lunedì 28 febbraio 2011

Una Meharista a Milano (3): Un bel vedere


Non è soltanto una Treggista di prim'ordine, la nostra Meharista: è anche una fotografa non indifferente. Che ne dite di questo stupendo bianco e nero con cui ha catturato una Fiat 500 C Belvedere sicuramente degli anni '50 ma, disgraziatamente, ritargata? Fra parentesi, io sarei contro la reimmatricolazione di autovetture del genere; si trova l'immatricolazione originale e la si ripete con riproduzione esatta della targa, se è andata perduta. Ritargare una macchina del genere è un crimine.

Comunque sia, davvero un...bel vedere, che Cristina ha peraltro riprodotto anche a colori nell'inusitato sole milanese:

domenica 27 febbraio 2011

A zonzo per l'Isolotto


Andando a zonzo per il proprio quartiere, che di tregge non ne ha mai lesinate, può anche capitare di vedere questo bel Ducato rosso camperizzato del 1983. Quasi trent'anni di onorato servizio, e anche una sopravvivenza al fatidico cartello vendesi (lo avevo già visto in giro da tempo, anche prima dell'inizio del TB). Non è stato venduto, evidentemente; e se ne rimane parcheggiato in uno dei numerosi spazi presenti nella zona (una delle poche, a Firenze, dove non esistono o quasi problemi di posteggio) in attesa della bella stagione, con tutti i suoi armamentari da camper classico: la scaletta, la ringhiera sul tetto, la rastrelliera per le biciclette...

sabato 26 febbraio 2011

Una Meharista a Milano (2): Un mito, anzi no, un mitotto!



Si potrebbe dire che è la targa 81162 del Massachusetts Institute of Technology (MIT), e invece è "soltanto" una Fiat 124 del 1973 targata Milano, questa Milano assolata che Cristina la Meharista ha scovato con tanto di riverberi sulla carrozzeria blé scura della vettura. Ha una di quelle targhe semiparlanti, "mitotto", che non significano nulla ma che suonano bene; a meno di non considerarlo, anche opportunamente, un derivato di mito. Un mitotto, un mitazzo, un mitacchione o qualcosa del genere; tutte cose che comunque si attagliano piuttosto bene alla 124, il sovetskij automobil' della Fiat che ha avuto anche una non indifferente carriera cinematografica. Non ci credete? Ebbene, vi dico che la prima 124 comparve sullo schermo nel 1968, nel famoso film Banditi a Milano di Carlo Lizzani; è una delle macchine della Banda Cavallero. Nel 1971, nel film Gli scassinatori, la 124 guidata da Jean-Paul Belmondo è impegnata in uno spettacolare inseguimento con la Opel Kadett guidata da Omar Sharif (inseguimento che si conclude con entrambe le auto ridotte a rottami). Compare anche in Fracchia la belva umana, pensate un po'. Insomma, di che definirla almeno un mitotto, e per davvero!


L'inseguimento fra Jean-Paul Belmondo e Omar Sharif nel film Gli scassinatori.

La perdi? Mark B. la ritrova!



Per un discreto periodo di tempo, come già avevo accennato in un altro post, era stata la 500 più vecchia che avessi mai visto; era rimasta parcheggiata oltre un mese in un dato posto dove vado tutti i giorni. Solo che, ohimé, il TB non esisteva ancora; anche se, in un certo senso, ne è stata anch'essa fra i prodromi subliminali. Poi, a TB già bell'e avviato, un bel giorno arriva Mark B., e tra le altre comincia a spedirmi masse di Cinquini ben più vecchi di questo. Gli accenno di una 500 grigia targata FI 19... che avevo non solo visto, ma pure toccato per un po' di tempo, e lui mi risponde quasi con candore: ma è mica questa....?

Ecco, d'ora in poi posso permettermi tranquillamente anche di perdere le tregge, tanto Mark B. le ritrova. Anzi, nella maggior parte dei casi le ha già trovate. Nel caso specifico, tra l'altro, in una zona lontanissima da quella dove la avevo vista io. Non è più the oldest one, ma è pur sempre un Mezzosacco di tutto rispetto che precede di poco la mia venuta al mondo: è infatti dei primi mesi del 1963.

venerdì 25 febbraio 2011

Una Meharista a Milano (1): That's amore


Nota: Una novità nel TB. A partire da questo post, infatti, le foto di presentazione saranno in formato grande. Naturalmente e come sempre, per ottenere la foto in formato originale basta cliccarci sopra.

