Il Treggista è, in linea di massima, un esploratore urbano e, soprattutto, suburbano. È mosso da un paio di cose seminali, o forse tre: il senso estremo del territorio, la musica e la poesia. Delle ultime due cose avremo a parlare abbastanza in questa serie di post che qui piglian principio; intanto parleremo della prima, movente e parante.
Il senso del territorio è molto diverso dal senso della bellezza. Può, certamente, capitare che il Treggista si spinga, voluta o casualmente, in luoghi piacevoli, ameni, arricchitori; ma, per la stessa natura degli oggetti ricercati, il più delle volte si ritrova a percorrere plaghe sinistre, inquietanti e sgradevoli. Le periferie urbane, particolarmente nelle piane, che hanno subito e continuano a subire le ingiurie dell'urbanizzazione forzata e, sovente, criminale. Si badi bene che il Treggista non ne fa certamente una questione di vago e falso ecologismo alla Celentano di merda; non ci sono vie Glück. Il Treggista ne fa questione di sistemi e poteri, di distruzione e di sopravvivenza, di resistenze e rese. Il senso del territorio è politico e sociale. Le periferie devastate delle nostre città sono luoghi di morte, e in questa morte rientra anche quella delle vecchie autovetture abbandonate; ogni qual volta vede una carcassa, potrebbe essere quella che ha schiacciato Pier Paolo Pasolini. Ascoltate a tale riguardo Marco Rovelli, Bianca Giovannini e Davide Giromini nel Lamento per la morte di Pasolini di Giovanna Marini:
I post che seguiranno sono dedicati alla mattinata del 25 gennaio 2011, quando mi sono recato in una di queste periferie, in una di queste devastazioni infinite e occhiute, come la Notte tirrena di Dino Campana (quello nella foto sotto il titolo). Ho visto ville antiche coi cani di pietra mangiate dalle infrastrutture di una ferrovia. Ho visto cimiteri di ferraglia. Ho visto bizzarri fondi e cani di guardia. Ho visto una stradina rimasta a presidio, con le sue casette, due alberi, le panchine e le pecore. Ho visto l'immaginazione di quel che era e il presagio di quel che sarà. E ho visto, certo, le vecchie autovetture morte e morenti. Infinita occhiuta devastazione, e gli occhi possono essere benissimo, e gonfi di sguardi, i fari ancor pieni o vuoti a riprodurre orbite vuote che si lanciavano sull'oltre d'un tempo.
Il senso del territorio è molto diverso dal senso della bellezza. Può, certamente, capitare che il Treggista si spinga, voluta o casualmente, in luoghi piacevoli, ameni, arricchitori; ma, per la stessa natura degli oggetti ricercati, il più delle volte si ritrova a percorrere plaghe sinistre, inquietanti e sgradevoli. Le periferie urbane, particolarmente nelle piane, che hanno subito e continuano a subire le ingiurie dell'urbanizzazione forzata e, sovente, criminale. Si badi bene che il Treggista non ne fa certamente una questione di vago e falso ecologismo alla Celentano di merda; non ci sono vie Glück. Il Treggista ne fa questione di sistemi e poteri, di distruzione e di sopravvivenza, di resistenze e rese. Il senso del territorio è politico e sociale. Le periferie devastate delle nostre città sono luoghi di morte, e in questa morte rientra anche quella delle vecchie autovetture abbandonate; ogni qual volta vede una carcassa, potrebbe essere quella che ha schiacciato Pier Paolo Pasolini. Ascoltate a tale riguardo Marco Rovelli, Bianca Giovannini e Davide Giromini nel Lamento per la morte di Pasolini di Giovanna Marini:
I post che seguiranno sono dedicati alla mattinata del 25 gennaio 2011, quando mi sono recato in una di queste periferie, in una di queste devastazioni infinite e occhiute, come la Notte tirrena di Dino Campana (quello nella foto sotto il titolo). Ho visto ville antiche coi cani di pietra mangiate dalle infrastrutture di una ferrovia. Ho visto cimiteri di ferraglia. Ho visto bizzarri fondi e cani di guardia. Ho visto una stradina rimasta a presidio, con le sue casette, due alberi, le panchine e le pecore. Ho visto l'immaginazione di quel che era e il presagio di quel che sarà. E ho visto, certo, le vecchie autovetture morte e morenti. Infinita occhiuta devastazione, e gli occhi possono essere benissimo, e gonfi di sguardi, i fari ancor pieni o vuoti a riprodurre orbite vuote che si lanciavano sull'oltre d'un tempo.