'era la foto del tizio e mia madre cacciò un urlo e si mise a piangere. Il nome: Grassi e qualcosa. Esattamente la persona che due sere prima avevamo incontrato per caso alle Cave di Maiano. Il vecchio collega di mio padre che era stato tanto contento di avere rivisto.
Evidentemente era alle cave di Maiano perché cercava un posto per fare quel che aveva in mente. Le domande sui lavori le faceva perché voleva sapere se ci potevano essere estranei presenti, come purtroppo successe con quei due poveri operai in Secchieta. In pratica, stava cercando il posto adatto per ammazzare suo figlio. La risposta di mio fratello sulla ruspa lo spostò in Secchieta. C'è da chiedersi cosa sarebbe successo se mio fratello fosse stato zitto. Forse due operai sarebbero sopravvissuti, e forse quello lì avrebbe sparato a tutti quanti noi. E' una questione che ogni tanto continuiamo a chiederci io, mia madre e mio fratello; per questo, tuttora, non vado molto volentieri alle Cave di Maiano. Ci sono stato, in quasi quarant'anni, sí e no cinque altre volte. L'ultima poche settimane fa, con la Piasintëina, la Dora e INSCO. La classica passeggiata della domenica pomeriggio che facciamo spesso tutti assieme. E siccome a me le tregge mi vengono incontro, ecco questo bel camper Fiat 242 targato Siena, con tanto di ferro di cavallo. Un portafortuna. La Dora sicuramente apprezzerà per un motivo tutto suo e ben chiaro, ma che non posso dire qui.
La Fortuna, appunto. Fortuna volle che, in quel giorno lontano, il Grassi non abbia tirato fuori l'arma e anticipato la strage. Non c'era assolutamente nessuno, e avrebbe potuto tranquillamentre ammazzarci tutti per poi fare tranquillamente anche quel che aveva nella sua testa di stronzo. Verso gli ometti di merda autori delle stragi familiari non ho alcuna forma di giustificazione e di "pietà", e nessuno mi venga a rompere i coglioni. Anche perché le loro vittime sono sempre le stesse: donne e bambini. E a volte qualche altro innocente che ha la sventura di incrociarli. Mi fa schifo l'indulgenza che i giornali e le televisioni hanno sempre nei confronti di questi assassini vigliacchi. E con questo ho detto tutto. Ci ho trovato la bella treggia, alle Cave; e, ancora una volta, ho raccontato questa storia a chi mi stava vicino. E il pensiero corre sempre a quel giorno lontanissimo, e a quella povera donna, a quel povero bambino, a quei poveri operai. E a tutte le migliaia di donne, di bambini e di altre persone che hanno perduto la vita a causa di merdosi per i quali io, ateo, spero che esista l'inferno.