Abituati come siamo a vedere Cristina la Meharista in giro per il vasto mondo, forse sorprenderà un poco questa sua puntata meneghina. Senza ovviamente entrare nella sua vita privata, io so bene che ha dei motivi più che ottimi per recarsi nel capoluogo lumbard; e a questi si aggiungono, ovviamente, anche le Tregge. Specialmente quando è riuscita a beccarsi una splendida giornata (ce ne sono anche a Milano, ce ne sono...) che mette ancor più in risalto questa grandiosa Fiat 600 immatricolata nel 1968. Dico "immatricolata", perché ho una buona ragione per credere che si tratti di una ritargatura. Le ultime 600 (la produzione cessò esattamente il 1° marzo 1969) non avevano infatti più le portiere con apertura controvento, cosa che questa invece ha eccome; si tratta quindi, con tutta probabilità, di un modello antecedente.


Naturalmente, sia Cristina che il sottoscritto ignoriamo del tutto come mai il proprietario o la proprietaria della 600 in questione abbia sentito il bisogno di istoriare le portiere con la dicitura That's amore. La réclame di un qualche localino? Una dichiarazione d'amore al passeggero o alla passeggera? Un impeto di passione verso la macchina stessa? Un recondito club di fan del signor Dino Paul Crocetti?


Non lo si saprà mai; però, a pensarci bene, non ci stona poi poi così tanto. Così come non stona affatto lo splendido bianco e nero con cui Cristina ha pensato di restituire alla vettura un po' di ambiance originale:


Dedè!


Dedeuche, mobilità, moto perpetuo, allegria, gomito di fuori, sfumature di grigio, ammennicoli, tubismi, casino, ogni cosa e anche qualche cos'altro di più.

Commento breve; commento completo!

giovedì 24 febbraio 2011

Transporten Vaporetten



È più forte di me: ogni volta che vedo un automezzo targato Venezia mi viene da pensare che abbia l'elica. Non importa che Venezia abbia una provincia, che ci siano Mestre e Marghera: a Venezia si va in barca, in motoscafo, in gondola, in vaporetto. E debbo dire che, come vaporetto, un T2 poi poi non sfigurerebbe. Ci ha un che di imbarcazione; opportunamente modificato potrebbe anche solcare il Canal Grande (e sai che spettacolo sarebbe!)

Si scherza, naturalmente; qui non siamo sul Canal Grande, ma a Firenze vicino alla Bellariva (beh, un po' d'acqua ce l'abbiamo anche noi, e qualche volta s'è pure messa in testa di trasformare Firenze in qualcosa di decisamente simile alla laguna Veneta...). Il T2 venexian, anch'egli preso al volo, riserva poi una curiosità di non poco conto: compulsando le tabelle, risulta infatti essere degli ultimi giorni del 1975, e quindi di recare anche una delle ultimissime targhe quadrate bianconere della provincia di Venezia. Una specie di "FI 80" quadrata in Laguna, insomma!

Dietro casa (per Cristina)


Il concetto di dietro casa, per Cristina la Meharista, è radicalmente differente da quello che possiamo avere tutti noi. Con Cristina siamo davanti a una vera e propria globetrotter per passione e vocazione; non ho alcun dubbio che, al momento giusto, ce la ritroveremo anche su Marte quando si decideranno a fare 'sti famosi viaggi interplanetari. Oh, dico, siamo nel 2011; nella fantascienza degli anni '40 e '50, nel 2011 dovevamo già essere altro che su Marte, si doveva andare in giro per le galassie!

Detto questo, va da sé che Parigi è, per Cristina, il vero dietro casa. Quando lei viaggia sul serio va alle Turks e Caicos, in Australia, in Giappone; Parigi è come fare quattro passi per sgranchirsi le gambe. E, va da sé, anche per pigliare con la massima nonchalance questa bella Peugeot 204, soltanto un po' sciupata dalla targaccia francese new style del "SIV" (le poche volte che i francesi copiano qualcosa dall'Italia, lo fanno sempre con le cose peggiori). Certo, resta la voiture (sicuramente degli anni '70), e non è poca cosa.

