Ho parlato di strada rotta; ma non soltanto per le condizioni del manto stradale, che in fondo non sono neppure più orribili di quelle che normalmente si hanno in questa città. È una strada rotta perché, letteralmente, non si sa da dove prenderla bene; quasi fosse, davvero, un mondo a sé. Costeggia la ferrovia; e sulla ferrovia ci sono lavori eterni che se la stanno letteralmente mangiando a bocconi, coi suoi quieti terratetto che non oppongono resistenza e con le sue antiche ville coi cancelli e i giardini, una delle quali appare oramai inglobata in una mostruosa infrastruttura. Per accedere ai vari tratti di quella strada bisogna sapere come fare, dato che sono lontani gli uni dagli altri, e oramai indipendenti; ai lati, recinti, terreni senza un perché, campionari di distruzione e sporcizia, baracche, cartelli che promettono cani feroci. So bene che questo è terreno fertile per le tregge; plaghe dove si va a far morire comodamente le macchine. Non ci è voluto molto; in un'ennesima deviazione per l'accesso a quella strada, un cimitero. Chiuso a doppia mandata, ma il Treggista non si spaventa davanti a questo; prova a suonare il campanello, e in mancanza di una risposta si arrangia.
Nell'essere Treggista, è senz'altro una comodità essere stato dotato dalla natura di una statura fisica elevata. Almeno sufficiente a alzare le braccia, puntare la Kodak oltre la recinzione e fissare le immagini della carcassa di una Lancia Fulvia nera, con tanto di bandiera italiana. Se ne vedevano di vetture del genere negli anni '70, spesso (più o meno a ragione) associate a un certo quid di fascismo, di pariolismo o roba del genere. Su questo non è più opportuno, però, dire alcunché. La vecchia Fulvia, col suo nero e la sua bandiera, giace scheletrita in un posto realmente dimenticato da Dio e dagli uomini; un posto che potrebbe essere spazzato via. Già, immediatamente dietro, hanno spianato l'ennesima strada di collegamento, ancora con un cartello di fortuna scritto col pennarello; già si demolisce, si costruisce, si cancella. E qui il Treggista, oltre che di esploratore urbano, assume anche la qualifica di documentatore di qualcosa che sta scomparendo. Carcasse di auto e di antichi tessuti suburbani. Mi sposto sul retro; un altro cancello chiuso, un pezzo della strada che muore senza uscita, schiacciato tra la muraglia della ferrovia e uno spiazzato sconnesso e pieno di pozzanghere:
Qui è meno arduo fotografare, mettendo la fotocamera oltre le stanghe. Come quelle case di riposo, o roba del genere, dove si parcheggiano i vecchi a morire. Compare immediatamente questa Land Rover del 1981, in condizioni che non fanno capire se sia ferma o ancora marciante. Comunque un mezzo che in quella specie di deserto urbano-semiindustriale trova una sua collocazione naturale, così come il seguente camion OM del 1972:
Si noti il contesto: un guazzabuglio di auto più moderne (in primo piano, accanto al camion a sinistra, una Seat), di scatoloni, e ancora la carcassa della Fulvia sullo sfondo. Sulla destra, invece, si scorge il retro di un'altra vettura attuale, e quel che rimane del seguente camper su Fiat 238:
Senza più targa, ricoperto da una patina di lerciume, il brandello di retaccia rossa e quella che sembra la carcassa di una Fiat Croma con tanto di vegetazione. In questo luogo, anche le vetture più "nuove" assumono una valenza diversa; la si potrebbe dire la rovina che tutto affratella. E non si creda che questo tipo di linguaggio sia poi così fuori luogo per dei mezzi meccanici: hanno ospitato vita. In particolare il camper. Qualsiasi cimitero, di persone o di automezzi, dona inquietudine e pensieri.
(2 - continua)
Nell'essere Treggista, è senz'altro una comodità essere stato dotato dalla natura di una statura fisica elevata. Almeno sufficiente a alzare le braccia, puntare la Kodak oltre la recinzione e fissare le immagini della carcassa di una Lancia Fulvia nera, con tanto di bandiera italiana. Se ne vedevano di vetture del genere negli anni '70, spesso (più o meno a ragione) associate a un certo quid di fascismo, di pariolismo o roba del genere. Su questo non è più opportuno, però, dire alcunché. La vecchia Fulvia, col suo nero e la sua bandiera, giace scheletrita in un posto realmente dimenticato da Dio e dagli uomini; un posto che potrebbe essere spazzato via. Già, immediatamente dietro, hanno spianato l'ennesima strada di collegamento, ancora con un cartello di fortuna scritto col pennarello; già si demolisce, si costruisce, si cancella. E qui il Treggista, oltre che di esploratore urbano, assume anche la qualifica di documentatore di qualcosa che sta scomparendo. Carcasse di auto e di antichi tessuti suburbani. Mi sposto sul retro; un altro cancello chiuso, un pezzo della strada che muore senza uscita, schiacciato tra la muraglia della ferrovia e uno spiazzato sconnesso e pieno di pozzanghere:
Qui è meno arduo fotografare, mettendo la fotocamera oltre le stanghe. Come quelle case di riposo, o roba del genere, dove si parcheggiano i vecchi a morire. Compare immediatamente questa Land Rover del 1981, in condizioni che non fanno capire se sia ferma o ancora marciante. Comunque un mezzo che in quella specie di deserto urbano-semiindustriale trova una sua collocazione naturale, così come il seguente camion OM del 1972:
Si noti il contesto: un guazzabuglio di auto più moderne (in primo piano, accanto al camion a sinistra, una Seat), di scatoloni, e ancora la carcassa della Fulvia sullo sfondo. Sulla destra, invece, si scorge il retro di un'altra vettura attuale, e quel che rimane del seguente camper su Fiat 238:
Senza più targa, ricoperto da una patina di lerciume, il brandello di retaccia rossa e quella che sembra la carcassa di una Fiat Croma con tanto di vegetazione. In questo luogo, anche le vetture più "nuove" assumono una valenza diversa; la si potrebbe dire la rovina che tutto affratella. E non si creda che questo tipo di linguaggio sia poi così fuori luogo per dei mezzi meccanici: hanno ospitato vita. In particolare il camper. Qualsiasi cimitero, di persone o di automezzi, dona inquietudine e pensieri.
(2 - continua)