giovedì 29 aprile 2010

Eccezione




Come si evince da altri post del TB contenenti Arfasùdde (un'arfasùdde, du' arfasudde in fiorentino, col plurale invariabile dovuto al genere femminile anche se almeno un paio di volte ho sentito qualcuno dire 'e gli era tutto pieno d'arfasùddi della pulizzìa), non ho una particolare simpatia verso questa pur storica vettura. Però c'è sempre qualche eccezione. Questa, ad esempio: dovuta sì alle sue epiche sbollature di vernice, sì alla sua targa romana ché le romane in riva all'Arno mi stanno simpatiche a priori (e qui siamo sul serio in riva all'Arno), ma soprattutto al fatto d'averla colta, un tardo pomeriggio del marzo scorso a passeggio con la piasintëina, in una certa via dedicata -diciamo- ad un noto e scomparso cantautore genovese, autore di canzoni che parlavano di bocche di rosa, di gorilla, di domeniche delle salme e d'altre cose. Via che, tra le altre cose, parecchi anni fa fu protagonista di un mio curioso episodio che non vi sto a raccontare, ma che ha avuto un'influenza forse decisiva nella mia vita: proprio là sotto, infatti, decisi che la vita va sempre e comunque vissuta, in qualsiasi modo la vada, e fino all'ultimo tiro di fiato. Ce n'è abbastanza per riservare a quest'arfasùdde romana (e dire che, in quell'episodio là, la città di Roma c'entrava eccome, anche se estremamente a modo suo) lo spazio e anche la simpatia che merita, sempre a ingenerar ricordi come pioggia di meteore.