Questione di culo




La Renault 5, o Errecinque, o Ersènc che dir si voglia, è stata una vettura spaventosamente comune negli anni '70 e '80. Nata per sostituire la R4 come voiture du peuple, non la sostituì mai del tutto (soprattutto dans le cœur du peuple, giustappunto); nonostante ciò, ebbe un successo quasi planetario. Anche da noi se ne vedevano tante; e, come accade sovente in tali casi, una volta terminata la produzione sono quasi scomparse dalla circolazione. Trovarne ancora una in giro è piuttosto raro; erano macchinette oneste che nessuno ha avuto voglia di perpetuare; e tutto sommato è un peccato, perché la R5 ha ancora quel certo nonsocché di parigot che faceva il bello delle francesi, quelle vere. Insomma, vederne una in giro incoraggia e giustifica la manovra-principe del Treggista Militante: la presa al volo.

Questo bell'esemplare (e dal bel colore) è del 1979, l'anno della lettera "A" a Firenze. Ci sentivamo importanti: finalmente eravamo entrati nel ristretto club delle province "letterate", lasciandoci alle spalle città come Genova, Bologna e Bari. Quando vedo una "FI A.." e qualcosa ho sempre una specie di tuffo al cuore, anche perché avevo sedici o diciassett'anni. Più di trent'anni fa, insomma. Con delle foto, anche di macchine, non si prende al volo soltanto loro. Prendere al volo qualcosa è sempre questione di culo; e, per sottolineare il fatto, le tre foto della R5 sono giustappunto tutte deretane. Tutto il Vial dei Colli con trentadue anni fa davanti, proprio un grande avvenire dietro le spalle.

Undici, undici, undici


Il "comune sparso" di Mignànego, nell'alta Val Polcevera (provincia di Genova), ha, secondo Wikipedia, tremilasettecentoventisette abitanti. Nello stesso articolo si dice che ha origini antichissime, e ne sono assolutamente certo: lo stesso nome del torrente Polcevera è con tutta probabilità uno dei rarissimi resti dell'antica lingua Ligure (significherebbe "colui che porta i salmoni", da *porko-bhera, ove *porko- è il salmone -detto anche "pesce porco"- e *bhera è la radice indoeuropea del verbo "portare", latino fero, greco φέρω, gotico baíran, inglese bear). Certo, a vedere ora il Polcevera si stenterebbe a credere che qualche migliaio d'anni fa ci fossero i salmoni liguri; tira via a Pontedecimo, ma in Genova al massimo ora può portare dei bacteria coli di dodici chili.

Insomma, fra salmoni, alte valli, etimologie e i suoi 3727 abitanti, Mignanego si gode la sua splendida posizione e, soprattutto, le fruttuose gitarelle del nostro amico Fabrizio, alla ricerca di autovetture antiche almeno quanto il nome del Polcevera. Bingo. Mignanego entra de iure nell'Olimpo Treggista con la macchina che vedete qui raffigurata, e soprattutto con la sua targa.


Anche senza la targa che ha, sarebbe comunque una treggia più che notevole: una Fiat 500 C del 1950, e mica le son seghe. Una che può fregiarsi del titolo di Topolino assieme alla sua predeceditrice (che sarebbe il femminile di predecessore, tiè!), la 500 B a "balestra corta". Poi, beh, la targa. Una di quelle per cui un Cacciatore di Targhe sarebbe disposto a vendere per tremila lire sua madre a un nano, tanto per utilizzare le parole di un altro Fabrizio di Genova; le sei cifre tutte uguali sono pura poesia immatricolatoria, e mi ricordo ancora con le làgrime agli occhi quando, la scorsa estate, mi sfuggì sotto il naso, vicino alla Certosa di Firenze, una Balilla ritargata sì, ma ritargata PI 444444*. Tornai a casa e mi cucinai i coglioni con contorno di fave, innaffiati da un ottimo Chianti. Pazienza. Il Dio dei Bivi m'aiuterà, se vorrà, a ribeccarla. Nel frattempo, sarà bene godersi una foto ravvicinata della targa, dato che Fabrizio è un ragazzo meticolosissimo e si è reso ben conto del capolavoro che aveva trovato a Mignanego:


Bene. Espressa nei termini più chiari possibili l'autentica e rodente invidia che mi ha colto nei confronti dell'ignoto mignaneghese che possiede 'sta macchina e 'sta targa (oppure del torinese che smignanegheggia a gogò a bordo della Topolino del '50), sarà bene vederne anche l'interno; l'invidia si attenua un po' considerando che non ci entrerei mai nemmeno se mi pigiassero, oppure non ne uscirei mai e un giorno ci troverebbero dentro le mie ossa (degna tomba, comunque, per un Treggista!):


Si noti, tra le altre cose, che la Topolino undici-undici-undici si trova in un comunissimo e rustico parcheggio di paese, tra Pande e quant'altro: segno rassicurante del suo comune utilizzo come mezzo di trasporto. E per finire, un'ultima visione posteriore con la targa indimenticabile, a contrasto con un'insulsa vettura di questi rii tempi:


*Mi informa Mark B., che pure ha visto questa autovettura, che si tratta di una Balilla, e non di una 509. Purtroppo ho avuto modo di vederla solo per pochi secondi, mentre mi sfilava davanti in direzione contraria alla mia...

