Estati. Ad esempio, e per me non può esistere altro esempio, certi anni settanti all'Elba, fra canottiere, acqua corrente che non c'era, ghiaccioli, spiaggiate a Fetovaia, concorsi settimanali della Settimana Enigmistica, insalate di riso, giornate che cominciavano prestissimo e finivano tardissimo, casini, infanzie, adolescenze, seghe, portici.
E macchine. Le macchine non potevo guidarle perché ero un ragazzino. La macchina ce l'aveva il babbo, l'ottocentocinquanta special che spirerei a trovare, beige. Non ce l'aveva nemmeno mio fratello, la macchina. Non era maggiorenne neanche lui.
La Centoventotto Treppì. Una specie di sogno, o qualcosa del genere. La si vedeva e era qualcosa di normale e di irraggiungibile al tempo stesso. Normale perché era la coupé della 128, non una Aston Martin o una Jaguar. Irraggiungibile perché esulava dalla normalità piccolo-borghese. L'impiegato con l'850 poteva anche comprarsi la 128 berlina, ma la coupé o la 3P erano fuori della portata che non consisteva nel prezzo, ma nella mentalità. La 128 3P era una delle prime coppie che poteva non volere figli. Era una famiglia che non c'entrava. Era assenza di bagagliaio. Era quei sei fari posteriori che facevano scuotere il capo.
Era estati che non finivano mai. Era strade sterrate. Era casino. Era una sgangherata giovinezza. Era anche scrivere il nome dell'Olivia, che non si sa se fosse la cugina che te la dava o la fidanzata di Popeye. Era giocarsela relativamente a buon mercato. Era un sacco di cose, e il sole picchiava. Senza l'estate non si vive, e non vive chi è senza estate, e l'estate è una baracca di ricordi che nel passar degli anni ti si mitragliano addosso.
Una sera di novembre nel buio di un parcheggio ricavato da una vecchissima strada suburbana. Eccola. E l'estate inonda. Cara vecchia 128 3P, rarissima. Non se ne vede più una a giro. Ma, girando e rigirando, l'estate trionfa sempre; e con lei chi non c'è più e chi c'era, e con lei tutta una tribù di fantasmi che recano l'arancione immenso della vita.
E macchine. Le macchine non potevo guidarle perché ero un ragazzino. La macchina ce l'aveva il babbo, l'ottocentocinquanta special che spirerei a trovare, beige. Non ce l'aveva nemmeno mio fratello, la macchina. Non era maggiorenne neanche lui.
La Centoventotto Treppì. Una specie di sogno, o qualcosa del genere. La si vedeva e era qualcosa di normale e di irraggiungibile al tempo stesso. Normale perché era la coupé della 128, non una Aston Martin o una Jaguar. Irraggiungibile perché esulava dalla normalità piccolo-borghese. L'impiegato con l'850 poteva anche comprarsi la 128 berlina, ma la coupé o la 3P erano fuori della portata che non consisteva nel prezzo, ma nella mentalità. La 128 3P era una delle prime coppie che poteva non volere figli. Era una famiglia che non c'entrava. Era assenza di bagagliaio. Era quei sei fari posteriori che facevano scuotere il capo.
Era estati che non finivano mai. Era strade sterrate. Era casino. Era una sgangherata giovinezza. Era anche scrivere il nome dell'Olivia, che non si sa se fosse la cugina che te la dava o la fidanzata di Popeye. Era giocarsela relativamente a buon mercato. Era un sacco di cose, e il sole picchiava. Senza l'estate non si vive, e non vive chi è senza estate, e l'estate è una baracca di ricordi che nel passar degli anni ti si mitragliano addosso.
Una sera di novembre nel buio di un parcheggio ricavato da una vecchissima strada suburbana. Eccola. E l'estate inonda. Cara vecchia 128 3P, rarissima. Non se ne vede più una a giro. Ma, girando e rigirando, l'estate trionfa sempre; e con lei chi non c'è più e chi c'era, e con lei tutta una tribù di fantasmi che recano l'arancione immenso della vita.