Firenze è, o almeno era, famosa per il suo artigianato. La parola "artigiano" significa, alla lettera e nel senso primitivo, "colui che esercita un mestiere a fini d'arte"; e, nella storia di Firenze, "artigiano" e "artista" sono stati, sovente, sinonimi perfetti. Ometti nelle loro botteghe che erano veramente capaci di tutto, nel loro campo: dopo l'alluvione, quando il celeberrimo banco chimico del granduca Pietro Leopoldo, conservato presso il Museo della Scienza e della Tecnica, era ridotto a un ammasso di legname imputridito, l'artigiano che era stato incaricato del restauro rispose alle preoccupazioni della sovrintendente con un semplicissimo: "Tranquilla, 'e si rifà". E lo rifece, pezzettino per pezzettino.
Non deve quindi stupire se, a Firenze, ci siano stati artigiani che, invece di ebanisteria o di altrettanto nobili arti, si sono occupati di automobili. Uno di questi è stato Pasquale Ermini (nato a Leccio di Reggello nel 1905 e morto nel 1958), detto "Pasquino", che, dopo essere stato un pilota automobilistico di valore, decise di costruirsi da solo le sue macchine. Nel 1932 fondò la Officine Ermini, in via Campo d'Arrigo n° 7 (a due passi dallo stadio), e si mise a lavorare esattamente come l'ebanista, il vetraio, il tappezziere, l'incisore. Pezzetto dopo pezzetto. Contemporaneamente, le Officine Ermini preparavano auto da corsa e modificavano modelli di case maggiori (specialmente Alfa Romeo); però dalle officine (trasferite nel frattempo nel viale Matteotti) uscirono fuori venti (20) automobili originali Ermini, tra il 1947 e il 1956 quando Ermini si ammalò gravemente e dovette chiudere l'attività.
Dunque, avete capito. Esistono al mondo soltanto 20 Ermini. Quella che vedete nelle foto alla partenza della Firenze-Fiesole, immatricolata nel 1952, ne è una e non vi sono molte possibilità che ne vediate un'altra manco in fotografia, a meno che non capitiate sul Treggia's Blog (oh, anch'io avrò pure il diritto di farmi un minimo di réclame!). Guardatela bene, perché questo è artigianato, e arte, allo stato puro. Solo che una vettura del genere non è fatta per un museo, è fatta per correre. Nel 1947 una Ermini arrivò settima alle Mille Miglia, con alla guida Pasquale Ermini stesso. Il 14 marzo 2010, oltre a fotografarla, l'ho vista partire in salita; sonasega io, dopo tre picosecondi era bell'e scomparsa, con un rombo che lo avranno sentito fino da Scandicci. Un bolide di quasi sessant'anni; e che Iddio de' Bivi abbia mantenuto in salute le altre diciannove.
Non deve quindi stupire se, a Firenze, ci siano stati artigiani che, invece di ebanisteria o di altrettanto nobili arti, si sono occupati di automobili. Uno di questi è stato Pasquale Ermini (nato a Leccio di Reggello nel 1905 e morto nel 1958), detto "Pasquino", che, dopo essere stato un pilota automobilistico di valore, decise di costruirsi da solo le sue macchine. Nel 1932 fondò la Officine Ermini, in via Campo d'Arrigo n° 7 (a due passi dallo stadio), e si mise a lavorare esattamente come l'ebanista, il vetraio, il tappezziere, l'incisore. Pezzetto dopo pezzetto. Contemporaneamente, le Officine Ermini preparavano auto da corsa e modificavano modelli di case maggiori (specialmente Alfa Romeo); però dalle officine (trasferite nel frattempo nel viale Matteotti) uscirono fuori venti (20) automobili originali Ermini, tra il 1947 e il 1956 quando Ermini si ammalò gravemente e dovette chiudere l'attività.
Dunque, avete capito. Esistono al mondo soltanto 20 Ermini. Quella che vedete nelle foto alla partenza della Firenze-Fiesole, immatricolata nel 1952, ne è una e non vi sono molte possibilità che ne vediate un'altra manco in fotografia, a meno che non capitiate sul Treggia's Blog (oh, anch'io avrò pure il diritto di farmi un minimo di réclame!). Guardatela bene, perché questo è artigianato, e arte, allo stato puro. Solo che una vettura del genere non è fatta per un museo, è fatta per correre. Nel 1947 una Ermini arrivò settima alle Mille Miglia, con alla guida Pasquale Ermini stesso. Il 14 marzo 2010, oltre a fotografarla, l'ho vista partire in salita; sonasega io, dopo tre picosecondi era bell'e scomparsa, con un rombo che lo avranno sentito fino da Scandicci. Un bolide di quasi sessant'anni; e che Iddio de' Bivi abbia mantenuto in salute le altre diciannove.