Va bene, hai vinto tu! (FF/31)



È passato oramai quasi un anno dalla Firenze-Fiesole del 14 marzo 2010, e quasi un anno ho aspettato per pubblicare sul TB le foto di questa vettura, sperando di riuscire a sapere che cos'è. Non ce l'ho fatta. Mi arrendo. Ha vinto lei. Decisamente, non mi piace affatto arricchire la categoria delle Auto ignote, ma purtroppo in alcuni casi non se ne può fare a meno; specialmente se si è di fronte a una meraviglia romana del 1950, qualunque cosa essa sia. Non potevo più aspettare a metterla, però.

Naturalmente, posso immaginare la comprensibile reazione di qualche esperto che si aggiri da queste parti: "Ma come! Questo qui vuole fare il Treggista, e non ha riconosciuto la Lancia Busdraga del '48 (o l'Alfa Beta Gamma del '49, o la Stanguellini Cristodiddìo prodotta in 3 esemplari sulla quale Joe Di Maggio vide per la prima volta le mutandine di Marilyn Monroe)!"; chiedo di portare pazienza. Non sono affatto un esperto, e imparo a conoscere le automobili via via che le fotografo, spesso con dosi massicce di zia Wikipedia. Γεράσκω πολλὰ διδασκόμενος, e debbo dire che mi diverto pure parecchio e con la massima umiltà. Insomma, cos'è 'sta bellezza di sessanta e un anno fa, proprio non lo so. Se qualcuno lo sa, me lo dica!

Aggiornamento 14.11.2013

Mi scrive Simone B. da San Casciano Val di Pesa (Firenze):

" Questa auto mi ha fatto penare.
La mia pena era dovuta al fatto che l'avessi vista e non mi ricordavo ne dove ne, sopratutto, cosa fosse. Poi frugando tra cataloghi di mostre automobilistiche, foto e libretti l'ho trovata.
Si tratta di una Fiat 1100 Gioiello carrozzata da Ghia e come tale è catalogata nel volumetto "I Paradigmi dell'Automobile" di Roberto Segoni dove viene anche riprodotta una foto della medesima auto scattata nel 1949. Io l'avevo vista al Concorso d'Eleganza che si tenne a Firenze nel maggio 2003 ma questa macchina di concorsi ne aveva fatto anche un altro, visto che risulta premiata nel Concorso d'Eleganza che si tenne, sempre a Firenze, nel giugno 1949. L'auto risulta immatricolata il 08/05/1950 e ciò si spiega col fatto che per tutto il 1949 fu impegnata negli otto concorsi d'eleganza che si tennero in quell'anno in Italia. Poi una volta terminati la carrozzeria SIRCA, allora proprietari dell'auto la mise in vendita, qualcuno se la comprò ed è arrivata ad i giorni nostri. "
 
Ringraziando di cuore Simone per la precisazione, tolgo immediatamente questa (bellissima) vettura dalle "Auto Ignote" stabilendo una categoria apposita.

mercoledì 23 febbraio 2011

Il buco con la Fulvia intorno




Tutto, in questa rossa Fulvia coupé genovese del 1972, sembra ruotare attorno al gran buco di ruggine sulla parte posteriore destra (terza foto dall'alto). È il particolare che attira, e un particolare che fa decisamente molto treggia. Le cose vanno quasi sempre così: il vero Treggista va fondamentalmente alla ricerca di scassature, cioè di segni del tempo. Immaginando anche chi si ostina, imperterrito, a possedere e guidare automobili che tali segni li ostentano con fierezza. Da capire sicuramente chi possiede, ad esempio, una Lancia Lambda del 1927 e la tiene come un'opera da museo; ma quelle non sono macchine, sono investimenti. Sono eredità, e cospicue. Una macchina come questa, invece, è il tempo stesso che continua a viaggiare, coi suoi buchi; e chissà che, come nei romanzi di fantascienza, attraverso quel buco non si entri in un'altra dimensione, nella sovversione spazio-temporale. Ciò che, in fondo, sono quasi tutte le vetture presenti in questo blog; oh, stasera m'è presa così, sul filosofico da tre soldi. Che ci volete fare!

