domenica 22 novembre 2009

Sincamìlle. (2) Storia di una Sincamìlle e della sua risposta sbagliata.




Tanti e tanti anni fa, per un motivo che non sto a spiegare e che forse non mi rammento nemmeno più, provai la necessità d'andarmene via da casa. Per "casa" s'intende quella in cui, quasi trentenne, abitavo ancora con la mia famiglia; non che non l'avessi già, per periodi più o meno brevi, lasciata; ma quello fu uno spartiacque. La mia vita, grosso modo, si divide in quel che c'è stato prima di quel 1993, ed in quel che c'è stato dopo; e, davvero, non contano più le ragioni che ne sono alla base. Questo a mo' di breve preambolo; ciò che invece interessa a questa storia di Sincamìlle, è il luogo che mi ospitò da gennaio a luglio di quell'anno, e più che altro il singolare e irripetibile padrone di casa con cui ebbi e che fare.

Non potendo permettermi altro, mi ero infatti lasciato tentare da una stanza ammobiliata ad un prezzo più che ragionevole. In un'antica casa d'angolo sistemata tra la ferrovia ed il primo tratto di una lunga e trafficatissima strada, con addosso un enorme tabernacolo d'una madonna che, per espletare ai suoi famosi compiti, avrebbe dovuto proteggermi; e non che in quel periodo non ne avessi di bisogno. Il risultato è che mi toccò barcamenarmi, per mesi e mesi, tra una serie di episodi che mi hanno segnato per sempre. Non ultimo il contatto con questo padrone di casa, del quale ovviamente non farò in nessun modo il nome. Non so minimamente che cosa ne sia stato, dal giorno in cui rimballai tutte le mie cose e me ne tornai a casa dei miei; ma il ricordo di quella persona non mi abbandonerà mai.

Era pazzo. Conclamatamente pazzo. Del tutto matto. E, come sempre in questi casi, di un'intelligenza assolutamente superiore. La sua mente, quand'era ancora un ragazzo, gli aveva giocato uno scherzo terrificante; viveva da solo in quella casa, in una camera della quale mi ero sistemato. E furono notti di chiacchiere, di vino, di racconti, di purissime follie; in un periodo, peraltro, in cui la mia testa vacillò fino a portarmi alla cancellazione totale di alcuni giorni. Alternava, quell'uomo, momenti di lucidità (e di umanità) estrema ad altri in cui, forse, ciò che mi salvò fu proprio opporgli la mia, di follia. Quasi una neutralizzazione. E, del resto, ad un certo punto presi a non starci più molto, là dentro. Quella primavera e quell'estate del '93.

Nel post precedente dicevo che, in un certo senso, il TB esiste da sempre; e le macchine vecchie, pur in quel marasma umano che ero diventato, senza più orari né logiche, e spinto soltanto da una càgna di voglia di vivere che riusciva non si sa come a non cedere a niente, riuscirono ad affiorare anche allora. Una notte, a chissà che cazzo di ora, gliene parlai a quel padron di casa folle e dai lineamenti molto belli. Era un bell'uomo, che aveva allora l'età che ho io adesso; lineamenti che, all'improvviso, si contraevano e s'immergevano in un buio dal quale riuscivo, non so come, a percepire qualche bagliore.

Gli parlai della mia passione per le vecchie automobili, e lui si mise a parlarmi di quelle che aveva avuto prima che, per decreto, gli levassero la patente. Allora si spostava su un vecchio motorino che parcheggiava ostentatamente addosso al tabernacolone, verso la cui madonna nutriva un odio particolare e talmente forte da imbrattarla di spazzatura ogni volta che poteva. La rabbia di comprendere la sua vita di uomo onesto, di lavoratore con interessi e capacità infinitamente superiori alla sua condizione, massacrata da una malattia carogna. E mi parlava di quelle vecchie macchine come si parla d'una parte di sé; ma anche in modo distaccato, ironico, quasi a voler essere l'osservatore -e lo era in modo incredibile- della sua stessa malattia mentale. Aveva avuto, anni prima, una Simca 1000. Rossa, mi sembra. E la Simca 1000 parlava.

Lui guidava, andando al lavoro, e ogni suo rumore gli diceva qualcosa. S'interrogavano e stabilivano, come diceva lui, un contatto; ed erano andati avanti così per mesi, forse per anni. Si ricordava tutto di quella macchina, la sua targa, la sua tappezzeria, il suo odore; ché ogni macchina ha, o meglio aveva, un suo odore particolare, fin da quand'era nuova. Mi ricordo ad esempio benissimo l'odore che aveva la 128 special di mio padre non appena la portò la prima volta a casa; odore che non la lasciò mai, finché non terminò la sua esistenza in una scarpata vicino a Colle Val d'Elsa -procurando di lasciare del tutto incolumi i suoi occupanti. Finché un giorno, il mio padrone di casa non pose alla Simca 1000 qualche domanda che doveva essere troppo difficile o delicata.

Non osai chiedergli quale fosse questa domanda. Posso solo ipotizzare che si trattasse di un perché, di uno di quei suoi perché che, a volte, rivolgeva anche a me. E vi posso garantire che sono di quei perché che spezzano un'esistenza. Vedere un essere umano con la testa tra le mani e un portacenere pieno di cicche, in una notte, chiedere il perché di una morte che si sconta vivendo. Doveva averglielo chiesto pure alla sua povera Simca 1000 rossa, e lei non gli seppe rispondere. O gli diede la risposta sbagliata. Cominciò, così raccontava, a dare colpetti di claxon; ed il claxon sembrò prenderlo in giro, deriderlo, beffarlo. Non si è disposti alla derisione in certi frangenti, mai. E gliela fece pagare.

Scese dalla macchina, vicino all'Arno, in un punto dove c'è una scarpata abbastanza ripida. Scese e mise la Simca 1000 di culo, in folle e senza freno a mano. Poi le diede un calcio sul davanti; e la macchina prese il via e volò nel fiume, affondando rapidamente. Toccò recuperarla ai pompieri, mentre lui se n'era andato via, a piedi, con passi strani e con le mani in tasca. Finita di raccontare questa cosa, se ne andò a dormire, o a vegliare all'infinito, nella sua stanza che sembrava una camera a gas, con la foto d'una bella e famosa donna sul comodino, coi suoi libri che leggeva scrivendo sui bordi, con la matita, tutto quel che gli passava per il capo. E non erano mai cose da poco. Sui bordi di Petrolio, il libro incompiuto di Pier Paolo Pasolini, aveva scritto cose che avrebbero dato, e non poco, di che pensare anche a Pasolini stesso. Le critiche più feroci a quel bel tomo di Giovanni Sartori e ai suoi sproloqui sulla Democrazia le ho lette sui bordi della copia acquistata da quella persona. Critiche che sarebbero bastate a relegare il Sartori dove ho sempre ritenuto giusto che stesse bene, vale a dire nei cestoni delle boiate negli Autogrill.

La Simca 1000 rossa, credo, fu mandata allo sfascio. Un bagno in Arno non fa mai troppo bene ad una macchina. Per questo, vedere una Simca 1000 mi fa venire in mente un sacco di cose, e tutte sono una parte non lieve della mia vita. Se ne trovano poche, pochissime. Strano per una vettura che, ai suoi tempi, fu molto diffusa. O forse no; è soltanto il tempo che decide, sovrano, per suo conto.