lunedì 21 febbraio 2011

Mi raccomando la cintura! (FF/30)



La cintura sì, ma non quella di sicurezza che, allora, nemmeno stava nei sogni dei cosruttori e dei legislatori. Su questa Alfa 2000 Sprint del 1961 la cintura, chissà perché, è stata sistemata a ornare il cofano posteriore; e si tratta di una vera e propria cintura, quasi stile dei pantaloni o di una valigia. Un particolare davvero curioso che, comunque, sembra non stonare sulla carrozzeria che Giorgetto Giugiaro disegnò per Bertone.

Giugiaro è stato un enfant prodige del design italiano; fu assunto da Dante Giacosa, entrando a far parte del Centro Stile della Fiat, all'età di 17 anni. Nel 1959, a 21 anni, fu assunto da Bertone, dove rimase fino al 1965; l'Alfa 2000 Sprint (coupé) è una delle sue opere. Fu prodotta in soli 704 esemplari (verrebbe da dire "numerati e firmati", come per i libri d'arte o per le litografie); costava 2.600.000 lire, un prezzo stratosferico per l'epoca.

Il TB non ha confini



Non crediate che il titolo di questo post sia una roboante fanfaronata buttata là solo per fare impressione; è, invece, la purissima verità. E lo è grazie alla più indefessa Treggista Planetaria che il TB si onora di annoverare tra i propri collaboratori e aficionados: Cristina la Meharista.

Dov'è andata a rifinire, stavolta, Cristina? Rispondere a una domanda del genere costringe innanzitutto a rispolverare il manuale di geografia: nientemeno che nell'Arcipelago di Turks e Caicos, possedimento d'oltremare britannico nei Caraibi. Capito, eh! E, spingendosi in quella remota parte di mondo, Cristina ha, a modo suo, scritto una pagina di storia del Treggia's Blog.

L'isola principale dell'arcipelago (ovviamente un paradiso fiscale) si chiama Grand Turk. Pare che, nel 1962, la navicella spaziale Friendship, con a bordo l'astronauta John Glenn (vale a dire il primo americano nello spazio che "rispose" al sovietico Jurij Gagarin), ammarò proprio vicino a Grand Turk dopo aver compiuto tre orbite intorno alla Terra; una specie di Mezzosacco dello spazio, insomma, che inoltre, al ritorno, ebbe non pochi problemi. Lo scudo termico si guastò, e un guasto allo scudo termico mentre stai rientrando nell'atmosfera terrestre non è come fondere un fusibile o rompere un semiasse. John Glenn rischiò seriamente di essere il primo americano morto nello spazio; per fortuna tutto andò bene, e si fece un bello splash nelle acque delle Turks e Caicos. Una cosa che dev'essere decisamente piacevole:


La spiaggia di Grand Turk Island

Insomma, poniamo che, dopo lo scudo, avesse avuto anche uno sculo termico e fosse ammarato in una ridente baietta ghiacciata in Groenlandia o in un riposto anfratto della Georgia Australe; invece no. Andò a ammarare in questo paradiso terrestre, e in questo lo mise in tasca anche a Gagarin. Sì, d'accordo, il russo sarà pure stato il primo uomo nello spazio, ma gli toccò di ritornare a terra in un campo di patate vicino alla località di Tachtarova.

Insomma, i turchi-e-caicosi (si chiameranno così gli abitanti dell'arcipelago, e quelli di Grand Turk granturchi?) furono talmente onorati che il primo americano spaziale fosse andato a cascare a casa loro, che decisero di ornare il loro aeroporto proprio con l'elemento di punta della navicella Friendship di John Glenn. E' quello che vedete nelle foto, risalente appunto al 1962 (anno assolutamente treggistico), e che sposta i confini del Treggia's Blog allo spazio sconfinato. Qui, oramai, non è più questione di Balille e Topolino: qui si punta direttamente alla NASA. Solo perché non era ancora nata, ma se lo fosse stata già il 21 luglio 1969, sono quasi sicuro che Cristina si sarebbe nascosta nel LEM dell'Apollo 11 e avrebbe fotografato quello storico treggione lunare!

domenica 20 febbraio 2011

Scambio culturale




Di Tregge Genovesi, grazie all'amico Fabrizio, ne abbiamo già parecchie; proprio per questo, mi fa particolare piacere di averne trovata una in pieno centro di Firenze, questa 500 Giardiniera targata Genova del 1969. E il piacere è stato talmente elevato da farmi sfidare una piovosa nottataccia d'inverno, a una delle mie ore strane che può essere facilmente constatata dal deserto assoluto delle strade circostanti, nelle ore normali assolutamente intasate. Prima o poi dovrò parlare dell'armamentario del Treggista, che comporta uno zaino provvisto anche di aspirine, pastiglie per la gola, Bronchenolo e quant'altro; per fotografare non si può uscire certo con l'ombrello, e prendersi delle discrete acquate sul groppone è quasi d'ordinanza nella brutta stagione. Ma per una Treggia si fa tutto; specialmente quando reca in sé i crismi dello scambio culturale. A questo punto, se mi legge, mi aspetto da Fabrizio quantomeno una treggia fiorentina a Genova, anche se mi sta mandando talmente tanta roba da riempire questo blog fino al 2034...! (E vedrete presto che roba!)

L'estroso camperista ravennate


Sia detto inter nos: sebbene di camper, nel TB, ce ne siano oramai parecchi e fin dal primo giorno, come tregge sono abbastanza noiose (a parte qualche eccezione e i Transporter). Come tregge sono piuttosto facili da trovare, e per ovvi motivi: sono sempre stati mezzi molto costosi, e chi ne ha comprato uno difficilmente, poi, se ne priva; anche perché diventa veramente una "seconda casa". Ne lascio passare parecchi; però questo qui no, proprio non era possibile. Ha meritato una fermata notturna e le sue brave fototreggia. Il modulo abitativo è il solito, bianco; ma l'estroso ravennate che ha pensato bene di pitturare il Transit di base con un accostamento di colori ai limiti del criminale (viola e beige!) merita una menzione speciale.


Un cazzotto negli occhi come questo non è una cosa che si vede tutti i giorni; sia dunque lode al proprietario (o ex proprietario, vattelappesca) che sicuramente ha concepito qualcosa da ricordare. Altrimenti sarebbe stato il solito "cubo" biancastro, come si puà vedere da una foto laterale (peraltro difficile, dato il parcheggio incastrato):


La targa, infine. Stavolta è stata presa in primo piano diretto, dato che la posizione di parcheggio impediva una visione d'insieme del retro. Ci rivela che il ravennate estroso ha immatricolato il mezzo nel 1981, e che sono quindi trent'anni esatti che delizia il mondo con lampi violabeige:


venerdì 18 febbraio 2011

La Cosa di Massa Marittima



Quando i Caporniani scendono in campo (absit iniuria verbis!), si può star certi che lo fanno in modo roboante e indimenticabile. Vado così a presentarvi la Cosa di Massa Marittima (inglese: Massa Marittima Thing, tedesco, Massa Marittima-Ding). A Massa Marittima, la bellissima e storica cittadina maremmana (ricordo anche che il termine Maremma deriva esattamente dal latino Maritima), c'è Otto. Otto, e si chiama proprio così, è un anziano meccanico, ma forse questo termine è molto riduttivo: della sua Officina delle Meraviglie già ero a conoscenza perché Simone il Caporniano me ne aveva già parlato, ma non avendo ancora avuto modo di andarci di persona non immaginavo che le Meraviglie conservate da Otto fossero di tale stampo.

La Cosa che vedete nelle foto sarebbe una Fiat 500; o meglio, sarebbe quel che Otto il Maremmano (ho già specificato che è un meccanico, e quindi non è un ammasso di pelo bianco che fa "bau" e "growl") ricavò, circa nel 1957, col motore di una Topolino (da qui la "Fiat 500" con la quale si presenta) e una carrozzeria da lui personalmente disegnata e realizzata. Il motivo lo lascio spiegare a Simone in persona, che getta anche preziosa luce su Otto e sul suo Wonder Workshop:

Probabilmente non te l'ho mai mandata prima, anche perché ci volevo portare te e Giulio di persona a vederla insieme a tutte le altre meraviglie dell'officina di Massa Marittima. Meraviglie...per non parlare del meccanico...Otto! (è uno solo, ma si chiama così...) Andare là a conoscere lui ed i suoi amici; l'ex meccanico dipendente, l'amico pittore che si diletta di filettare (no, no, non con filiere o maschi; con pennelli!) le carrozzerie e quant'altro Otto gli sottopone. Filetta pure bene...ho visto una cassaforte primi '900 con filetti sullo sportello; una meraviglia!
Un po' di storia: Otto decide di partecipare alla Mille Miglia (quella vera! http://it.wikipedia.org/wiki/Mille_Miglia) e nel 1957 comincia a costruire la meraviglia delle foto, poi De Portago si ammazza ed ammazza un po' di gente nell'edizione di quell'anno e la Mille Miglia non la fanno più. Otto non può correre con la sua meravigliosa creatura (per me Gianna è passata di lì e l'ha vista...). Il brutto è che non avendo mai corso la gara "vera", non può neanche fare neanche la gara "finta". Non so perché, ma non credo che Otto ci terrebbe molto a fare la gara che fanno adesso, credo che per lui, come per me, del resto, una gara è una gara e si corre...gaaasssss!

Insomma, avete capito bene. Otto si era costruito da solo questa Cosa per correre alla Mille Miglia del 1958; solo che non la si fece mai. Il 12 maggio 1957, proprio mentre Otto il Maremmano stava costruendo la sua 500 leggermente modificata, uno stranobile pilota spagnolo dal nome lungo appunto mille miglia, vale a dire Alfonso Antonio Vicente Eduardo Ángel Blas Francisco de Borja Cabeza de Vaca y Leighton, XIII Marqués de Portago y XIII Conde de la Mejorada y Grande de España (traduzione italiana: Alfonso Antonio Vincenzo Edoardo Angelo Blas Francesco di Borgia Testadivacca e Leighton, XIII Marchese di Portago e XIII Conte della Migliorata e Grande di Spagna, fortunatamente più noto come Alfonso de Portago), figlio di un franchista (come dubitarne) e dopo non aver probabilmente mai fatto un accidente di niente nei suoi ventinove anni di vita a parte amare il rischio e le belle donne (la sua più famosa conquista fu l'attrice Linda Christian), mentre correva la Mille Miglia a bordo di una Ferrari pensò bene, mentre attraversava la località di Guidizzolo (MN) a duecentoquaranta chilometri all'ora, di spiaccicare se stesso, il suo copilota americano Edmund Nelson e, quel che più conta, nove spettatori, tra i quali diversi bambini. Sembra che la Ferrari avesse problemi alle ruote e che De Portago fosse stato avvertito dai meccanici; ma poiché amava il rischio, se ne fregò altamente, conseguendo il risultato di cui sopra. E fu la fine delle Mille Miglia, e dei sogni di partecipazione di Otto il Meccanico.



La tragedia di De Portago in un'illustrazione della "Domenica del Corriere"

Ma torniamo alla nostra Supertreggia maremmana, e a cose un po' più allegre. Il "motivo scatenante" per cui Simone il Caporniano mi ha mandato questa Delikatesse è stata anche e soprattutto...la sua targa. La avrete già notata tutti: è anch'essa palindroma (GR 11711). Palindroma, antica e anche protagonista di una specie di mistero. Simone dice infatti che Otto cominciò a costruire la sua "Cosa" circa nel 1957, mentre dalle tabelle questa immatricolazione risulta incontrovertibilmente del 1955. Otto, in realtà, ci stava lavorando già sopra, oppure era la targa della Topolino originaria, oppure che altro? Sono domande che, senz'altro, gli rivolgerò di persona in una bella giornata di primavera o d'estate a Massa Marittima. Si aspetti il mio arrivo. Come conclude assai degnamente Simone il Caporniano:

p.s. Dissi a Otto: le porto qui due miei amici, si può? Disse Otto: certo! Ma i suoi amici vengono fin qua per vedere le mie cose e parlare con me? Dissi io: certo che vengono! Il problema non sarà certo portarli, ma portarli via!! Otto e i suoi amici risero di gusto...

giovedì 17 febbraio 2011

Mix di Mezzisacchi


Ogni tanto, anzi ogni poco, le provviste del Treggia's Blog si ritrovano stracolme di 500; urge quindi un post collettivo per smaltirle con tutta la dignità e l'interesse che esse meritano. Senza contare quelle speditemi dai vari collaboratori -Fabrizio da Genova in primis-, in questo post troveranno spazio quelle da me reperite negli ultimi tempi, sia a Firenze, sia in alcune mie scorribande altrove.

Parto con un bel paio di Mezzisacchi sottocasa, dato che qui siamo proprio in quel dell'Isolotto, a pochi metri da casa mia. Con il primo siamo di fronte ad un interessante ritargatura degli anni '70 (del 1974, per la precisione): questo è evidente dalla dicitura Nuova 500 sul posteriore. Nel 1974 la produzione originale era già alla "500 R" (ove "R" sta per "Rinnovata"), con un diverso e più moderno "logo", e quindi questo è un modello degli anni '60 reimmatricolato nel '74. Notevole anche il colore verde acqua, da alcuni definito amichevolmente celeste tavoletta profumata da sciacquone. Irriverente, ma perfetto!


È bello andar la mattina al solito bar-pasticceria e trovarci di fronte la treggina; quasi facesse parte integrante della colazione, al pari del cappuccino e della pastarella. Per un adoratore della vita di quartiere quale io sono, si avvicina molto al massimo. E anche qui si tratta di una bella ritargatura: il logo è quello "moderno" di cui parlavo prima, ma la vita delle 500 originali si è svolta interamente entro le targhe quadrate bianche e nere (la produzione cessò in Italia nel 1975, mentre questa è una targa senese arancionera del 1982). Il colore, poi, riporta direttamente a una spremuta d'arancia, tanto per completare la colazione...



Ci spostiamo un pochino di quartiere, e immaginate un po' dove andiamo a parare? Ma, ancora, dal Benzinaio delle Alfe! Non contento della Giulia e della Golf, ci ha pure il Mezzosacco d'ordinanza (che si vede di striscio, semicoperto da un'Ape, anche nella prima foto della Giulia). E questa è una 500 L del 1970, stavolta senza nessuna ritargatura, autentica, original e ottimamente conservata e coi famosi rinforzi del paraurti (che non servivano assolutamente a nulla, ma che sortivano una specie di "effetto placebo").


Qui siamo invece più o meno dall'altra parte di Firenze; però, udite udite, sempre da un benzinaio. Il benzinaio cittadino, come già specificato, è un vero e proprio baluardo del Treggismo Militante; basta scorrere il TB per accorgersene. Coi suoi spazi sicuri e sorvegliati, la Treggia vi trova un comodo e economico parcheggio e, inoltre, appartiene spesso e volentieri al benzinaio stesso. Qui siamo di fronte addirittura ad un Halbsack proveniente direttamente dal Südtirol, ove fu immatricolato nel 1971. Che l'anima di Walther von der Vogelweide lo protegga!


Avevo parlato di scorribande, ed eccole qua. Nonostante la targa parmigiana (ancora del 1971), qui siamo nei giardini che antistanno il lungomare di Lerici, subito dopo la romantica ascensione che la Piasintëina e il sottoscritto hanno fatto un mesetto fa fino al famoso e splendido castello della cittadina in provincia della Spezia. A Lerici ero stato in gita scolastica quando avevo 17 anni, e al castello ero salito su quasi di corsa; trent'anni e rotti dopo, sono arrivato in cima con la lingua avvolticciolata intorno al collo. Ne valeva la pena, però; quel che si vede da lassù, ovvero tutto il Golfo dei Poeti, è incomparabile.



Per chiudere, una vera e propria invasione di territorio. Non me ne voglia infatti l'insostituibile Cristina Meharista se, trovandomi brevemente a Roma per un non comune motivo, mi sono imbattuto in questo מזוסקו del 1968. Vi chiederete forse il perché dei caratteri ebraici; il fatto è che siamo in pieno Ghetto di Roma, a pochi metri da Via del Portico d'Ottavia, ed è ipotizzabile quindi che questo Cinquino sia pure kosher o quantomeno un bel Mezzosacco alla Giudìa. Ma sono soltanto battute, chiaramente; quel che è avvenuto in quelle stesse strade quando le targhe erano all'incirca su Roma 81389, vale a dire nel 1943/44, non suscita invece proprio nessuna ilarità. Tutt'altro. Per inciso, i caratteri ebraici si leggono Mzwskw, ed è così che si rende "Mezzosacco" in quell'alfabeto. Da notare il parcheggio: d'accordo che la strada (dedicata peraltro a un santo cristiano) è dimolto stretta, e anche stupenda, ma il culo del Cinquino è letteralmente appiccicato al muro. Si capiscono così anche le scrostature nell'intonaco...